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Tavole e strisce di fumetti condiscono Pugni. Storie di boxe di Boris Battaglia e Paolo Castaldi, pubblicato da Becco Giallo sul finire del 2015. Ma in fondo sono solo il contorno. Il centro di questo strano libro sospeso fra cronaca, saggio e fumetto, sono quindici racconti sulla storia recente del pugilato – come i round di un titolo mondiale del tempo che fu – che provano a sintetizzare al meglio la passione per questo sport.

Il tentativo è ardito, quasi un’antologia della boxe, lontana però anni luce dal giornalismo sportivo eppure capace molto più di qualsiasi “Gazzetta” o “Corriere” di evocare il bello delle sedici corde.

Fiero della sua natura indefinita, quasi effimera, Pugni individua con sapienza alcuni degli snodi principali dell’epopea contemporanea del ring, che coincidono poi con le grandi svolte della storia, senza mai scadere nella retorica.

I fumetti “agghindano” il discorso, lo abbelliscono, ma a muovere tutto rimane il racconto sincero di uno sport che per molti ha esaurito i suoi anni migliori, scomparendo dai palinsesti televisivi come dal cosiddetto “spirito dei tempi”.

 

Eppure la forza narrativa del pugilato fuoriesce con tutta la sua prepotenza proprio in questo “strano oggetto narrativo” che non è un fumetto ma neppure un romanzo, ma che centra il bersaglio, dimostrando quanto invece il pugilato sia specchio formidabile della società.

Storie di ex-schiavi arrivati al titolo mondiale e sconfitti solo dai pregiudizi (Moulinex vs Cribb), figli sfortunati dei mezzi mondo assurti agli allori (Firpo vs Dempsey), il nazismo (Trollmann vs Eder) e la Seconda guerra mondiale (Louis vs Schmeling), sbandati raddrizzati dal sudore nelle palestre (Ray Boom Boom Mancini) e dalla disciplina, tutto con una narrazione da storytelling quasi “materno” che somiglia a una gran bella fiaba dai contorni pedagogici, incapace però di annoiare.

Ma non ci sono solo grandi stelle e campioni iridati: si parla anche di piccoli risvolti marginali nell’olimpo delle imprese sportive, immancabili per i veri cultori del ring.

E così forse la storia più travolgente e sconosciuta è quella di Vito Antuofermo, figlio di un pizzaiolo pugliese trasferito nella Grande Mela e cresciuto fra le strade riottose di Brooklyn che difende un titolo mondiale contro l’icona pugilistica più famosa degli anni Ottanta, Marvin Marvelous Hagler. Il suo incontro è inserito nei dieci verdetti più ingiusti della storia – l’esito fu un pareggio – nonostante Hagler avesse picchiato senza sosta Antuofermo e quindi vinto senza dubbio l’incontro e il titolo. Eppure se si potesse pesare il coraggio sulla bilancia della vita, il “piccolo” pizzaiolo pugliese sfonderebbe qualsiasi bilancia costruita ad hoc.

È in fondo questo il principale merito di Battaglia e Castaldi: riuscire a scrivere qualcosa sul pugilato senza scadere nell’agiografia sportiva. Non c’è profumo di incenso, né intento celebrativo, manca in sottofondo il ritornello di Momenti di gloria, rimane solo il coraggio di un racconto appassionato, orgoglioso dei propri limiti e della propria parzialità. Nient’altro che un cazzotto sincero.

 

Filippo Petrocelli

 

Categoria: Fuori dal campo

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