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Cosa sono esattamente gli e-sport?

Per e-sport si intendono tutte le competizioni nazionali o internazionali svolte su titoli videoludici. Può essere e-sport sia il torneo di FIFA che quello di “League of Legends”.

Riusciresti a tracciare una breve storia del movimento e anche di Powned?

Il tutto nasce oltre vent’anni fa, anzi direi che nasce con la nascita dei videogiochi, anche se è indubbio che un cambiamento epocale c’è stato negli anni Dieci, perché hanno cominciato a interessarsi realtà più grandi, è aumentato a dismisura il numero dei giocatori e perché internet è arrivato in forma capillare un po’ ovunque, cosa che mancava anche nel decennio precedente. Perché comunque la base per gli e-sport non è tanto o non solo il videogioco, ma una connessione internet, perché anche per i tornei offline, cioè con tutti i giocatori nello stesso posto, la connessione resta imprescindibile.

 

Quanto a Powned, esso nasce nel 2013 come sito internet d’informazione. Il nostro obiettivo iniziale era quello di dare le prime informazioni sul mondo degli e-sport. Considera che all’epoca non esisteva nemmeno questa parola, si alternavano indistintamente “e-games” o “giochi elettronici competitivi” e chissà ancora quanti altri termini; poi nel 2014 abbiamo iniziato a parlare specificatamente di e-sport e adesso il nostro sito è sostanzialmente il portale italiano più importante nel settore. Abbiamo anche un’associazione sportiva con cui abbiamo fatto delle competizioni, adesso ci stiamo concentrando maggiormente sul lato editoriale, abbiamo aperto uno shop in e-commerce dedicata agli e-sport e al materiale a essi correlato, compresi anche i film e le serie televisive; organizziamo settimanalmente tornei online nelle nostre community facebook che sono la nostra arma principale di diffusione di massa. Attualmente ci sono circa cinquanta persone che collaborano con noi non solo nel territorio nazionale.

Quali pensi siano i principali punti di forza e i limiti degli e-sport?

Tra i punti di forza c’è sicuramente l’abbattimento di quelle barriere che sono da sempre esistite in tutte le competizioni: basti pensare che cadono tutte le differenze tra persone normodotate e portatori di handicap, gli e-sport coprono questo gap, potremmo quasi dire che da questo punto di vista sono “assolutamente democratici” e inclusivi. In diversi nostri tornei abbiamo avuto dei partecipanti disabili che giocavano perfettamente alla pari con gli altri competitors, ottenendo anche risultati pregevoli. Un discorso analogo può essere esteso alla questione di genere, sebbene esistano alcuni campionati riservati a maschi o femmine questi sono tendenzialmente criticati in maniera anche abbastanza aspra dal movimento, proprio il movimento internazionale degli e-sport vuole travalicare qualsiasi tipo di barriera.

Per quello che riguarda i limiti, bisogna sempre partire dal presupposto che il mondo del videogioco va trattato con la dovuta attenzione, non bisogna confondere i semplici amatori con chi lo fa per professione e gioca magari sette o otto ore al giorno, perché viene pagato per farlo ed è un atleta a tutti gli effetti che nella maggior parte dei casi segue delle diete e una tabella di esercizi fisici datagli dal team di appartenenza o comunque da degli specialisti e devono sottostare a determinate norme.

Quanto è diffusa questa realtà in Italia?

Non eccessivamente, ma nonostante ciò bisogna registrare un grosso sviluppo, soprattutto nell’ultimo biennio, da Nord a Sud (anzi probabilmente lo sviluppo più poderoso è avvenuto in Sicilia e Campania dove gli e-sport “tirano” davvero tanto) e che si sta creando una bella spinta dal basso.

Avete avuto dei riconoscimenti istituzionali?

A livello istituzionale siamo un pochino indietro: il CONI non ha ancora ufficialmente riconosciuto gli e-sport, aspetta direttive dal CIO. In giro per il mondo la situazione è un tantino diversa, ad esempio, proprio qualche settimana fa la Nuova Zelanda ha riconosciuto gli e-sport a tutti gli effetti. Il riconoscimento istituzionale per noi sarebbe importante perché ci permetterebbe di categorizzare l’intera struttura dei tornei, regolamentandoli ed accedendo a dei finanziamenti per la federazione.

In Italia, ancora una regolamentazione non c’è nonostante ci siano diversi enti sociali di promozione sportiva che contengono sezioni specializzate: in ciò ad esempio l’Ente Nazionale delle Associazioni Sportive Dilettantistiche Italiane ha al proprio interno un settore denominato “Giochi elettronici competitivi”, che sono delle vere e proprie organizzazioni che aspirano a diventare la futura federazione. La strada è ancora lunga. La palla ce l’ha il CIO, ma il fatto ad esempio che gli e-sport siano entrati nei Giochi Asiatici, proprio nel medagliere, è un segnale estremamente positivo dal nostro punto di vista.

Ti assicuro che gli sport tradizionali hanno più bisogno di noi di quanto gli e-sport non abbiano bisogno degli sport tradizionali: prendi la Serie A o la Formula1, trasmettere i videogiochi è uno di quei modi per avvicinarsi ai millennials che non provano interesse per gli sport tradizionali.

Come vi spiegate questa crescita esponenziale del movimento?

È chiaro che questo è il futuro dell’intrattenimento: tutti giocano ai videogames, proprio come negli anni Settanta tutti giocavano a calcio, quindi tutti guardano con estremo interesse le sfide a livello internazionale allo stesso gioco a cui giochi anche tu a casa e ci tengono a vedere lo sviluppo internazionale della scena di quel gioco. In fondo il ragionamento non è così dissimile da com’era per gli sport tradizionali, così come dimostrano le trasmissioni in streaming sempre interessanti e in costante aumento.

Tu ci conosci e conosci la nostra visione della vita e di conseguenza anche dello sport, alla base di tutto ciò, tu giudicheresti gli e-sport uno sorta di sport popolare? Perché?

Uhmmm… Domanda interessante! Secondo me sì, può rappresentare un nuovo prototipo di sport popolare a patto di concettualizzare cos’è lo sport popolare. Per me lo sport popolare è quello che viene dal basso che è orizzontale ed è a portata di mano di tutti. Sicuramente mi rendo conto che è un po’ estremo definirlo sport popolare tout-court, perché ad esempio nel calcio, in cui tutti possono trovare un paio di scarpette (e non sono nemmeno necessarie), per giocare negli e-sport devi avere almeno un cellulare per fare un torneo “clash royale”. Ecco, questo già è un importante indizio che ci può suggerire che questo sarà lo sport popolare 2.0 se non 3.0. Quindi l’estrema raggiungibilità per tutti, ma anche il fatto che a differenza di tanti sport tradizionali, praticarlo è quasi completamente gratuito: tu non devi pagare niente per giocare, invece ad esempio quando giocavo io a basket dovevo mettere una quota mensile. Ad esempio in Corea è già uno sport popolare a tutti gli effetti: chiunque gioca agli e-sport a tutti gli effetti, mentre credo che in Italia succederà probabilmente nei prossimi cinque anni.

Quali possono essere le maggiori difficoltà per avviare un team di e-sport e i pregiudizi che dovete affrontare?

Le maggiori difficoltà sono quasi sempre di tipo economico, perché tenere una struttura organizzativa efficiente comporta dei costi impegnativi. Ad esempio noi nei momenti di picco avevamo decine e decine di atleti tesserati, diversi coach, diversi team manager, diversi analyst (cioè gli scout che vanno a vedere le partite e analizzano i risultati), avevamo anche uno psicologo per concordare dei programmi per i nostri atleti per favorire il loro benessere psicofisico. Ci sono anche le trasferte da pagare e i costi vivi gestionali. Al momento in Italia la grande difficoltà è reperire sponsor, perché ancora non c’è un interesse talmente importante da giustificare un simile investimento, ma siamo in una situazione in divenire da questo punto di vista. Prima di questo lockdown sarebbe dovuta partire la “e-Serie A” un modo per rendere ancora più fruibili gli e-sport, ad esempio un tifoso del Napoli e uno della Juve si sarebbero potuti trovare a tifare per una squadra virtuale.

Cosa ne pensate dell’imminente debutto dei giochi elettronici alle Olimpiadi, avresti delle proposte in merito?

Sicuramente siamo contenti, anche se avremmo preferito delle Olimpiadi parallele, interamente dedicate agli e-sport. Innanzitutto perché ci sono tantissime categorie di e-sport che le Olimpiadi non possono ospitare, nel senso che sono troppe! Calcola che più o meno le stesse discipline che ci sono nelle Olimpiadi normali ci sono negli e-sport. Al momento il grande problema è che al CIO non vogliono i giochi di tipo violento e questo è un motivo anche di discussione interna: secondo me lo sparatutto (che il CIO non vuole affatto) è chiaramente un gioco e andrebbe inserito nella lista. In generale il problema è che buona parte delle categorie degli e-sport più seguiti resterebbero escluse: alla fine i principali e-games sono “League of Legends”, “Starcraft”, “Call of Duty” eccetera. Nella maggior parte di questi c’è qualcuno che spara contro qualcun altro o che gli lancia incantesimi, mentre invece il CIO vuole mantenere un profilo meno violento, proprio per questo come ti dicevo prima, meglio fare delle Olimpiadi separate e ce la gestiamo come meglio crediamo noi.

Quali pensi possano essere gli sviluppi da qui a breve?

Nello specifico della questione Covid, bisogna vedere come risponde il mercato, paradossalmente visto che il mantra è di stare a casa, potrebbe esserci una spinta definitiva verso la consacrazione degli e-sport. In senso più lato invece mi auguro che gli e-sport vengano riconosciuti a livello istituzionale e che inizi un percorso per far crescere questo movimento, sicuramente la situazione sta crescendo ma meno velocemente di come ci auguravamo cinque anni fa, non sta seguendo il percorso di ascesa poderosa che ad esempio è stato intrapreso negli USA, in Corea, in Germania o in Francia.

Hai degli aneddoti che vorresti ricordare?

L’aneddoto che mi piace ricordare si riferisce a un torneo che abbiamo organizzato a Francavilla, in Abruzzo, un torneo di “Hearthstone” in cui al terzo posto si è classificato un ragazzo disabile. Probabilmente è stato il momento più toccante da quando sono nel mondo degli e-Sport; è stata la prova vivente che nel nostro mondo le barriere non esistono e i gap vengono compensati dalle macchine e viene concesso a un ragazzo che non avrebbe mai potuto giocare a calcio, a basket o a pallavolo di arrivare terzo in una competizione nazionale venendo anche premiato dal sindaco della città ospitante. Davvero un momento bellissimo e toccante per il ragazzo, ma anche per noi!

È il momento dei saluti e dei pensieri in libertà.

Sicuramente mi piacerebbe che gli italiani cominciassero ad approcciarsi al mondo dei videogiochi in maniera differente, meno diffidente e quindi non come ora in cui sembra che l’approccio primario sia improntato a giudicarli come un problema, una gabbia o addirittura una droga. Invece spesso proprio i videogiochi rappresentano un’opportunità per chi ha dei problemi, per le persone che vivono o peggio ancora sono costrette a vivere da sole; quindi inviterei tutti a non bollare in maniera semplicistica la questione, ma quantomeno a dedicare un minimo di riflessione a tutto quello che ruota intorno ai videogiochi. Detto ciò anche in questo campo vale la regola che l’abuso diventa un qualcosa di negativo: stare quindici ore al giorno davanti al computer senza fare nient’altro è una cosa gravissima ed è una patologia a tutti gli effetti, ma gli aspetti positivi sono nettamente superiori a quelli negativi, soprattutto oggi che il videogioco viene vissuto con consapevolezza e che c’è molta sensibilizzazione su questo tema, in primis da noi addetti ai lavori che siamo sempre molto attenti a parlare dei possibili effetti collaterali.

Giuseppe Ranieri

Categoria: Interviste

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