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L’inizio di aprile, nel calcio dilettantistico, significa essere già affacciati sulla volata finale dei campionati. In molti casi le giornate alla fine sono rimaste davvero pochissime, salvo prolungamenti ai playoff e ai playout, che per qualcuno sembrano ormai certi. Insomma, è il momento adatto per fare il punto della situazione dei campionati in cui sono impegnate le squadre che seguiamo ogni fine settimana, di vedere chi sogna e chi rischia, e chi invece staziona a metà classifica e ha già un piede e mezzo in vacanza. L’avevamo annunciata come una stagione interlocutoria, dopo un anno di tantissime promozioni, in cui bisognava difendere i passi in avanti fatti, e porre le basi per farne altri ancora. Si può dire che sostanzialmente, in generale, sta andando così, e addentrandoci nello specifico vedremo anche chi potrebbe fare eccezione, in positivo o in negativo. Partiamo dall’alto, in un ordine un po’ sparso e un po’ no.
La crisi economica greca e le misure di rara brutalità che ha portato con sé hanno gravemente degradato le condizioni di vita degli sfruttati del Paese. Hanno anche amplificato il pubblico dei discorsi nazionalisti. Gli stadi di calcio sono, come sappiamo, le principali aree di espressione per sciovinismo e xenofobia. L’esaltazione dell’orgoglio patriottico è spesso nascosta dietro lo schermo della cosiddetta apoliticità dello sport. Il partito neonazista di Alba Dorata è stato in grado di beneficiarne, investendo sul supporto alla squadra nazionale nei primi anni 2000.
Sin dall’alba delle civiltà, quello delle immagini “sacre” è sempre stato un terreno delicato in cui addentrarsi con particolare cautela per evitare degenerazioni che non si poteva mai sapere come si sarebbero concluse, a maggior ragione da quando siamo entrati nell’era dell’onnipotenza del dio denaro e del mercato quale forza predominante.
Certo, i tempi dell’iconoclastia sono lontanissimi, ma il rapporto tra il mondo del marketing e il patrimonio simbolico popolare continua a restare contraddistinto da quella conflittualità che pone di fronte le ragioni del cuore a quelle del mercato ed è ormai dotato di una casistica a dir poco sterminata.
«Nun le manna a di’». Così si direbbe in dialetto romanesco di Michael Conlan, pugile professionista nato a Belfast classe ’91, campione fin da dilettante. Nel suo palmares ci sono un bronzo olimpico a Londra 2012 (cat. 52 kg), argento agli europei del 2013 a Minsk (cat. 52 kg), oro nei campionati del Commonwealth nel 2014 a Glasgow (cat. 56 kg), oro agli europei di Samokov nel 2015 (cat. 56 kg), oro ai campionati mondiali a Doha nel 2015 (cat. 56 kg). Insomma un piccolo fenomeno.