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Abbiamo visto i nostri demolire uno stand che vendeva wurstel e rovesciare un grill a carbonella. L’intero accrocco è bruciato come una torcia sovradimensionata dentro lo stadio dell’Amicizia semibuio. Io e Kai siamo rimasti spalla a spalla a incitare il fuoco, con la luce delle fiamme che si riverberava sui nostri denti scoperti, mentre Tomek e Hinkel e Toller e mio zio si sono messi a tirare pugni ai poliziotti. Quelli li picchiavano con i manganelli, ma loro mica indietreggiavano. Anche se avevano solo le mani, si difendevano con quelle. Io e Kai ci siamo guardati e lui ha pensato la stessa cosa che ho pensato io, e abbiamo giurato entrambi che anche noi non saremmo mai indietreggiati e che un giorno saremmo stati lì con loro. In primissima fila. E abbiamo sigillato il nostro giuramento dandoci il cinque. Philipp Winkler, Hool (66thand2nd, 2018)

Hool, romanzo di esordio di Philipp Winkler (classe 1986), scrittore cresciuto nei sobborghi di Hannover, è stato tra i libri finalisti al Deutscher Buchpreis, il più importante premio letterario tedesco, e ha vinto il ZDF-aspekte-Literaturpreis 2016.

 

Hool è una gemma della narrativa teutonica. Eppure questo libro non rompe le palle. Perché la sua scrittura non è aliena a noi che abitiamo le rovine delle civiltà. La sua lingua non dista anni luce dal gergo “comune”, parlato dagli individui che deambulano sull’asfalto di strade senza uscita nelle città morte. Non ci troviamo di fronte a una narrazione compatibile tesa a essere accettata nei salottieri circoli ufficiali della cultura. Winkler è entrato prepotentemente a gamba tesa dentro l’area del panorama letterario tedesco.    

Hool non annoia come la maggioranza dei romanzi finalisti dei più importanti premi letterari italiani. Quelli raccontano docili storie di licei per pariolini, di annoiate esistenze borghesi o di cittadini desiderosi di biodiversità, da ritrovare passeggiando in montagna.

Questo al contrario, è un testo che avvicina il disadattato alla letteratura. Al piacere di leggere.  

Dentro Hool troviamo condensati tutti gli elementi che spingono, motivano a comprare un libro. Quegli ingredienti che il lettore di genere, notoriamente un nerd, spera di trovare nelle pagine di un romanzo. Scontri tra firm di hooligan, risse con i nazisti, fiumi di birra, pasticche e gabber (un binomio perfetto come fish and chips), combattimenti di cani, pippate al cesso, partite di calcio, ring e paradenti, farmaci dopanti spacciati ai palestrati di periferia, buttafuori, skinhead, biker, canne rollate a nastro, fucili e pistole. Cominciando da Sigfrid, l’avvoltoio con un occhio solo perso in un match con un corvo reale, passando al traffico illegale - in furgone - di una tigre dalla Polonia alla Germania, fino ad arrivare all’unica barricata rimasta in città: la birreria Timpen solitario baluardo contro la gentrificazione.

Nella lista della spesa mancano solo sesso e pornografia. Elementi che, grazie a una magistrale costruzione dei personaggi, sappiamo presenti nella vita dei protagonisti. Ma esclusi dalla scena perché già incarnati dai personaggi stessi. Nella narrazione c’è spazio solo per un amore platonico e voyeur all’altezza dei migliori romanzi Harmony in vendita negli autogrill.   

Il testo non è solo l’inventario delle nefandezze, Winkler riesce a regalarci molto altro. Lo scrittore mixa i comportamenti e lo stile casual con la fragile intimità del protagonista. Come un dj campiona i rumori dei bassifondi e scratcha sul disco incantato, che gira sullo stesso solco della vita di Heiko, l’antieroe della storia. La sua è un’esistenza dove tutto è spazzare merda. La città dove vive, la sua famiglia disastrata, gli affetti, il lavoro, il calcio moderno, gli ultras e i tifosi organizzati dello stadio. Dove l’unica cosa che resta e conta è la banda. Gli amici di cui ti fidi. I soci, i complici con cui combatti le altre gang. Dentro una lotta il cui senso non è l’affermazione sugli altri gruppi, ma urlare dal sottosuolo al cielo: io sono vivo! Io non sono ancora morto!

Gli scontri tra hooligans, i traffici illegali e i combattimenti di animali feroci si trasformano in particelle di un microcosmo articolato e complesso.

Il pianeta descritto è situato oltre la banale rappresentazione orbitante nell’infosfera mediatica. Siamo lontani dalla narrazione giornalistica e sociologica che raffigura le curve degli stadi come un luogo frequentato esclusivamente da emarginati, teppisti, disoccupati e tossici. Hool nelle sue pagine descrive uno stile di strada dove i quartieri di periferia, il consumo e lo spaccio di droghe, la disgregazione familiare, le palestre di pugilato e arti marziali sono solo una parte delle origini e della realtà degli hooligan. Una sottocultura che oggi accomuna i figli della working class a soggetti provenienti da classi elevate. Perché nella realtà tutto si mescola, anche i ceti sociali, in un mondo dove la coscienza di classe ha perso la sua rigidità e insegue altre regole.  

Philipp Winkler parla di un universo da lui abitato. Vissuto. Da tifoso che ama le gradinate e non trova piacere o interesse nel guardare le partite in televisione, la sua passione travalica le frontiere del contesto locale, sviluppando negli anni curiosità e interesse per tutto ciò che gira intorno al football.

La storia dei posti allo stadio, tra quelli assegnati e quelli dove ti tocca stare, è complicata. Cioè, in generale. Chiaro che ognuno ha un posto a sedere assegnato, quello stampato sul biglietto. Però in curva Nord, la curva dei tifosi di casa, nei posti in alto ci trovi i gruppi ultrà che hanno più tradizione. Nell’anello inferiore ci vanno i nuovi. Facile che poi abbiano delle gerarchie interne. In modo che la vecchia guardia possa guardare dall’alto la plebe dei giovinastri, roba così. In ogni caso, noi con loro non abbiamo, né abbiamo mai avuto, niente a che fare. A dispetto di quello che raccontano i cosiddetti media, che ci buttano sempre nel mucchio insieme agli ultrà. Ma che cazzo ne sanno quelli.

Winkler da “vero” scrittore, prima di scrivere questo libro, ha intervistato per cinque mesi hooligans, tifosi e poliziotti in servizio da anni negli stadi. Il romanzo ambientato in Germania ad Hannover, città terminale della Ville Lumiere industriale, racconta le vite di Heiko Kolbe e dei suoi amici di sempre, Kai, Ulf e Jojo. Quattro giovani tifosi dell’Hannover 96, la cui unica ragione di vita e scopo ultimo per sopravvivere, è scontrarsi fra hooligans, in mezzo ai boschi o in aree industriali dismesse, per restare a distanza dagli sbirri e nascosti alle telecamere degli stadi. Unica regola di queste “cavalleresche” sfide è il divieto di portare armi.

In Hool i combattimenti diventano vera ossessione. Per Heiko, l’anti-eroe, lo scontro fisico è una fissa come per Tyler Durden (il protagonista di Fight Club). Allenarsi in palestra, organizzare l’incontro, cercare e trovare luoghi sicuri, zone fuori dal controllo dove convocare la firm rivale per il match, è ragione di vita!

«Ehi,Heiko!». Kai mi dà una gomitata nel fianco. «Il telefono». Il cellulare che ho preso al discount vibra fra noi sul sedile. Lo raccolgo con le dita che tremano. Mio zio guarda dallo specchietto laterale. Schiaccio il tasto con la cornetta verde. «Dove siete? Vi stiamo aspettando» dice la voce del tizio del Colonia con cui ho organizzato il match. Abbasso il finestrino per vedere meglio fuori, cerco qualche punto di riferimento. «Siamo a Olpe, appena usciti dalla B55. Ci siamo quasi, no?». «Seguite l’In der Wuste. Alla seconda rotatoria girate a destra. Fate tutto l’Am Bratzkopf  finché non uscite dal paese. Il bosco è sulla destra. Non potete sbagliarvi». Prima che riattacchi gli ripeto ancora una volta gli accordi. Quindici uomini da una parte, quindici dall’altra. Poi metto giù.

La prima scena del libro è una rissa in mezzo ai boschi, fuori città. Heiko, lo zio Axel - il capo della firm - e altri tredici uomini aspettano di battersi contro quindici tifosi del Colonia. Nel quadro di apertura, la scrittura febbrile dell’autore rende viva, palpabile, l’adrenalina, il sudore, la tensione e l’esplosione di violenza. Un capolavoro.

Anche uno degli ultimi capitoli racconta una battaglia, ma nel frattempo, come nei migliori romanzi, è cambiato quasi tutto. Per colpa di una spedizione punitiva andata male, organizzata all’insaputa dei vecchi del gruppo, qualcosa si spezza. Le storie dei quattro ragazzi, supporter dell’Hannover 96, vengono investite dall’avanzare tritatutto della vita, restandone segnate per sempre.

Si può restare amici quando si sono perse le ragioni che tenevano uniti?

 

Duka

Categoria: Recensioni

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