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Nel febbraio del 2016, a Bologna, era maturata l’idea di dedicare un festival al calcio e alla sua letteratura. Si sarebbe chiamato “Parole nel pallone” e lo avremmo organizzato noi della Red Star Press insieme a Sportpopolare.it e al CUA. Al momento di fissare il cartellone degli ospiti, l’idea si impose da sola, quasi fosse obbligatoria: «Perché non invitiamo Gianni Mura?».
Fu così che presi la carta e la penna. Anzi no, seduto alla scrivania della Red Star Press, accesi il computer e iniziai a digitare sulla tastiera:
Buonasera Gianni,
è un piacere per me scriverti e mi permetto di usare il tu per la familiarità – tutta immaginaria, anzi letteraria – con i tuoi libri e articoli.
La premessa di fondo è che se non ci ritrovassimo in una situazione tanto straordinaria come quella attuale non avrei mai visto questo film e col senno del poi, posso affermare che la mia vita non ne avrebbe risentito affatto. Ciò non per mancanza di stima nei confronti di Francesco Lettieri, di cui anzi devo ammettere che, nonostante difficilmente riesca ad appassionarmi a prodotti musicali contemporanei, ho davvero apprezzato i suoi videoclip per Liberato e infatti proprio la colonna sonora, pur essendo sostanzialmente diversa da quella che ci si aspetterebbe per un film del genere, è la cosa che mi ha convinto maggiormente. Il mio scetticismo era dovuto al fatto che sia già molto difficile per un ultras descrivere quello che siamo, figurarsi per chi non lo è, parafrasando gli Erode “se non sei uno di noi, non lo sarai mai”, e non riuscirai mai a raccontare gli ultras nella loro profondità. E a quanto pare, anche i “contro-trailer” organizzati dagli ultras napoletani a suon di scritte sui muri, sembrano avallare questa teoria “tecnocratica”, così come l’allontanamento dalla curva di chi si è prestato a fare la comparsa (così sembrerebbe, comunque non membri dei gruppi ultras). Certo, non si può dire che gli ultras partenopei non abbiano le loro valide ragioni e comprendo che a chi negli anni si è esposto e continua ad esporsi mettendo a repentaglio la propria incolumità e la propria fedina penale, possano davvero girare i coglioni nel trovare le immagini di cortei e di altre “situazioni ultras” prese liberamente dal web per ritrovarsele sbattute davanti gli occhi a corollario di quello che – chiariamolo una volta per tutte – non è il tentativo di spiegare e raccontare gli ultras dal loro interno, bensì un prodotto commerciale, come testimonia anche la squallida vendita di adesivi e altro materiale affine alla pellicola avviata da qualche sciacallo, così come i disinvolti richiami a diversi gruppi di primo piano tramite affinità grafiche o il canto di un inno storico, senza contare i velati, ma percepibili, richiami alla vicenda di Ciro Esposito, nonostante le smentite di rito del regista, una cosa quest’ultima davvero di dubbio gusto.
Il legame tra reggae e calcio ha interessato vari artisti di questo genere musicale nato nella piccola isola caraibica della Giamaica. Di recente abbiamo potuto vedere come personaggi del calibro di Bob Marley e Burning Spear si sono interessati a entrambi e in varie occasioni durante le proprie vite sono riusciti a coniugarli.
Facendo qualche ricerca ho però visto che questi due ambiti erano uniti anche nella figura di Jacob Miller. Egli, per chi non lo sapesse, è stato un altro storico esponente della musica reggae di metà XX secolo di cui proprio oggi, 23 marzo 2020, ricorre il quarantesimo anno della scomparsa.
Miller nacque il 4 maggio 1952 a Mandeville, piccolo comune facente parte della parrocchia di Manchester nella parte sud-occidentale dell'isola. Continuando nelle mie ricerche ho notato che sono molte le affinità che legano la figura di Jacob Miller a quella di Bob Marley.
Ad esempio, entrambi questi personaggi non conobbero mai i loro padri di persona. Del padre di Miller, nello specifico, non si sapevano molte notizie se non che era un cantante del luogo e si faceva chiamare Sidney Elliott.
La vicenda consumatasi nei minuti finali di Hoffenheim-Bayern Monaco, oltre a costituire un precedente assolutamente inedito a quelle latitudini, ha probabilmente sollevato una volta per tutte il velo di Maya su quanto sta avvenendo nel calcio teutonico. Ci troviamo, infatti, davanti a una resa dei conti tra la governance della DFB – che, occorre ricordarlo, è la federazione sportiva più grande del mondo con circa sette milioni di iscritti – e le associazioni dei supporters tedeschi, guidate in questa battaglia da alcuni tra i gruppi ultras più attivi nella scena teutonica.