“Da quando in qua le donne giocano a calcio”; “Le regole parlano chiaro, lei in quanto donna non può stare al tavolo con loro”, e ancora “la divisa puoi metterla per sederti in tribuna”.
Non abbiamo fatto un salto nel tempo e non ci troviamo nell’America segregazionista, ma è quanto denuncia Aurora Leone, volto noto dei The Jackal, il gruppo di youtuber partenopei. Un episodio, l’ennesimo, di misoginia, che ha provocato un vero e proprio terremoto sulla Partita del Cuore, l’evento calcistico organizzato per beneficenza dall’Istituto di Candiolo – Fondazione Piemontese per la ricerca sul cancro.
Aurora Leone, assieme a Ciro Priello dei The Jackal, diserterà l’Allianz Stadium di Torino dopo aver pubblicamente denunciato l’episodio che l’ha coinvolta. Secondo i racconti, le accuse mosse sono rivolte all’organizzatore dell’evento Gianluca Pecchini, reo di averla invitata ad allontanarsi dal tavolo della squadra perché - stando alle loro regole - non gradita in quanto donna. Dopo aver, in un primo momento, respinto ogni responsabilità, sono arrivate le dimissioni da direttore generale della Nazionale cantanti. Il minimo non sufficiente a risolvere il grande problema del sessismo con cui il paese sembra non voler fare i conti.
Accuse che hanno echi anacronistici, o forse solo la reale natura di una società che si ritiene evoluta ma stenta a fare i conti con la propria coscienza, profondamente radicata in un razzismo viscerale.
In una democrazia che si definisce tale, che da anni è ubriacata dalla retorica del “prima gli…” si è sedimentata la convinzione che esistano veramente delle differenze sostanziali nel codice genetico di ognuno, tali da presupporre privilegi per l’accesso ai diritti rispetto ad altri. Non è sufficiente aver consentito l’accesso al voto alle donne per garantire pari opportunità, la politica rimane ambigua, e si palesa solo urlando slogan o santificando le feste annuali della donna per poi praticare l’indifferenza nel concreto.
La parità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione e di retribuzione. Il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato.
Siamo immersi in una cultura lontana dalla parità di genere e dalla realizzazione concreta dell’art. 23 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che rimane solamente inchiostro su carta. Soltanto a giugno 2020 il Consiglio della Federcalcio ha condiviso la proposta del presidente Gravina di avviare il progetto di professionalizzazione del calcio femminile, che si concretizzerà dalla stagione 2022/2023. Un Testo Unico che sembra riconoscere i diritti ma che riserva la facoltà alle singole federazioni di decidere se una disciplina diventi professionistica. Una realtà che ad oggi non regolamenta i “non professionisti” esclusi da ogni forma tutela: le calciatrici, infatti, non possono sottoscrivere veri e propri contratti con le società sportive, ma solamente delle scritture private.
Il calcio non è per signorine
Come afferma una definizione attribuita a Mark Twain, anche per il calcio si può agevolmente affermare che la storia non si ripete ma fa le rime. Nel 1909 Guido Ara, mediano della Pro Vercelli affermava che il calcio non è per signorine volendo rimarcare che l’aspetto fisico predominante nel gioco rimane una prerogativa del sesso forte. Un mantra ormai metabolizzato nella coscienza comune tanto da essere stato fonte di ispirazione per i posteri: l’ex d.s. romanista Gianluca Petrachi, lamentando la mancata concessione di un rigore al termine di Roma-Cagliari, riportò proprio le sue lamentele parafrasando la massima di Ara.
Da Tavecchio passando per Belloli, non è la prima volta che il calcio è investito da episodi simili. Il mondo sportivo è costellato da una cultura fortemente maschilista, figlia dei retaggi del ventennio, che non accetta la possibilità che una donna possa indossare calzettoni e scarpini.
Non sono sufficienti le dimissioni del direttore generale della Nazionale cantanti, ma sarebbe opportuno seguire il gesto dei The Jackal. Non basta solo indignarsi né tanto meno esprimere solidarietà. Sentirsi tutti vilipesi, coinvolti senza alcuna distinzione di genere e boicottare la partita, sarebbe il segnale forte rispetto a un evento benefico solo sulla carta ma che nasconde un’ipocrisia profondamente sessista: un piccolo tassello per un’inversione di rotta.
Pierluigi Biondo