Istintivamente in moltissimi, nel vedere il match valido per l’ultima giornata del gruppo B dei Mondiali tra Spagna e Marocco, suggestionati dal dibattito politico nostrano, ma soprattutto (per lo meno, ci auguriamo) dal dramma umanitario che si consuma senza soluzione di continuità su entrambe le sponde del Mediterraneo, avranno salutato l’impresa a metà compiuta dalla nazionale marocchina come una sorta di rivincita per Ceuta.
Nonostante se ne parli poco, questa cittadina autonoma della Spagna, che insieme all’altra enclave Melilla si trova nel continente africano, ha il triste primato di ospitare un muro di separazione (finanziato dall’UE per 30 milioni di euro) fortificato, con del filo spinato, una doppia barriera alta tre metri (ma che dovrebbe arrivare a sei coi prossimi lavori di ristrutturazione) con sensori visivi e acustici per scoraggiare le migrazioni verso la penisola iberica, e che dal 1975 viene rivendicata dal Marocco.
Fino a qui tutto bene e tutto giusto per carità, a maggior ragione vedendo quelle sporadiche immagini che ogni tanto arrivano anche sui monitor dei nostri pc e che mostrano orde di disperati tentarle tutte pur di attraversare il checkpoint sempre senza successo, venendo respinti senza tanti complimenti, anzi.
Il guaio inizia quando c’è qualcuno più ultimo degli ultimi, a maggior ragione in un contesto come quello del continente africano e ancora di più nel Deserto del Sahara, dove quasi nell’indifferenza generale si consuma la vicenda del popolo Saharawi e del suo difensore, il Fronte Polisario, l’organizzazione che nel 1973 decise di impugnare le armi e difendere il proprio popolo per rivendicare i territori del Sahara occidentale, combattere dapprima il colonialismo spagnolo e successivamente, dal 1975 (anno dell’Accordo di Madrid che segnò il disimpegno, dietro una cospicua buonuscita, della corona spagnola dai territori in questione) proprio da quello marocchino, guidato dal Re Hassan II che di fatto promosse un’invasione di circa 350.000 coloni in quelli che rivendicava come territori di sua pertinenza.
Nel l976 il Fronte Polisario decise di proclamare l'indipendenza e la nascita della Repubblica Araba Saharawi Democratica; tre anni dopo la Mauritania ratificò un accordo di pace col Fronte Polisario , di contro il Marocco invece, raddoppiò lo sforzo bellico per occupare tutto il territorio dell'ex Sahara Spagnolo.
Da allora la storia del popolo Saharawi è una storia di lotta per l’indipendenza e per il riconoscimento della propria identità, costretta a scontrarsi con l’indifferenza della politica internazionale e la prepotenza del Marocco, una prepotenza che ha avuto anche nel calcio un terreno di sfida.
Seppure in misura minore rispetto a stati come l’Arabia Saudita o Israele, anche il Marocco sta usando il calcio per creare una nuova immagine di sé e la riprova ne è stata la candidatura ai Mondiali del 2026, sconfitta però da quella congiunta di USA, Canada e Messico che poteva contare su una gamma più vasta di sostenitori (tra le defezioni a sostegno della candidatura marocchina anche diverse federazioni africane ritenute alleate fidate e, inaspettatamente, anche la Russia) e su maggiori garanzie nella realizzazione delle infrastrutture necessarie per la competizione, nonché su previsioni di introiti che doppiavano quelle del paese mediterraneo che nonostante tutto era pronto a organizzare la competizione seguendo in maniera fedele la liturgia del grande evento che è tanto in voga.
Non va dimenticato a tal riguardo che il Marocco l’anno prossimo inaugurerà la prima linea ferroviaria ad alta velocità e aveva pronto un piano che prevedeva la costruzione di nove impianti (due a Casablanca, uno a Marrakech, Meknes, Nador, El Jadida e Ouarzazate, oltre a quelli di Tetouan e Oujda per i quali i lavori sono già cominciati) e la ristrutturazione degli stadi di Tangeri, Fez e dello Stade de Marrakech, per un piano di investimenti complessivo di oltre 15 miliardi di dollari.
Nonostante la battuta d’arresto ai sogni di essere, almeno per un mese, il centro del mondo calcistico, l’operazione di creazione di una nuova immagine di modernità attraverso il calcio non si è certo fermata, anzi può contare su diverse frecce nell’arco se è vero che sin dal suo insediamento il Re Mohammad VI consideri il calcio come uno degli elementi per dare un volto più moderno e affabile al paese.
Inoltre, il 5 dicembre 2017 il Milan ha comunicato l’apertura ufficiale di una sua Academy, cioè una rete di scuole calcio giovanili, a Laayoune, che a differenza di quanto riporta il sito ufficiale della società rossonera, non si trova “nella provincia estrema del Marocco”, bensì nei territori del Sahara Occidentale indebitamente occupati da oltre quarant’anni dalla monarchia marocchina. In questa vicenda, un ruolo di primo piano è stato giocato dal sindaco della cittadina in questione, Hamdi Ould Errachid, che inoltre è anche presidente della Sahara Footbal League e responsabile della commissione incaricata della relazioni con i paesi africani per conto delle federazione calcistica marocchina.
Non è un caso quindi che per festeggiare i quarant’anni di quella che i marocchini chiamano la “Marcia Verde” e i Saharawi l’invasione della loro terra, sia stato usato anche il calcio, essendosi tenuta proprio in quella cittadina una partita celebrativa che vedeva scendere in campo, tra gli altri, Maradona, Weah, Abedi Pelè, nonché gli italiani Toldo e Altobelli, insomma l’ideale per sigillare una qualsiasi discussione ragionata su cosa fosse realmente accaduto, da sacrificare facilmente sull’altare del panem et circenses in salsa maghrebina.
D’altro canto, proprio perché il calcio è di tutti, anche la popolazione Saharawi ha avviato un progetto per la creazione di una nazionale di calcio che funga da ambasciatrice delle istanze di libertà e autodeterminazione del suo popolo che sia in grado di svolgere delle amichevoli a livello internazionale, magari già i futuri mondiali CONIFA di cui ci siamo occupati tempo addietro.
Si tratterebbe della prima selezione nata interamente in un campo profughi (principalmente quello algerino di Tindouf) e che come ha affermato il Ministro Saharawi per lo Sport e la Gioventù Ahmed Lehbib Abdi che punterà molto a offrire delle alternative soprattutto per i giovani dei campi, in modo così da lenire le asprezze della loro quotidianità e dall’altro di riuscire a creare ex novo una generazione di calciatori o aspiranti tali. Non ci resta che stare a guardare e, non ce ne vogliano i fans di Benatia & co., aspettare uno Sparwasser arabo!
Giuseppe Ranieri