La prima cosa che ho chiesto a Romano Lupi è stata se avesse mai giocato in porta.
Sì perché puoi scrivere di portieri, puoi parlane, discuterne e criticarne ma se non sei mai stato uno di loro la tua visione sarà sempre parziale e monca. L’essere portiere è uno stato emotivo-esistenziale che accomuna tutti i numeri uno. Tutti nessuno escluso.
Quando lessi la biografia di Jasin (Curletto-Lupi), la bellissima biografia ergo, mi colpirono tre momenti particolari che gli autori descrissero proprio a voler rimarcare la grandezza come portiere, l’umanità e moralità come cittadino sovietico.
L’attitudine innata in primis, Jasin in fabbrica (sì esatto fece anche l’operaio): si diceva “parasse” bulloni tirati dai colleghi per testarne i riflessi e capacità, questa cosa mi colpì perché la reiterazione del gesto della parata nasce prima dell’idea di mettersi tra i pali.
Inoltre, il fatto di aver vinto il pallone d’oro (unico nella storia del calcio) nel ‘63 a un anno di distanza
dalla sconfitta nei mondiali cileni del ’62 (dove venne incolpato per l’eliminazione in toto), dove Lev quasi si decise a lasciare il calcio, tanto virulenti e falsi furono gli attacchi.
La forza d’animo e la passione gli fecero però da scudo e sfoderò negli anni a seguire forse le prestazioni migliori.
Altra cosa che mi sconvolse fu il fatto che la moglie ricuciva pantaloncini e guanti ogni fine anno calcistico in modo da riconsegnarli alla Dinamo Mosca nelle migliori condizioni possibili, questo fatto fece volare il mio immaginario personale, il calciatore più forte del mondo che nel ’63 riconsegna a fine anno le dotazioni calcistiche logore, passate e vecchie in una mano mentre nell’altra sostiene il pallone d’oro!
Episodio che ti riconduce a un’era in cui il business non era la linfa vitale del calcio.
Ma al di là di tutto, Lev Jasin e successivamente Rinat Dasaev sono e saranno ricordati nei secoli a venire per la rivoluzione tattica di cui il primo è portatore e il suo “discepolo” Rinat è il perfezionatore.
È il tratto che più li accumuna, ossia quello di aver fatto scattare in avanti le lancette dell’orologio della storia del ruolo.
Un approccio nuovo al ruolo, il dinamismo dentro e fuori l’area di rigore, l’organicità dentro gli schemi non solo difensivi ma anche di attacco, la rivoluzione degli allenamenti specifici. Il portiere non solo baluardo ma playmaker basso!
A 90 anni dalla nascita del ragno nero Jasin, Romano Lupi ci racconta la storia di Rinat Dasaev, di uno dei più
grandi portieri di sempre, che lega la sua storia personale e sportiva con le vicende della caduta dell’URSS.
Un libro bello e importante, perché evidenzia al suo interno non un monografia su Dasaev , ma partendo dallo stesso parla e ci descrive un mondo, quello del calcio sovietico, ai più sconosciuto ma che nasconde dei tratti così coinvolgenti e umani da renderlo unico.
Il voler esaltare il ruolo del portiere di Astrachan, raccontandone gesta e parate come anche cadute e papere, è restituire quella dimensione e quel sentimento che da sempre caratterizza la madre patria Russia per il ruolo del portiere e l’idealizzazione dello stesso.
Ei portiere, preparati alla battaglia!
Sei di guardia alla porta!
Immagina che dietro di te
Corra la linea di confine!
Così recita la marcia dello sport.
Ma non solo quando si gira nella famosa metropolitana (o nei monumenti sportivi), sono sempre i portieri a essere rappresentati e issati a simboleggiare il calcio.
È cosi strano in un mondo dove tutti sognano di essere Pelè, Maradona, Zico o Crujiff, lì oltre cortina si sogna di diventare il baluardo invincibile con il numero 1 sulle spalle. In nessun paese al mondo dove il calcio è amore e tradizione è successa questa cosa. E così in Russia troviamo un’opera teatrale, poi divenuta film che si intitola La repubblica del portiere.
Quadri di portieri, icone del realismo socialista come lo stupendo dipinto di Deneika, appunto Il portiere.
Ma le vite di un portiere non sono mai idilliache tout court, e cosi la vita di Rinat Dasaev non fa eccezione.
E passare nel 1988 da miglior portiere del mondo (titolo ufficiale del IFFHS) a bidone in terra straniera il passo è decisamente corto.
La carriera di Dasaev è trapassata inevitabilmente da ciò che avviene nel suo paese, quel suo grande paese che di lì a poco scomparirà dalle cartine geografiche.
Tutto ciò viene raccontato meravigliosamente da Romano, un libro che è una biografia di un gigante del ruolo ma al tempo stesso manuale di storia del calcio sovietico degli anni ’80, ma non si esime dal raccontare la storia di quel grande paese che era l’URSS.
È per questo che mercoledì 4 dicembre al Cinema Palazzo parleremo e presenteremo, nella prima presentazione romana, Il portiere di Astrachan. Voli e cadute di Rinat Dasaev.
Il libro è edito dalla casa editrice Fila37, che già in passato ha pubblicato libri sul calcio sovietico.
Ultima cosa che mi piace sottolineare, il libro stesso inteso come oggetto, è bellissimo e la copertina del libro è tra le più belle mai avute.
Sarà un piacere.
Daniele Poma