«Kerman chi?», potrebbe essere la domanda. Perché a sentire il nome di Kerman Lejarraga, qualcuno potrebbe rimanere interdetto. Ma invece bisogna annotare questo nome, con attenzione. Professione pugile, nativo di Morga e orgogliosamente basco, sabato 28 aprile è salito sul tetto d’Europa. La cintura legata in vita riporta la dicitura Ebu (European Boxing Union) ed è blu come il colore “ufficiale” dell’Unione Europea, mentre la categoria di peso sono i welter. Insomma il «Revolver di Morga», come viene soprannominato Lejarraga, ha vinto il titolo europeo di boxe, sbarazzandosi in due riprese del suo avversario Bradley Skeete from U.K. per ko tecnico.
Classe 1992, 26 anni, 175 centimetri e acconciatura tipicamente “basca” (ovvero per chi non ha confidenza con Euskal Herria, un misto fra MacGyver e un tedesco della Ddr, più in questo caso un codino) Lejarraga è la nuova speranza del pugilato europeo (gestito per altro da Lou Di Bella, uno dei più importanti promoter nordamericani), ma è soprattutto un ragazzo della Herri Norte Taldea, la curva antifascista dell’Athletic Club, meglio conosciuto come Athletic de Bilbao.
Ecco perché qui si parla di pugilato ma anche di calcio. Non tanto perché Kerman si allena al sacco con la maglia della sua squadra, o perché sui pantaloncini sfoggia il gagliardetto dell’Athletic, e neppure perché la Herri Norte Taldea gli ha dedicato più di un tributo dentro il San Mamés (lo stadio dell’Athletic) ma soprattutto perché l’incontro per il titolo è stato in realtà una partita di calcio. In primis per gli spettatori. Si respirava quell’aria “vecchie maniere”, in un tripudio figurato di Ikurriña (la bandiera basca), in cui il tifo è stato molto “calcistico”. Alla Bilbao Arena, di fronte a più di 9.000 spettatori il buon Kerman è così diventato campione d’Europa, sospinto dai suoi tifosi, come il suo Athletic in quelle due magiche stagioni della Liga 1982-1983 e 1983-1984, in cui la squadra di Bilbao ha conquistato la Liga.
E pazienza se a qualche stronzetto con la puzza sotto il naso non è piaciuta l’entrata pacchiana di Kerman, con tanto di fazzoletto calato sul volto con impresso un teschio e l’accappatoio mimetico, perché chi ha il coraggio di salire sul ring fa come vuole, anche qualcosa di becero e pacchiano. Così come non merita risposte chi storce il naso se i supporter di Kerman scimmiottando il film 300 di Frank Miller hanno intonato il grido spartano au-au-au, per incitare il loro amico, fratello, compagno.
E poi se a 26 anni si ha l’occasione della vita, in casa, esiste il diritto di godersela fino in fondo. C’è il diritto di partire con il freno tirato come ha fatto Lejarraga, che indubbiamente ha sentito per tutta la prima ripresa l’emozione montare fino quasi a strozzarlo. I primi minuti hanno mostrato un pugile contratto, poco fluido, che subiva la velocità del rivale – che ha disputato una discreta prima ripresa – lasciando prendere il centro del ring a Kerman e lavorando con intelligenza con il jab, sempre in movimento. Un inizio da manuale, in cui Skeete ha fatto valere la sua altezza ma anche un discreto game plain. Poi però, già nei primi istanti del secondo round, il vento è girato. Dopo neanche un minuto dall’inizio della ripresa un gancio destro fulmina Skeete che va al tappeto ma si rialza. Trascorrono istanti ma il pressing del pugile basco diventa serrato e un colpo al corpo, fa assaggiare a Skeete per una seconda volta il tappeto. L’espressione di dolore del pugile britannico lascia intendere che il colpo ha fatto veramente male. Stoicamente il pugile britannico si rialza, ma ormai ha finito la benzina. Altra fase concitata, altro gancio, e finalmente l’arbitro decreta il ko tecnico, prima che dall’angolo di Skeete venga gettata la spugna.
Poi la festa, quella grande di un popolo che si ricongiunge con il suo idolo, che sembra incredulo, che non crede ancora di aver vinto. Il resto poi sono solo abbracci e sorrisi, come a una partita di calcio fra amici.
Filippo Petrocelli