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Ai tempi delle restrizioni governative e del Corona virus, c’è un'attitudine che abbiamo sempre coltivato e che continueremo a coltivare anche quando la normalità tornerà (e presto si spera), ossia quella di leggere e scrivere e sovente di socializzare quello che un libro o una rivista ci ha suscitato, una sorta di rubrica per i consigli (o sconsigli) sugli acquisti. Chiaramente nel nostro piccolissimo e con tutta l’umiltà di questo mondo.

Scriviamo oggi di questo piccolo libro, edito da Mattioli 1885, precursore di quello che abbiamo visto (tra l’incredulità per quello che sta succedendo a livello di pandemia e con il tarlo del “show must go on”) nei ritorni di Champions League, dove i protagonisti assoluti in campo sono stati da una parte l’eleganza, la forza, la classe di Ilicic, per quel che concerne il passaggio del turno dell’Atalanta, e dall’altra un muro vestito di giallo e di nome Oblak, portiere protagonista dell’altro superbo ottavo di finale vinto dall’Atletico Madrid. Entrambi i protagonisti sono sloveni.

E questo libro parla di territori balcanici, di Slovenia (di cui uno degli autori è nativo) come di Serbia e di Bosnia. Di calcio come di basket.

 

Scrivere sulle opere del nostro amico e compagno Marco Ballestracci è sempre molto gratificante.

Quando ci siamo sentiti dopo l’uscita del libro ci ha tenuto a precisare che era sì un libro di sport, ma soprattutto un libro che parla di Yugoslavia, della sua implosione, della sua tragica storia recente.

Si parla di sport e lo si fa con uno dei più grandi di sempre, Sergio Tavcar, mitico allenatore e conduttore sportivo in seno alla tv della minoranza italiana in Istria.

Fine conoscitore di sport, specializzato in basket (ma non solo), arrivato alla ribalta per la fortunata, geniale e quanto mai ben assortita coppia formata insieme a Dan Peterson.

L’idea della conversazione da bar sul confine triestino direi che è stata azzeccata, ne esce un libro agile, informale, istruttivo, con un punto di vista che si aliena da qualsiasi drappo ideologico.

Ci sono alcuni momenti del racconto di Tavcar particolarmente belli, e che possono dar spunto per qualsiasi ragionamento sullo sport dal basso.

Oltre a degli spunti educativi non indifferenti, come il racconto dei circoli ricreativi (una sorta di oratori laici) dove i bambini di qualsiasi età crescono dentro dei luoghi dedicati allo sport in generale dove ognuno è libero di scegliere cosa vuol fare a seconda delle sue caratteristiche fisiche (e tecniche) e non, ma con un minimo comune denominatore per tutti, la palla, molto comune nei paesi del campo socialista.

E qui si passa all’elogio della “palla” e di quanto amore sincero i popoli dei Balcani provino per questo oggetto.

E non a caso l’amore per la palla, la gestione di essa, la sua spettacolarizzazione, ha decretato la nascita nei Balcani di fenomeni in campo cestistico fuori dal comune, ma anche in campo calcistico.

La capacità di gestione della sfera come motivo per irridere l’avversario, attrarlo per decretare la propria superiorità, la rivalsa, come una miscela entusiasmante della tecnica balcanica.

Come fu per le giocate di Susic che andavano oltre una vittoria o una sconfitta, ma era momento catartico, l’esaltazione parossistica per l’irrisione.

E qui non è possibile non citare il “Mozart della pallacanestro” Drazen Petrovic, la sua naturale ossessione per il basket.

Ma come dicevamo, le pagine non trasudano solo amore per lo sport, ma si interrogano, sfociano, parlano di politica, di nazionalismo, non risparmiando nessuno, anzi cercando di educare alla lettura dei caratteri nazionali che emergono. È un libro quasi didattico, gentile anche nel suo criticare il panserbismo. Non tralascia (e qui va dato atto a Marco Ballestracci) nulla della storia recente e degli episodi chiave di questa guerra violenta, dall’assedio di Vukovar alla famosa partita del 1990 al Maksimir.

Per questo ci sentiamo di consigliare questo libro.

Daniele Poma

Categoria: Recensioni

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