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La prossima stagione, che si spera vedrà una vera ripartenza di tutte le categorie e anche della passione sugli spalti, avrà a Bergamo una nuova creatura, che vuole portare la sfida nei campionati federali!

Come e quando nasce il vostro progetto?

Il nostro progetto poggia le radici nel 2014 con la nascita del BAU (Bergamo Antifa United). L’idea dell’associazione nasce in maniera concreta un anno e mezzo fa, anche se da diverso tempo in molti di noi c’era il desiderio di provare a realizzarlo. Così il momento del lockdown, in controtendenza con le squadre “tradizionali” che minacciavano e minacciano chiusure per le difficoltà finanziarie del presidente padrone, per noi è stata l’occasione di sederci a infiniti tavoli virtuali e cominciare a lavorare in maniera seria e costante. Abbiamo iniziato a tessere contatti per far sì che diventasse possibile il nostro sogno.

 

Avete contatti con altre realtà lombarde?

Abbiamo avuto la fortuna di incontrare e confrontarci con altre realtà grazie ad eventi come lo SPOP e anche grazie all’assemblea nazionale che è stata fatta l’estate scorsa a Pescia. Ad oggi con l’evoluzione del progetto tessere una rete importante con le squadre del territorio è un nostro obiettivo primario, cercando di espandere i nostri valori in maniera più capillare possibile, per capire e imparare da chi ha più esperienza di noi. 

Che idea vi siete fatti del calcio popolare delle vostra regione? E di quello nazionale?

A livello regionale lo SPOP ha dimostrato come lo sport popolare sia un modello vincente, capace di coinvolgere tantissime persone e organizzare un evento che richiama davvero molte associazioni che vivono e credono nello sport costruito dal basso e per tutt*. Siamo convinti che questo modello possa affermarsi ovunque: abbiamo conosciuto realtà calcistiche da tutta Italia che sono state in grado di entrare e lavorare nei quartieri, creare un’identità, lavorare sull’integrazione. E soprattutto di diventare punto di riferimento per tanti e tante. In generale abbiamo visto e crediamo che questa modalità di fare sport e aggregare le persone sia migliore del mondo della Pay TV, del calcio spezzatino, dei milioni e della vittoria a tutti i costi che spesso ha priorità rispetto alle relazioni umane e sociali.

Quali prospettive future intravedete per tutto il movimento nazionale del calcio popolare?

Ci sono esempi molto vincenti sia dal punto di vista sportivo che sociale, è superfluo citare degli esempi di squadre che lavorano da decenni e che si sono affermate con forza anche a livello nazionale. 

Grazie all’incontro di settembre 2020 ci siamo convinti ancora di più che il mondo del calcio popolare possa creare in futuro un modo alternativo di vivere lo sport. Quell’assemblea è stata solo l’inizio di un percorso lungo che non potrà che darci soddisfazioni.

Siccome avete deciso di iscrivere la squadra in terza categoria, quanto ritenete importante per lo sviluppo del calcio popolare il confrontarsi nelle categorie federali?

È emersa fra di noi la volontà di partecipare a campionati della federazione italiana calcistica per eccellenza in quanto crediamo che il modello popolare non debba essere un modello di nicchia parallelo a quello ufficiale. È anzi per noi il modo alternativo per il futuro a cui deve ambire chi ama lo sport. La nostra partecipazione, come quella delle altre squadre popolari, servirà proprio a scoperchiare le contraddizioni dell’archetipo di sport che riteniamo fallimentare. Siamo coscienti che questa scelta ci porterà a battaglie da affrontare, prima di tutte quella contro l’assurda regolamentazione che ci renderà alquanto complesso tesserare i ragazzi richiedenti asilo che fanno parte da anni della nostra squadra. La nostra prerogativa è quella di uno sport accessibile ad ogni individuo. Sappiamo che andremo incontro a diverse difficoltà ma conosciamo la caparbietà dei nostri fondatori e dei nostri solidali, e abbiamo dalla nostra l’esempio di diverse realtà in Italia che hanno già tracciato la strada da intraprendere.

Che tipo di rapporto c’è con le strutture di movimento del territorio?

Il primo comunicato del BAU (la squadra da cui è partito anni fa il progetto del calcio popolare e che è stata la base di partenza per questa associazione) nel 2014 parla chiaro: “Alla base c’è l’essere antifa, ritrovarsi sempre assieme, dalla stessa parte, senza mai fare un passo indietro. La ferma convinzione di stare dalla parte giusta perché l’idea di giusto ci arriva dalla storia, quella nostra personale e quella ereditata dai combattenti delle brigate partigiane. Poi naturale come camminare, anzi, come correre, è arrivato il calcio”. Il primo progetto nacque da persone che frequentavano spazi occupati e centri sociali, per cui la politica era ed è parte fondamentale della loro vita. Ad oggi l’inclusione di persone che non hanno mai vissuto la militanza, ma che ovviamente condividono i nostri valori, permette di confrontarci con realtà che prima diffidavano dall’entrare in contatto con noi e il nostro mondo. La nostra idea non è cambiata ma la scelta di non identificarci nei centri sociali è stata discussa, condivisa e presa come la migliore. Abbiamo intercettato persone che hanno deciso di iniziare a fare politica attraverso lo sport popolare invece che attraverso le strutture del movimento.

Bergamo è stato il tragico epicentro della pandemia nel nostro paese. Pensate che ciò abbia influito anche per quello che riguarda l’accesso allo sport di base? In che modo?

Questo anno e mezzo di fermo ha probabilmente stroncato il futuro di moltissime società. Il calcio di base si è fermato così come la possibilità di fare sport in generale, per noi è una sfida in più per raccogliere le forze e per dimostrare che da qui bisogna ripartire, senza fiducia nelle istituzioni ma grazie all’aiuto di chi crede nel progetto.

Nella presentazione che c’è nella pagina si parla di voi come emanazione della vostra tifoseria. Qual è il rapporto con la stessa?

Arrivando dalla strada e vivendo di azionariato popolare, dividere tifoseria e associazione è impensabile. A tutti i livelli c’è orizzontalità totale, tutte le scelte sono prese collettivamente. La tifoseria è un aspetto fondamentale, il cuore pulsante di tutta l’associazione. La nostra soddisfazione sarà avere un massiccio gruppo di tifosi e tifose che canterà e supporterà la squadra sempre, che parlerà per la squadra e che sarà il nostro biglietto da visita.

Oltre alla squadra di calcio maschile pensate anche ad altri progetti?

Il sogno è di riuscire di avere una polisportiva non solo maschile e che non abbia solo il calcio. Ci sono in cantiere una squadra di basket e vari progetti di squadre femminili. Il sogno è anche di avere in futuro un settore giovanile che porti avanti lo spirito del progetto.

È il momento dei saluti e delle parole a ruota libera.

Concludiamo ringraziando per lo spazio concesso, ma soprattutto per il contributo che date a chi sogna come voi uno sport slegato dalle logiche del profitto. Salutiamo e ringraziamo anticipatamente chi ci sosterrà e chi mostrerà interesse verso di noi. Per chi volesse sostenerci con un contributo economico può farlo attraverso la pagina crowdfunding dell’Athletic Brighèla su Produzioni dal basso: https://www.produzionidalbasso.com/.../sport-popolare-a.../

oppure attraverso l’IBAN: IT51W0306909606100000179487

Se vi va inoltre contattateci se pensate di poter avere a disposizione materiale tecnico per la squadra e se avete suggerimenti e consigli su come intraprendere questa strada al meglio. Per chiunque voglia conoscere le nostre avventure e disavventure i nostri contatti sono:

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Un saluto a pugno chiuso a tutti e tutte. 

Qualcuno pensa che un altro sport sia impossibile, noi esigiamo l’impossibile.

Intervista di Giuseppe Ranieri

 

Categoria: Interviste

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