Magari non avrà la stessa importanza di quella tra Real e Atletico Madrid che negli anni passati ha assegnato ben due finali di Champions League, ma è indubbio che avere in finale una stracittadina, a maggior ragione se londinese, mantiene sempre una certa dose di fascino.
Eppure, nonostante queste premesse appetitose, la marcia di avvicinamento a quello che è già destinato a diventare inevitabilmente uno dei capitoli imprescindibili dell’infinito romanzo della lotta per la supremazia calcistica nella city, è stata scandita dalle polemiche e dai veleni.
A partire dalla sede designata per la partita, la capitale azera Baku; tanto per citare l’allenatore del Liverpool Jurgen Klopp, «andare a Baku per una finale è veramente assurdo [...]. I signori che prendono questa decisione non so cosa abbiano mangiato a colazione. C'è almeno un volo di linea? Queste decisioni vanno prese in maniera ragionevole e invece sono stati degli irresponsabili».
Effettivamente, di motivazioni per concordare col tecnico tedesco ce ne sono a iosa: non ci riferiamo tanto alla più ovvia delle obiezioni, vale a dire che solo grazie a un’interpretazione abbastanza fantasiosa si può identificare l’Azerbaijan come territorio europeo, essendo a tutti gli effetti parte di quello asiatico (ma diciamo che a ciò siamo già abituati) e che probabilmente non dovrebbe avere molto a che fare con le competizioni sportive europee se non contribuire a renderle ulteriormente disagevoli gli spostamenti.
Per ulteriori delucidazioni, basterebbe chiedere a quei pochi privilegiati tra i tifosi del Chelsea e dell’Arsenal che si sono messi in viaggio per Baku (poco meno di 4000 km in linea d’aria da Londra) e che, loro malgrado, hanno scoperto che non esiste un volo diretto da Londra alla capitale azera e che, oltre a dover ottenere un visto speciale per potervi accedere, hanno dovuto sborsare oltre mille euro solo per il volo di ritorno.
Ma i disagi non finiscono qui, anzi il peggio deve ancora venire: infatti oltre alle difficoltà logistiche, si aggiungono anche quelle di reperibilità dei biglietti visto che, nonostante la capienza dello Stadio Olimpico di Baku sia di 68.700 posti, alle due tifoserie sono stati assegnati non più di 6000 biglietti ciascuno (in realtà il Chelsea ha dichiarato di averne per l’esattezza 5801), limitando notevolmente l’afflusso di entrambe le tifoserie che, come tutte quelle d’Oltremanica, sono famose per le massicce presenze all’estero, ovattando di conseguenza l’atmosfera di questa finale e rendendola a dir poco surreale; così come a dir poco surreale è la motivazione data dall’Uefa per questa scelta, vale a dire la difficoltà per organizzare i viaggi alla volta di Baku, senza scordare il fatto che l’aeroporto della capitale azera può accogliere non più di 15.000 arrivi. Allo stesso modo, anche il numero delle strutture alberghiere è a dir poco carente e i tifosi in trasferta dovranno arrangiarsi come potranno, attingendo anche a dormitori universitari e campeggi.
Non si può parlare certo di imprevisti dell’ultimo minuto, infatti Baku era già stata candidata per ospitare la finale di Champions League del 2017 ed è stata scartata proprio prendendo in considerazione questa molteplicità di fattori, quasi come se l’Europa League, e di conseguenza i tifosi che essa muove, non meritino le tutele di chi segue le squadre di Champions League… o magari è più facile chiudere un occhio per l’assegnazione della coppa meno importante.
Finito qui? A dir la verità non esattamente, anzi al netto della paradossale situazione che vede il portiere titolare in Europa League dell’Arsenal, Petr Cech, storico estremo difensore del Chelsea che tra poche settimane terminerà la sua carriera come calciatore per diventare direttore sportivo dei blues, tanto da spingere i tifosi dei gunners a richiedere ad alta voce la presenza dell’altro portiere Leno, e al di là di quello che potrà accadere in campo, questa finale è destinata a essere ricordata a lungo per l’affaire-Mkhitaryan.
Infatti, la stella armena dell’Arsenal non farà parte della spedizione che punta a portare la coppa all’Emirates Stadium, a causa del conflitto che vede contrapposti l’Azerbaijan e l’Armenia che di fatto non hanno relazioni diplomatiche, tant’è che generalmente Baku non consente ai cittadini armeni di entrare nel proprio Paese, e anche nelle precedenti occasioni il numero sette dell’Arsenal non si è mai recato in territorio azero, né quando indossava la divisa del Borussia Dortmund e neanche lo scorso ottobre quando l’Arsenal fu ospite del Qarabag, ma sicuramente una finale ha un peso specifico decisamente diverso.
La ragione di tutta questa ostilità è dovuta al conflitto tra Armenia e Azerbaijan riguardo il Nagorno-Karabakh, una regione autoproclamatasi indipendente (ma che ad esempio l’Italia riconosce come territorio azero) che de iure farebbe parte dell’Azerbaijan, ma a maggioranza armena, che grazie alle truppe di Yerevan ha occupato quasi tutta la regione, facendo nascere nel 1991 l’autoproclamata repubblica di Artsakh e impedendo l’accesso agli azeri.
Un conflitto che, come spesso accade nelle zone di confine, sovrappone motivazioni religiose, economiche e di rivendicazioni nazionali e che risale, almeno nella sua versione moderna, ai primi moti rivoluzionari in Russia del 1905, successivamente neutralizzato dalla “politica delle nazionalità” adottata dai bolscevichi e che riesplode negli ultimi anni dell’Unione Sovietica, quelli dell’agonia gorbaceviana e della perestrojka, sembrerebbe (e il condizionale è d’obbligo) che proprio i tumulti secessionisti nella regione causarono le prime grandi manifestazioni di protesta all’interno del territorio sovietico sotto l’amministrazione Gorbacev, tant’è che successivamente ebbero gioco facile nel trasformarsi in proteste anti-governative. In ogni caso l’apice della tensione si ha tra il 1992 e il 1994 provocando oltre 30.000 morti ed ha avuto una nuova escalation nell’aprile 2016.
Ufficialmente, la motivazione di tale assenza decisa insieme dal giocatore e dalla società risiede nella mancanza di sicurezza per il calciatore, nonostante sia l’Uefa che le autorità azere avessero garantito per la sua incolumità, ma probabilmente la motivazione è più politica, in quanto Mkhitaryan rappresenta un vero e proprio simbolo per la sua gente e quindi la sua assenza (che sembra fortemente caldeggiata dalle stesse autorità armene) assumerebbe una valenza simbolica, ai limiti del boicottaggio politico che, oltre a rimettere sotto i riflettori la questione Nagorno-Karabakh, metterebbe in forte imbarazzo la nazione rivale, vogliosa in tutti i modi di costruirsi una nuova immagine a botte di petroldollari e già alle prese con tutte le accuse di corruzione e di grosse mancanze nella libertà di stampa e di espressione con tanto di richiami ufficiali dalla comunità internazionale. Come se servisse un’ulteriore dimostrazione di quanto sia ingarbugliata la situazione, basterebbe vedere le scene delle ultime ore di tifosi dell’Arsenal in giro per Baku fermati dalla polizia azera solo per aver addosso la maglia di Mkhitaryan!
Sicuramente, il fenomeno dello sport-washing, vale a dire utilizzare lo sport per ripulire la propria immagine internazionale, non è certo un’invenzione di oggi, sebbene in questi ultimi tempi i casi siano proliferati, da Israele all’Arabia Saudita, passando per il Qatar ecc. (e prossimamente ci torneremo più approfonditamente); perciò non può sorprendere che anche l’Azerbaijan voglia intraprendere questa strada potendo contare sui grandi introiti della rendita del greggio e di quei gas che vorrebbero trasportare fino al Mediterraneo grazie al Tap, all’interno di una strategia di ben più ampio respiro (che ad esempio comprende anche la presenza di un proprio padiglione al Salone del Libro di Torino del 2018) che negli ultimi anni ha portato, oltre alla finale di Europa League di stasera, il Gran Premio di Formula 1, gran galà di boxe e gli Europei di ginnastica ritmica. Ma al di là della questione politica è indubbio che a rimetterci, oltre all’Arsenal che non potrà schierare uno dei suoi giocatori di maggior talento, sarà la credibilità del calcio, ma soprattutto quella dell’Uefa e del suo comitato esecutivo che hanno affrontato con tanta superficialità una situazione così delicata.
Giuseppe Ranieri