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Quando il Presidente del Consiglio ha firmato il Decreto del 9 marzo (allargando di fatto la “zona arancione” e le restrizioni che questa porta con sé a tutto il territorio nazionale) le nostre attività erano già sospese da quasi una settimana.
Sembra passata una vita eppure risale solo a due settimane fa l’ultimo allenamento della squadra.
Sportivamente stavamo vivendo una stagione esaltante che, non senza qualche passo falso, ci vedeva terzi con un occhio alle prime della classe e uno alle dirette inseguitrici per la zona play-off (dal 2° al 5° posto per chi, per fortuna sua, non fosse pratico di Terza Categoria).
Che in Sud America lo sport e il calcio in particolare abbiano sempre avuto un posto molto importante nella visione del mondo di chi mette in discussione lo status quo non lo scopriamo certo noi, basti pensare ai capolavori di Galeano e di Soriano in merito, ai programmi dei governi socialisti di Cuba e anche del Venezuela e all’importanza che gli tributavano gli eserciti popolari anche nel mezzo delle contese più aspre, come ci è capitato di raccontarvi quando abbiamo parlato delle FARC che, a prescindere dal prosieguo non certamente esaltante del processo di pace, inclusero tra le varie clausole la creazione di un loro team che sarebbe partito dalla serie B colombiana.
Anche l’EZLN non fa eccezione, come dimostra il fatto che al primo “Incontro internazionale delle donne combattenti” del marzo 2018, tra tanti dibattiti e iniziative, fu disputata anche una partita di calcio tra due rappresentative locali che indossavano costumi tipici dei propri villaggi e ad ogni rete avrebbero dovuto scrivere un messaggio relativo a quel meeting su una lavagna.
Ai tempi delle restrizioni governative e del Corona virus, c’è un'attitudine che abbiamo sempre coltivato e che continueremo a coltivare anche quando la normalità tornerà (e presto si spera), ossia quella di leggere e scrivere e sovente di socializzare quello che un libro o una rivista ci ha suscitato, una sorta di rubrica per i consigli (o sconsigli) sugli acquisti. Chiaramente nel nostro piccolissimo e con tutta l’umiltà di questo mondo.
Scriviamo oggi di questo piccolo libro, edito da Mattioli 1885, precursore di quello che abbiamo visto (tra l’incredulità per quello che sta succedendo a livello di pandemia e con il tarlo del “show must go on”) nei ritorni di Champions League, dove i protagonisti assoluti in campo sono stati da una parte l’eleganza, la forza, la classe di Ilicic, per quel che concerne il passaggio del turno dell’Atalanta, e dall’altra un muro vestito di giallo e di nome Oblak, portiere protagonista dell’altro superbo ottavo di finale vinto dall’Atletico Madrid. Entrambi i protagonisti sono sloveni.
E questo libro parla di territori balcanici, di Slovenia (di cui uno degli autori è nativo) come di Serbia e di Bosnia. Di calcio come di basket.
Sulle maggiori testate giornalistiche europee, sportive e non, stanno circolando le immagini e i filmati del match di Bundesliga Hoffenheim – Bayern Monaco tenutosi sabato pomeriggio (29/02) al Pre-Zero Arena, nome ‘commerciale’ della Wirsol Rhein-Neckar-Arena. Nel corso del secondo tempo con la partita sul punteggio di 0-4 per il Bayern, i tifosi bavaresi hanno animato il settore una torciata rossa (colore simbolo del club) accompagnata da numerosi stendardi tra i quali uno con la scritta 50+1.
Iniziamo da qui, dal capire cosa rappresenta questa addizione per il mondo del tifo teutonico.
Fino al 1998 i club di calcio tedeschi erano registrati come organizzazioni no-profit la cui proprietà dove essere ricondotta ai soli soci membri (decine di migliaia di persone).