Il 12 febbraio 2019 è morto Gordon Banks, stroncato da un tumore all'età di 81 anni. È con estremo cordoglio che scrivo questo articolo, al di fuori della narrazione mainstream che ha ricordato il grande portiere inglese solo ed esclusivamente per il titolo assegnatogli ufficialmente dalla Fifa della “parata del secolo”.
Amando noi lo sport, da un punto di vista differente e popolare regaliamo un’altra visione dell’estremo difensore inglese. Con questo non vogliamo togliere nulla alla bellezza di quella parata che per sempre rimarrà impressa nei cuori di ogni tifoso per stile, storia ed importanza ma come sempre ci poniamo oltre alle generalizzazioni in assoluto.
Se un lascito questo grande sportivo ci ha donato si basa sicuramente su altri presupposti. In primis l’aver frantumato l’idea infausta che da sempre sottende alla nascita del calcio e del ruolo del portiere, quello del remissivo, solitario, e incongruente con le regole del gioco.
Fin dagli albori di questo splendido sport, nei college inglesi, ricchi e gaudenti studenti costringevano le matricole nel cimentarsi nell’infido ruolo del portiere come se fosse una punizione da espiare, e a suon di mandibole rotte, braccia lussate e punti di sutura, si elevavano al rango superiore, quello dei giocatori di movimento.
Basti pensare che le modifiche ai regolamenti del calcio si configurarono spesso e volentieri come “leggi ad personam”, come l’introduzione dell’area di rigore come la conosciamo oggi, per delimitare lo spazio di movimento (per colpire il famoso portiere del Liverpool, Rose, reo di esser troppo determinante con le sue sgroppate fino a metà campo), o il non intervento arbitrale in caso di carica al portiere che spesso e volentieri fu utilizzato come sistema di gioco per fare gol.
Questo modo di pensare ha permeato la cultura calcistica inglese fino ai giorni di Banks precludendo la possibilità di una nascita di una scuola portieri di livello in Inghilterra. Chi mai si sarebbe accollato un compito così scevro da soddisfazioni?
Banks emerse in questo contesto. Figlio di operai, carbonaio prima e muratore dopo, figlio della working class di Sheffield, contribuì al cambiamento, una rivoluzione della concezione del ruolo (almeno in Europa occidentale, visti i progressi invece in Unione sovietica) per cui per la prima volta il portiere assumeva dignità agli occhi dei tifosi fino a quel tempo abituati a vedere nel portiere un male necessario, un perfetto capro espiatorio e oggetto di scherno.
Banks modernizzò il ruolo ponendolo sulla stessa importanza degli altri, lavorando sull’organizzazione difensiva, sulla tecnica, sulla possibilità di svincolarsi sulla linea di porta e sull’organicità all’interno degli schemi. Nel ’72 addirittura arrivò a vincere il “giocatore dell’anno”.
Ma fu nel ’73 che la sua carriere ebbe un sussulto per certi versi eroico ma catastrofico allo stesso tempo, dopo un incidente stradale: mentre rimuginava su un errore contro il Liverpool (i portieri sono sempre grandi rimuginatori) uscì di strada e perse un occhio, il destro. Carriera finita? Forse.
Continuò insistendo sulla geometria e sul posizionamento, poi cedette agli scarsi risultati, si ritirò e quattro anni dopo riprese le redini (sue ma anche di un cavallo bianco con cui scese in campo la prima volta) e nel ’78 fu eletto come portiere dell’anno nel Fort Lauderdale Strikers! Una storia incredibile e una passione infinita che non passarono invano, infatti dopo di lui un giovane, forte e rivoluzionario Peter Shilton raggiunse e sorpassò il suo maestro (ma questa storia ve la raccontiamo un’altra volta!).
Dopo un secolo di umiliazioni i portieri inglesi ritornarono in auge. Grazie Gordon, che la terra ti sia lieve.
Daniele Poma