Se si dovesse scegliere una colonna sonora per la “stracittadina” editoriale che ha come protagonista il Fc St. Pauli, la squadra tedesca kult con sede nel quartiere omonimo di Amburgo, una buona scelta sarebbe Dirastar e la sua Tor zur Welt. Il derby Braun-Weiß (bianco-marrone, i colori della squadra) fra Bepress e Deriveapprodi, fatto di libri e combattuto a suon di “chiavi di lettura”, copertine e font, scivolerebbe accompagnato dal rap nu-school tedesco, nel quartiere a ridosso del porto, dove fra sexy club e sottoproletariato è cresciuta la più famosa utopia calcistica degli ultimi anni, ovvero quello del St. Pauli, aka la squadra del popolo.
Protagonisti della maratona di scrittura oltre gli editori, due scrittori nati a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta: da una parte Nicola Rondinelli, classe 1982 autore di Ribelli, sociali e romantici. F.c. St. Pauli fra calcio e resistenza edito da Bepress nel marzo 2015, dall’altra Marco Petroni, classe 1979 con St. Pauli siamo noi. Pirati, punk e autonomi allo stadio e nelle strade di Amburgo, uscito per Deriveapprodi nel maggio 2015.
Il punto di partenza per entrambi è la zona intorno alla Reeperbahn, nient’altro che il cuore pulsante del quartiere Sankt Pauli, un’“isola del piacere” a ridosso del porto di Amburgo, famosa per i locali di strip, per i protettori appariscenti ed estroversi, per i marinai e i portuali rissosi, ma soprattutto striscia di terra feconda nella genesi calcistica dell’omonima squadra di calcio, divenuta simbolo nell’immaginario della sinistra antagonista, anche per essere stato il primo club a bandire per statuto gli atteggiamenti razzisti e fascisti dallo stadio.
St. Pauli è uno dei barrio più loschi e malfamati della vecchia Europa che già a inizio Novecento, godeva di un’etichetta tutt’altro che rispettabile tanto che Marco Petroni scrive: “Secondo il giudizio di criminologi contemporanei, in breve tempo St. Pauli diventò il più grande centro di delinquenza in Europa dopo il quartiere londinese di Whitechapel”.
L’humus culturale in cui nasce, cresce e si sviluppa il St. Pauli Fc è quindi quello di un quartiere delinquenziale a ridosso del porto, riottoso e ribelle, come tanti ghetti dell’Europa moderna, dove la prostituzione e le attività illegali sono la norma e si esprime una contrapposizione con il potere costituito endemica. E non è un caso se sia Rondinelli, sia Petroni, individuano nel rapporto osmotico fra quartiere e squadra, l’asse portante del fenomeno santkpauliano.
Le radici ribelli di Amburgo risiedono per i due autori addirittura nell’Hansegeist, quello “spirito anseatico”, schiettamente autonomo e indipendente – ma anche fortemente borghese e mercantile – che “faceva della città un corpo estraneo nella Germania prussiana, un’isola di repubblicanesimo in un mare monarchico”. L’Amburgo cosmopolita, mercantile e borghese, un “porto sul mondo” attraversata da profondi aneliti di libertà contrapposta anche metafisicamente alla cupa Germania “continentale”.
È quella stessa ribellione anseatica che si tinge di rosso durante la Repubblica di Weimar e per tutti gli anni Venti, con Ernst Thälmann, il Kpd (il Partito comunista tedesco) e il Roter Frontkämpferbund (Lega dei soldati rossi di prima linea, l’associazione paramilitare e combattentistica del partito) a spadroneggiare prima di una tragica fine, mentre il porto fa da epicentro a diverse attività sovversive tra scioperi, repubbliche dei lavoratori temporanee, insurrezioni armate di massa, battaglie di strada che fanno della città un baluardo d’opposizione anche durante l’ascesa del nazismo.
Ma la storia del Fc St. Pauli che vanta sullo stemma la dicitura non established since 1910 non è ribelle dalle origini, come quella del quartiere, anzi tutt’altro. La squadra di calcio vanta natali borghesi e per gran parte della sua storia resta sospesa fra “conservatorismo e autoconservazione” così come chiarisce Rondinelli: “Il club negli anni Venti e Trenta rappresentava in gran parte gli interessi della borghesia locale, a dispetto del suo carattere controculturale odierno, ennesimo indice di demitizzazione del suo essere non established since 1910”. Al punto che almeno fino alla metà degli anni Ottanta esiste un gruppo di sostenitori del club di simpatie “destrorse”, cacciato poi dalle nuove leve del tifo organizzato e antifa.
Se è l’atteggiamento “demitizzante” quello che condividono i due autori, una delle principali sorprese di questi due libri è che nella narrazione non c’è una cieca apologia del fenomeno Fc St. Pauli, piuttosto le pagine offrono un grimaldello con il quale conoscere meglio l’universo santkpauliano, oltre la vulgata, le felpe con i teschi e i video popolari su youtube.
Scavando nella storia della squadra popolare si scopre che il borghese Fc St. Pauli, supera la Seconda guerra mondiale, non senza essersi mostrato accondiscendente con il nazismo, confermando ancora una volta quel “grigiore” apatico delle origini, ben rappresentato da Wilhelm Koch, iscritto al Partito nazista dal 1937, presidente del club (dal 1931 fino alla fine della guerra) e rieletto nel dopoguerra fino al 1969. Gli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta insomma si confondono con modesti risultati sportivi e un pubblico pagante sempre più in calo, stanco della mediocrità che si esprime sul campo.
La rivoluzione della squadra inizia invece con i gloriosi anni Ottanta e con l’intrecciarsi del fenomeno Autonomen, della musica punk e della pratica delle occupazioni abitative nella Hafenstraße, che arrivano a contaminare gli spalti dello stadio Millerntor, la casa del Fc St. Pauli. Compaiono i primi tifosi “compagni”, i primi giubbotti di pelle, le prime creste e i primi anfibi in gradinata, in una crescente euforia dal sapore di rinascita che contagia tutto il quartiere.
E per ironia della sorte – questa è un’altra sorpresa – molti di questi “pionieri” del tifo antifa, provengono dai supporters del Hsv Hamburg, la squadra più blasonata e nobile della città. Molti di loro sono in fuga dalla Bundesliga dell’epoca, disturbati dal business fiorente ma soprattutto dall’egemonia che la destra bonehead e neonazista andava acquistando nella curva del Hsv.
Ma se i due autori condividono una serie di assunti sulla nascita del club e della sua tifoseria, i due libri poi si sviluppano in maniera diversa: più “lineare” e didattico, Ribelli, sociali e romantici che parte da una lunga introduzione sulla storia moderna di Amburgo, toccando i momenti salienti del Novecento tedesco, per arrivare a indagare con dovizia di particolari, non solo la squadra e i suoi tifosi, ma anche molti aspetti societari estremamente tecnici, inclusi il marketing e la struttura del club tra organismi e assemblee. Non manca nel testo di Rondinelli un’attenta analisi dei progetti di inclusione sociale e le battaglie contro il razzismo, ma anche le scuole calcio che il network sanktpauli organizza, nonché l’esperienza personale dell’autore al seguito della squadra.
Più evocativo e narrativo invece St. Pauli siamo noi di Marco Petroni, con continue similitudini “a spasso nel tempo”: nell’introduzione si parte dall’esperienza dello scrittore come spettatore dei Braun-Weiß, per tornare alle origini del club, passando per gli Autonomen e i concerti punk, ma anche alle aggressioni squadriste contro le realtà occupate di Hafenstraße, da sempre retroterra culturale del tifo sanktpauliano, nonché le battaglie fra kids del quartiere e tifoserie bonehead.
In altre parole, per restare in argomento rap e hip-hop, senza dare un giudizio di merito ma ragionando piuttosto sulle chiavi interpretative, sull’estetica e sul tipo di lente scelta per osservare il fenomeno, Petroni sceglie un impianto più sociologico e mostra maggiore flow, grazie anche a una prosa scorrevole e a una divisione spaziale del testo azzeccata. Rondinelli invece imbocca la strada della storia più evenemenziale, mostrandosi più conscious e meno sperimentale anche a causa dell’impianto scientifico del lavoro (il libro prende il via da una tesi di laurea). Prevalgono insomma i fatti e gli aneddoti nel libro edito da Bepress, mentre nel testo di Deriveapprodi sono le narrazioni a essere poste più in risalto.
E se proprio di storie bisogna parlare, la più bella raccontata da entrambe riguarda Klaus Störtebeker, pirata sospeso fra mito e leggenda, spina nel fianco della Lega Anseatica che attorno al 1400 compiva incursioni nella città di Amburgo, depredando i ricchi carichi delle molte navi che transitavano per il porto.
Störtebeker fu arrestato, processato e condannato a morte insieme a 73 dei suoi uomini. Ma prima di aver mozzata la testa, riuscì a strappare un patto al Borgomastro della città: i suoi uomini avrebbero avuto la vita salva, se lui fosse riuscito a correre con la testa mozzata oltre i loro corpi. Così fece schierare i suoi vicino alla forca e dopo che il boia gli mozzò la testa, il suo corpo corse superando la fila degli uomini, salvando undici compagni in una versione meno celebrativa della leggenda e tutti, in un’altra più apologetica. E la fama “sinistra” del pirata è arrivata sino ai giorni nostri tanto da essersi tramutato in uno dei simboli del network St. Pauli, contribuendo a riempire di significati l’estetica “pirata” della curva del Millerntor.
E oggi oltre il mito, per la squadra di Amburgo resta la sfida più difficile: quella di rimanere genuinamente popolare, radicata nelle lotte del quartiere, nemica della gentrification ma anche e soprattutto lontana dalla commercializzazione del brand Fc St. Pauli che rischia di diventare un feticcio mercificato grazie alla familiarità che le Jolly Roger (le bandiere pirata simbolo della tifoseria del club) hanno acquisito in parecchie curve del mondo. La tensione costante fra tifosi, società e azionariato popolare al momento riguarda soprattutto questo tema. E sembra questo il nodo centrale, su cui si giocherà il futuro per tutto l’ambiente e il tifo Braun-Weiß.
Filippo Petrocelli