Continua a fare parlare di sé, e non potrebbe essere altrimenti, la finale di Copa del Rey dello scorso 30 maggio, atto conclusivo della stagione calcistica del calcio iberico e svoltasi al “Camp Nou” di Barcellona tra la squadra di casa, vincitrice del trofeo, e l’Athletic Bilbao. Infatti, più che l’esito della partita, mai realmente messo in dubbio dall’andamento in campo, ciò che attirava maggiormente l’opinione pubblica ed i curiosi era l’accoglienza delle rispettive “hinchas” a tutto il rituale che l’avrebbe introdotta, vista anche la presenza del sovrano Felipe VI in tribuna d’onore. Ebbene, le aspettative non sono andate deluse, poiché sia la tifoseria catalana che quella basca, da sempre sulla stessa lunghezza d’onda e affini nel loro risentimento verso Madrid, hanno utilizzato l’occasione per rimarcare i loro sentimenti indipendentisti e di rigetto verso l’identità castigliana e la corona spagnola: in entrambe le gradinate hanno campeggiato delle coreografie composte da mosaici di cartoncini che andavano formando anche i colori delle rispettive bandiere nazionali.
Tuttavia il “pezzo forte” sarebbe stato l’accoglienza a dir poco ostile riservato all’inno nazionale subissato da una selva di fischi bipartisan, che a differenza di quanto accaduto nella finale di Coppa del 2012 (giocata tra le medesime squadre, ma al “Vicente Calderon” di Madrid nelle vesti di campo neutro), in cui la regia spagnola mandò tempestivamente in onda la pubblicità, sono stati sentiti in modo chiarissimo anche dalle televisioni degli appassionati del resto d’Europa che hanno potuto assistere indisturbati ad un vero e proprio tripudio di sentimenti indipendentisti. Un vero smacco per l’immagine non solo del calcio spagnolo, ma dell’intera società, ancora di più alla luce della crisi che attraversa la Monarchia e delle spinte centrifughe provenienti dalle due “regioni ribelli” che hanno visto nel referendum sull’indipendenza della Catalogna del 2014 l’ultimo momento culminante. A tal punto che un’associazione di avvocati di estrema destra “Manos Limpias” (“Mani Pulite”, già passata agli onori della cronaca per aver chiesto il rinvio a giudizio dell’Infanta Cristina, la sorella del sovrano, per un presunto scandalo a base di frode economica e riciclaggio), ha sporto querela presso il tribunale di Barcellona contro l'Athletic e il Barça, nella quale ritiene i due club responsabili diretti dei fischi (la “pitada”) all'inno spagnolo e li accusa di "oltraggiare e disprezzare uno dei simboli nazionali" davanti al capo dello Stato Felipe VI di Borbone. L’associazione nazionalista indirizza la sua querela contro varie entità, in quanto complici che hanno facilitato (permesso) i fischi e promosso "umiliazione, vessazione e odio verso le istituzioni e la società spagnola intera" e nomina come testimone il presidente della Federazione spagnola di calcio Angel María Villar. Al di là di quanto possa concretizzarsi o meno questa minaccia, resta il fatto che per l’ennesima volta, il calcio si è dimostrato un velivolo ineludibile di propaganda per le aspirazioni di autodeterminazione ed indipendenza per la comunità basca e per quella catalana e se il Barcellona sfavillante di questo scorcio di inizio millennio è uno dei migliori spot per le velleità catalane, potendo esportare un modello vincente; per quanto riguarda l’Athletic, (anche per via della differenza di valori rispetto agli azulgrana e agli altri top-team della Liga spagnola), il riuscire ad accedere a certi palcoscenici e poter così porre l’attenzione sulla questione basca, sulla salvaguardia della sua identità (declinata nel suo aspetto sportivo), è già di per sé una vittoria, almeno fino al momento in cui la squadra non riuscirà a premiare il calore e la passione del popolo che si muove al seguito dell’Athletic che anche per una partita il cui esito sembrava già segnato si è mosso in oltre 40.000 unità.
Giuseppe Ranieri