Come scrivevamo qualche settimana fa, il mese di maggio è quello dei verdetti, quelli che fanno sognare e quelli che ti fanno a pezzi dal dolore. È quindi anche il tempo, praticamente ogni anno, delle contestazioni alle squadre che hanno deluso. L'ennesima occasione in cui emerge in tutta la sua chiarezza la differenza sostanziale tra lo spettatore e il tifoso (di questi ultimi, per chiarezza, chi scrive considera l'ultras una sezione, quella militante, ma accomunata dallo stesso tipo di passione). La differenza emerge in genere a partire dalla condanna che giunge unanime da parte di tv e giornali rispetto a qualsiasi forma di contestazione, fosse anche di natura pacifica, fatta dai tifosi, specialmente quando è fatta faccia a faccia. Adesso, ad amplificare il dibattito, ci sono i social.
E proprio da qua nasce questa riflessione, da un post della pagina Calcio da dietro, apprezzabile tra l'altro per molti aspetti della sua attività, che stigmatizzava la contestazione di un piccolo gruppo di tifosi dell'Empoli a una delegazione di giocatori di ritorno da Palermo. Ora, chi scrive ha in questo caso la sventura di essere proprio tifoso dell'Empoli, e di condividere quello stato d'animo totalmente. Nel video si vede una contestazione dai toni sicuramente accesi ma senza il minimo accenno di voler passare alle vie di fatto. Le parole dei tifosi vibrano di quella rabbia e quell'incredulità che ogni innamorato della propria squadra conosce bene. La prestazione dei giocatori a Palermo, ma anche in molte delle ultime giornate, è stata raccapricciante, un'umiliazione che ti fa scendere le lacrime mentre li guardi passarsi la palla in orizzontale a centrocampo, senza la minima idea di cosa fare. Il complottismo è senza dubbio un esercizio inutile se non si ha nessuna prova. Diciamo allora che semplicemente (ed è la migliore delle ipotesi) a Empoli quest'anno c'era un manipolo di ragazzi a cui non fregava nulla delle sorti della squadra.
Fa allora un certo effetto imbattersi nel solito commento: “è una vergogna che dei giocatori siano costretti a confrontarsi con dei tifosi, dei selvaggi che li strigliano mentre loro ascoltano a testa bassa”; il tutto contornato dai soliti “quando riusciremo a liberare gli stadi da certi personaggi?” e simili amenità. Fa ancora più effetto però vederlo scrivere non solo dalla Gazzetta o dalla Sky di turno, ma anche da persone che trattano lo sport da angolazioni più simili alle nostre, sicuramente non viziate dal “commercio”, e dai relativi commentatori social. In questo caso lo schiacciamento sulla prospettiva mainstream è totale: i tifosi devono pensare a fare il tifo ma non hanno la minima facoltà di potersi interfacciare con i calciatori e in generale lo staff. Punto. Dogma sacro.
Ora, sappiamo bene che in alcuni casi, specie nelle grandi curve con grandi giri d'affari, le contestazioni possano anche essere manovrate per secondi fini. E quei casi li condanniamo, perché danneggiano tutti noi. Il discorso è però un altro: è che la passione è un sentimento che per sua natura non può avere solo il lato positivo. Affermare il contrario è mentire a se stessi. Oppure è non condividere la stessa passione. Essere spettatore e non tifoso. Si badi bene, lo spettatore non per forza è neutrale, spera senz'altro che vinca la sua squadra, ma assiste a uno spettacolo che gli piace, come si potrebbe andare al cinema o a un concerto. Io stesso sono spettatore quando guardo una partita di Champions League. Ma moltissima gente, piaccia o no, è tifosa, e non ci sono motivi razionali e sociologici per spiegarlo. In modo trasversale alle classi sociali, alle convinzioni politiche, alla tendenza o meno al “disagio” e alla ribellione.
Si fermino un attimo i benpensanti del calcio a riflettere su quello che loro stessi dicono spesso: “una partita senza tifo è brutta anche alla televisione”; “una coreografia mozzafiato, questo è il calcio che ci piace”; “un applauso ai tifosi che si sono fatti centinaia di km per venire fin qui”. Ecco cari miei, la passione. Quella che tutto accende, che a tutto dà un senso. Quella che però non potete sperare di modificare in laboratorio per farla essere solo positiva. Perché il tifoso una sola cosa vuole: vedere impegno e voglia. Si dice che Empoli sia una piazza tranquilla, dove ti applaudono anche se retrocedi, ma ovunque è così. Nessuno, se ti avesse visto davvero dare tutto, verrebbe a cercarti se non per stringerti la mano.
Maurizio Sarri ama spesso ripetere che allenatori e calciatori sono uomini fortunati perché possono fare di lavoro quello che è il sogno dei bambini. Anche i tifosi condividono lo stesso sogno di bambini, continuando poi a viverlo a qualsiasi età. E passando attraverso le esperienze di una vita, l'amore per la propria squadra è una sorta di filo rosso, una certezza, qualcosa che ti fa condividere tanto: le amicizie, le sbronze, i canti, le lacrime, le coreografie e le trasferte. Ma che ti genera anche una rabbia vera verso chi insulta e umilia tutto questo, pur essendo tra quegli uomini fortunati di cui parla Sarri, o meglio, ancora di più proprio per questo. Dopo un tradimento come questo, uno spettatore può tranquillamente cambiare canale, un tifoso no. La vive diversamente, ci dovete stare. Uno dei commenti al post diceva “vabbè ma li vedete, saranno due operai frustrati che si devono sfogare”. Il classismo in 10 parole. Operai probabilmente lo sono, ma sono uomini innamorati. Che non vogliono cambiare canale senza avere almeno spiegazioni, visto che giustizia non se ne può avere. E siamo tanti, credeteci, in ogni città.
Il sogno delle élites del calcio sarebbe di staccare completamente lo spettacolo dal vissuto: avere un tifo forte, passionale e coreografico che al calare del sipario sparisce, disattiva quelle emozioni, spegne l'interruttore. Beh, questo è impossibile. O cacciate dagli stadi tutto quanto il “pacchetto” e li trasformate in teatri dell'opera, oppure ci tenete così, e periodicamente torneremo a entrare senza permesso nel vostro telefilm preferito. E i giocatori che sputano sulla maglia continueranno a rischiare una ramanzina o, se gira così, anche due schiaffi, che in definitiva non hanno mai ammazzato nessuno.
Ah dimenticavo: anche questo problema viene brillantemente risolto dai progetti di calcio popolare. Lì, i giocatori che non si impegnano non li vedrete mai, e non ci sarà nessun bisogno di contestare!
Matthias Moretti