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La storia di Jim Braddock è il classico esempio della tenacia che riesce a piegare un destino già segnato. Braddock era nato a New York il 7 giugno 1905, nel quartiere popolare di Hell’s Kitchen, neanche a farlo apposta a pochi passi dal Madison Square Garden, tempio della boxe statunitense. Braddock era figlio di quella marea irlandese che investì il continente americano nel periodo delle grandi migrazioni verso gli States. La sua era una famiglia cattolica, classico irlandese, e assai povera. Il ragazzo crebbe per strada a fantasticare di poter frequentare un giorno l'Università di Notre Dame e il suo primo sogno sportivo era quello di giocare a football. Ma l’estrema povertà della famiglia, molto numerosa, portò il ragazzo precocemente nel mondo del lavoro. Proprio in questi anni conobbe il pugilato e se ne innamorò. Così cominciò a cimentarsi nella nobile arte e durante la sua carriera dilettantistica arrivò a vincere il campionato di boxe del New Jersey. A 21 anni il giovane Braddock divenne professionista. Il ragazzo era forte e in soli tre anni arrivò ad avere uno score di tutto rispetto: 34 incontri vinti (21 per KO), 5 sconfitte e 7 pareggi.
Ricordi di un ragazzino di appena undici anni, quelli dell’Europeo del 1992, mai giocato dalla nazionale Jugoslava. Un salone di uno dei tanti hotel di Creta: davanti allo schermo si guardava la finale di quell’edizione vinta poi da una squadra colorata di bianco e rosso, ripescata causa esclusione della rappresentativa con la stella rossa. Uno dei ricordi più nitidi che ho parlando di Jugoslavia. Ricordi di un ragazzino che non poteva sapere e immaginare – anche se la parola guerra riecheggiava – del massacro fratricida che si stava consumando in quelle terre.
Quella squadra fantasma era composta da una generazione di fenomeni provenienti da tutte le Repubbliche federali; una generazione d’oro, tanto da farla soprannominare il “Brasile d’Europa”. Una generazione che alla pari del sistema cestistico (altro vanto Jugoslavo), portò all’apice il sistema calcio, soprattutto con le squadre di club. Su tutte la gloriosa Crvena Zvezda, la Stella Rossa, che proprio nell’anno dello scioglimento della Federazione porterà sul tetto d’Europa – migliorando il risultato dei rivali del Partizan – e del mondo il calcio dei Balcani, anche se qualcuno pensava già che quella vittoria non fosse Jugoslava, ma Serba.
Notturno jugoslavo. Romanzo di una generazione, scritto a quattro mani da Emanuele Giulianelli e Paolo Frusca per i tipi diLes Flâneurs Edizioni, ci fa fare un salto nel passato di una delle più grandi nazioni del continente europeo. Attraverso la vita romanzata di Aca, e vere interviste ai protagonisti di questa storia, ci immergiamo nel mondo del calcio jugoslavo, riuscendo a ripercorrere l’ascesa e la dissoluzione politica, economica e sociale di un intero Paese, capace di tenere unite sotto la stella rossa del socialismo popolazioni con religioni, etnie, idiomi differenti.
Un caro amico di un'altra palestra popolare a cui sono molto legato oggi mi esternava le sue considerazioni sul fatto che, fra mille difficoltà, divieti e adempimenti, hanno deciso di riaprire i corsi a settembre. Visto l'enorme impiego di risorse umane ed economiche per permettere a un numero esiguo di persone di poter usufruire di allenamenti tremendamente limitati dai parametri anti-contagio Covid, la loro scelta potrebbe essere la più assennata. E il dubbio ha sfiorato anche noi della PalPop San Lorenzo in diverse ore di accesi dibattiti e animate riunioni. A un mese dal nostro ventiduesimo compleanno anche noi ci siamo posti la domanda, ma la maggioranza ha risposto decisa: “Sì, ne vale sempre la pena”.
E così ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo cominciato un'opera sanificatrice di quasi venti giorni di lavoro duro, intenso ma gioioso per poter garantire ai nostri allievi e allieve salvaguardia e garanzie sanitarie secondo norme e regole vigenti. Il nostro senso di responsabilità a volte è andato anche oltre.
Teofilo Stevenson è stato il simbolo della boxe cubana e di un sistema sportivo socialista. Cuba ha fatto della boxe il suo sport simbolo e più prolifico in fatto di medaglie olimpiche. La scuola pugilistica cubana, nel corso degli anni, venne riconosciuta al mondo come una delle più complete dal punto di vista tecnico e di preparazione atletica. La costruzione della boxe popolare a Cuba passò soprattutto dall’idea di abbandonare il professionismo, quindi il legame con i soldi, che rese questo sport alla portata di tutto il popolo. In questo punto era chiara la marcata influenza del blocco socialista del tempo. Un’altra caratteristica interessantissima della scuola pugilistica cubana fu il mix fatto dai maestri di pugilato che cominciarono a costruire la strada vincente di questa nazione nella nobile arte. Il mix consistette nella base introdotta dagli statunitensi fino ad arrivare alle innovazioni importate dal blocco socialista, ovvero grazie ai maestri provenienti dall’Unione Sovietica e dalla Germania dell’Est. Questi maestri arrivarono alla corte di colui che era considerato il vate del pugilato cubano: Alcides Sagarra. Sagarra seppe unire i consigli dei sovietici e tedeschi riuscendo a elaborare metodi di allenamento davvero innovativi per il tempo. Questo metodi consistevano in una preparazione atletica durissima, tramite l’utilizzo della pesistica e assimilando il tutto agli esercizi tecnici di pugilato. Così, intorno al 1964, a Cuba nacque un pugilato scientifico nel vero senso della parola. Il sistema socialista fece il resto, diede la spinta decisiva che rese questo sport un modello educativo, sportivo e sociale. I cubani che sceglievano di fare i pugili iniziavano a sette anni, ricevevano l’educazione sia sportiva che scolastica e al momento del ritiro, mentre la loro carriera agonistica era ancora attiva, venivano formati ed erano pronti per poter fare gli allenatori.