Una terra da sempre contesa e martoriata, che dal 1948 sta vivendo la fase “moderna” della sua immane sofferenza. Dalla nascita dello Stato d'Israele infatti non c'è più stata pace per il popolo palestinese: una continua ed estremamente aggressiva offensiva imperialista, che è costata fiumi di sangue e ha portato i territori palestinesi a diventare piccole isole scollegate tra loro e soffocate dagli insediamenti abusivi dei coloni israeliani e dalle continue offensive militari dell'esercito sionista, finalizzate a difendere quello che loro chiamano il “diritto di Israele ad esistere in sicurezza” e in realtà non è nient'altro che espansionismo militare, pulizia etnica e sottomissione politica. I milioni di profughi palestinesi, concentrati soprattutto nei paesi limitrofi, la discriminazione dei palestinesi con cittadinanza israeliana (una vera e propria apartheid), lo smembramento dei territori palestinesi, il continuo martirio a cui è esposta la Striscia di Gaza, rendono quanto mai complicata la conservazione di un'identità nazionale. Tuttavia, la coscienza di essere un popolo oppresso e la determinazione nel voler raggiungere la libertà hanno sempre spinto i palestinesi a lottare, anche quando i rapporti di forza sono stati improponibili: pietre contro carri armati, manifestazioni contro missili al fosforo bianco, e adesso coltelli contro un intero esercito armato fino ai denti. Praticamente un intero popolo che, armato solo della propria dignità, continua a sfidare uno dei nemici più potenti e feroci che siano mai apparsi sul pianeta terra.
Di fronte a tutto questo, parlare di calcio può sembrare davvero frivolo, e magari lo è. Ma sappiamo bene come lo sport possa essere un veicolo di socialità e di riscatto molto importante, oltre a essere uno svago fondamentale, perché la vita non si può mai ridurre a sola tragedia. Il calcio in Palestina è molto praticato e seguito: i “pischelli” cercano in ogni modo di seguire i grandi campionati europei, e se fino a dieci anni fa si dividevano tra chi tifava Milan, Juve o Inter, adesso “litigano” davanti al clàsico Barcellona – Real Madrid. Ma oltre a questo, il calcio è davvero uno sport di massa, che si gioca in strada come in ogni periferia del mondo. Anche per questo i palestinesi sono sostanzialmente forti: lo sanno bene le delegazioni di attivisti europei che negli anni hanno animato iniziative solidali come Sport sotto l'Assedio e altre, e sul campo sono spesso e volentieri state umiliate dalle selezioni palestinesi.
Data questa grande e sincera passione calcistica, è facile immaginare l'importanza che riveste la nazionale di calcio della Palestina in termini di identità e orgoglio. La Federazione calcistica della Palestina, fondata nel 1962, è stata riconosciuta dalla Fifa solo nel '98, e da lì in poi la nazionale per un decennio ha dovuto giocare tutti i match fuori dai propri territori, solitamente in Qatar o in Giordania, fino al 2008, quando ha potuto disputare almeno le amichevoli nei Territori occupati. La prima partita ufficiale disputata realmente in casa è stata quella del 9 marzo 2010, valevole per le qualificazioni alle Olimpiadi di Londra e persa ai rigori con la Thailandia. Nel corso degli anni il calcio palestinese ha continuato a crescere in uno stillicidio di piccoli e grandi ostacoli: oltre infatti ai bombardamenti a tappeto che a più riprese si sono abbattuti su Gaza, mettendo in ginocchio l'intera popolazione, lo sviluppo del calcio in Palestina viene quotidianamente ostacolato dalle autorità israeliane in mille modi. Innanzitutto per gli atleti è difficilissimo spostarsi, e i checkpoint spesso sono stati ostacoli insuperabili, a volte addirittura con ferimenti di giocatori; fece scalpore il caso di Mahmoud Sarsak, arrestato nel 2012 in modo del tutto arbitrario e protagonista di uno sciopero della fame durato quasi 100 giorni, in cui rischiò la vita ma alla fine ottenne la liberazione. Inoltre non si contano i casi di impianti sportivi danneggiati, calciatori a cui sono state vietate trasferte e altre vessazioni quotidiane. Colpisce anche pensare che il campionato palestinese è diviso in due, uno per i Territori della Cisgiordania e l'altro per la Striscia di Gaza: solo quest'estate si è potuta per la prima volta disputare, non senza difficoltà, la Supercoppa tra le vincitrici dei due campionati, per assegnare finalmente il titolo di campione di Palestina, vinto dall'Ahli Al-Khalil allenato dall'italiano Stefano Cusin. Fino ad arrivare all'8 settembre, quando allo stadio Faisal Al-Hussein di Al-Ram, Gerusalemme Est, si è per la prima volta giocata una partita di qualificazione ai Mondiali, pareggiata per 0-0 contro gli Emirati Arabi Uniti. Ma come stanno andando queste qualificazioni ai Mondiali di Russia 2018?
Diciamo intanto che la nazionale palestinese ha giocato le sue prime qualificazioni per i Mondiali del 2002. Nel suo lento e travagliato percorso di crescita non ha ottenuto risultati di rilievo fino al 2014, anno della svolta: a maggio vince infatti nelle Maldive l'AFC Challenge Cup, ovvero il torneo delle squadre asiatiche “minori”, la cui vincitrice si qualifica di diritto alla Coppa d'Asia, battendo in finale le Filippine. Nel successivo ottobre fa scalpore la notizia di un possibile, e decisamente suggestivo, arrivo di Maradona sulla panchina palestinese, ma resteranno solo voci e nulla più. E così all'inizio del 2015 c'è stata la prima partecipazione alla Coppa d'Asia, conclusasi al girone iniziale con tre sconfitte contro Giappone, Giordania e Iraq. Ma la marcia dei palestinesi non si arresta, le potenzialità sono tante e cominciano ad esprimersi con più continuità: adesso è la volta delle qualificazioni ai Mondiali in Russia, percorso che nel continente asiatico è una sorta di maratona, vista la vastità del continente e il numero di squadre impegnate. Il grande banco di prova è il girone a 5 squadre che si sta svolgendo attualmente: sostanzialmente è questa la fase in cui si dividono le squadre “serie” da quelle prive di ogni ambizione, per poi passare alle fasi successive in cui si sceglieranno le effettive partecipanti ai Mondiali. Dopo la vittoria di ieri per 6-0 contro la Malesia, la Palestina è ancora in corsa per superare il turno: nel gruppo A è infatti terza, con la “nobile” Arabia Saudita in testa al girone e al secondo posto i blasonati Emirati Arabi Uniti, con solo un punto in più dei palestinesi. Per passare il girone tuttavia non basta arrivare secondi, ma bisogna arrivare tra le quattro migliori seconde degli otto gironi. Per questo le ultime due partite, da disputare nell'ultima settimana di marzo contro Emirati Arabi Uniti (fuori casa) e Timor Est (in casa) saranno da vivere con il cuore in gola. Qualificarsi alla fase successiva sarebbe un'autentica incoronazione nel mondo delle nazionali che contano, ma anche se ciò non succedesse, basta già quello che stiamo vedendo per realizzare il fatto che in campo calcistico il sogno palestinese, nonostante tutti gli ostacoli e le difficoltà, è già realtà.
Matthias Moretti