Negli ultimi tempi concetti quali confini e frontiera sono molto cambiati, soprattutto in quella che viene considerata la zona occidentale e “più democratica” del globo. Da una concezione di apertura e di libera circolazione delle persone si è passati ad una chiusura tramite l'innalzamento dei muri e politiche migratorie sempre più respingenti. Tutto questo, però, non riguarda le merci di mercato che, in nome di quella concezione neoliberista che la fa da padrone un po' dovunque, possono continuare a circolare liberamente dovunque vogliano senza subire il benchè minimo controllo sotto più punti di vista.
Per fortuna ci sono anche molte realtà che combattono contro questa chiusura dei confini per le persone e si battono, quotidianamente, perché ci sia la libera circolazione della gente in ogni angolo del globo.
Una di queste è sicuramente il progetto BBB: “Basket Beats Borders” (“Il Basket Batte i Confini”). Tale iniziativa, che coinvolge le due squadre di basket popolare romane degli All Reds basket e dell'Atletico San Lorenzo, prevede anche delle ospiti internazionali d'eccezione: 8 ragazze, nate e cresciute nel campo profughi libanese di Shatila, alla periferia di Beirut, che sono riuscite a crearsi un loro spazio di libertà su un campo di basket grazie alla squadra dello Shatila Basketball Girls team.
Questo stesso team sarà a Roma, dal 10 al 15 maggio prossimi, per un torneo di basket assieme all'Atletico e agli All Reds. L'occasione sarà anche quella di trattare tematiche politiche e sociali in differenti, seppur non distanti, zone del mondo, scambiarsi consigli, tecniche di gioco e, infine, dar vita ad un evento aperto al pubblico.
Per i romani questa sarà un'occasione speciale di conoscere una cultura come quella palestinese che, troppo spesso, viene messa a tacere in vari modi dalle stesse istituzioni italiane in nome di quella alleanza, sotto moltissimi punti di vista, con il governo israeliano, nemico giurato del popolo palestinese per ben ovvi motivi. Si avrà, inoltre, la possibilità di entrare in contatto, in maniera più che approfondita, con la storia del campo di Shatila dove, nel 1982, avvenne uno dei più grossi massacri di civili mai avvenuti in tutto il Libano.
Sabato scorso, 18 marzo 2017, si è tenuta la prima serata di presentazione/finanziamento di tale iniziativa, presso il centro sociale Acrobax di Roma. All'evento erano presenti i “padroni di casa” degli All Reds ma anche la sezione femminile dell'Atletico San Lorenzo basket e la Lokomotiv Prenestino: tre team di quello che viene considerato a pieno come “sport popolare” e che si battono per uno sport più equo e in cui a comandare siano concetti quali socialità e aggregazione.
Oltre a questi tre team erano presenti il ramo romano della campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni), da sempre attiva per il boicottaggio dei prodotti di origine israeliana, e il Servizio Civile Internazionale, organizzazione nata dopo il primo conflitto mondiale e attiva in progetti di solidarietà.
Abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con uno degli organizzatori della serata ad Acrobax. A lui abbiamo chiesto alcune informazioni su come lo sport popolare possa dare il proprio contributo ad un progetto del genere.
In che modo lo sport popolare darà il suo contributo ad un progetto come quello messo su da BBB?
Il contributo dello sport popolare, sotto forma della partecipazione degli All Reds Basket Roma, delle ragazze dell'Atletico San Lorenzo e delle “bulles fatales” della Lokomotiv Prenestino, sarà fondamentale. Il fine sportivo di Basket Beats Borders è di far incontrare e giocare insieme queste tre squadre e lo Shatila Basketball Girls team. Le quattro squadre, oltre a divertirsi, impareranno certamente l'una dall'altra, sia da un punto di vista sportivo che umano. Le ragazze di Shatila in Libano disputano partite solo occasionalmente, non sono iscritte ad alcun campionato. Per loro questo scambio rappresenterà un'opportunità per giocare tutti i giorni e per crescere sportivamente. C'è poi l'aspetto politico, che non è assolutamente secondario. L'incontro di queste realtà resistenti sarà un'opportunità anche per operare delle riflessioni politiche sulla Palestina, sul Libano, sull'Europa e sui concetti di scambio e di confine. Il fatto stesso che le ragazze riescano a venire a Roma in aereo, e non a piedi o su mezzi di fortuna come i migranti che ogni giorno tentano di raggiungere la fortezza europea, è già una piccola vittoria e offre uno spunto di riflessione a tutti noi sull'esercizio della libertà di movimento, una libertà negata alla maggior parte della popolazione mondiale e che dovrebbe invece costituire un diritto umano fondamentale.
Perché avete scelto proprio il basket popolare e non un altro sport?
Quando abbiamo deciso di coinvolgere nello scambio le ragazze di Shatila, in realtà avevamo la possibilità di far venire a Roma anche una squadra di calcio del campo, il Real Palestine Youth FC. Non avendo le risorse per ospitare entrambe le squadre, alla fine abbiamo optato per la squadra di basket femminile perché vogliamo che il progetto, oltre ad essere popolare, sia anche marcatamente femminista. Se per i ragazzi nati a Shatila crescere ed esprimersi in quel contesto è estremamente difficile, per le ragazze è ancora più complicato guadagnarsi degli spazi di libertà. Attraverso il basket le cestiste del Shatila Basketball Girls team, sette ragazze palestinesi e una libanese tra i sedici e i diciotto anni, ci sono riuscite, superando le pressioni sessiste degli abitanti del campo.
Consocendo, qui a Roma, i ragazzi degli All Reds e le ragazze dell'Atletico San Lorenzo, abbiamo deciso di realizzare lo scambio con loro. Recentemente, poi, si sono unite al progetto anche le ragazze della Lokomotiv Prenestino. Tutte e tutti assieme speriamo di far trascorrere una bella settimana alle ragazze di Shatila, che sicuramente ci insegneranno molto di più di quello che noi avremo da offrire loro.
A coinvolgere squadre che non si fossero costituite tramite l'autorganizzazione dal basso non ci abbiamo mai pensato. Ovviamente non escludiamo nessuno, il progetto è aperto a tutti, visto che uno dei suoi obbiettivi è quello di sensibilizzare i partecipanti e chiunque venga a contatto con Basket Beats Borders sulla situazione libanese, palestinese e delle persone migranti in generale, con un focus sulle donne.
Come leggevo in un recente articolo di “Sport Popolare”, a capo delle 45 federazioni sportive riconosciute dal CONI, compresa la Federazione Italiana Pallacanestro, non ci sta nemmeno una donna. Ecco, noi abbiamo un'altra idea non solo di sport, come attività aggregativa e non mirante al profitto, ma anche delle relazioni fra uomo e donna. Un'idea che ripudia la gerarchia, il machismo e la competizione al di fuori del rettangolo di gioco.
Chiunque condivida con noi questa visione, o sia pronto a farla sua o perlomeno a rifletterci su insieme a noi, è ben accetto.
Perché avete optato per raccontare la storia delle donne del campo di Shatila? Qual è la loro specificità che vi ha colpito di più?
Come speriamo si capisca anche dal nome del progetto, Basket Beats Borders ha una forte connotazione politica. Crediamo che i confini e la cultura che li produce siano i primi responsabili di tutte le situazioni di oppressione e sfruttamento che i migranti e le migranti subiscono in tutto il mondo, quando non vengono addirittura uccisi da questa mentalità e dalla politiche migratorie pseudo-securitarie che ne scaturiscono, come quella italiana, dell'Unione Europea e di Israele.
Negli ultimi settanta anni tre quarti dei palestinesi sono dovuti fuggire dalle loro case e non hanno mai potuto conoscere la propria terra a causa della pulizia etnica incessantemente perpetrata da Israele. Molti di questi si sono rifugiati in Libano e il campo di Shatila è sorto, nel 1948, proprio per ospitare i rifugiati della Nakba.
A questo si deve aggiungere che la popolazione del Libano è composta, per il venticinque per cento, da rifugiati, la percentuale più alta al mondo. Questo venticinque per cento non ha affatto gli stessi diritti del restante settantacinque. Gli abitanti di Shatila sono tra l'incudine e il martello, stretti fra il mancato riconoscimento da parte di Israele del diritto al ritorno alle proprie terre dei palestinesi, riconosciuto già nel 1948 dall'ONU tramite la Risoluzione 194, e le politiche razziste del governo libanese. Noi pensiamo che di questa situazione se ne debba parlare ed è per questo che ci prenderemo una settimana a maggio per rifletterci tutte e tutti assieme, facendoci aiutare dalle ragazze di Shatila, se vorranno condividere con noi i loro racconti.
Detto questo, non dimentichiamoci che sarà una settimana di festa e di divertimento, caratterizzata da un evento pubblico finale a cui tutta Roma è invitata a partecipare.
Roberto Consiglio