Ventisei anni fa, dopo un’edizione abbastanza controversa del Festival di Sanremo (i più attempati ricorderanno le accuse di “plagio” al vincitore Ron), saliva sull’altare della celebrità quello che possiamo definire l’inno profano di questo paese, La terra dei cachi di Elio e le Storie Tese.
A distanza di tutto questo tempo sono cambiate tantissime cose, ma non tutte: grazie anche a un’informazione “dopata” l’Italia si ferma ancora quando inizia il Festival e questo rappresenta ancora escatologicamente la cartina tornasole del sentimento nazionalpopolare dividendo la critica a prescindere; pazienza se ormai si tratta di uno spettacolo a metà strada tra un varietà e una finalissima unificata dei vari talent-show.
Ma soprattutto il belpaese resta ancora la “terra dei cachi”, il luogo in cui questa kermesse può sfuggire a ogni ferrea regola e presentare il Teatro Ariston pieno in ogni ordine di posto, in barba a tutte le normative anti-Covid e con buona pace di tutti gli altri lavoratori dello spettacolo, ma anche degli appassionati di calcio (e di sport in generale) che hanno dovuto assistere all’onta di vedere due giornate del campionato con la capienza massima di 5.000 persone, nonostante tra le partite previste ci fosse un crocevia forse decisivo per la stagione come Milan-Juventus, e tuttora si trovano impantanati nella melma delle capienze ridotte.
Proprio la sfida di San Siro potrebbe essere già di per sé una fotografia fedele della nostra “terra dei cachi”: mentre era da poco iniziata la Coppa d’Africa e già iniziavano quelle classiche battutine sulla disorganizzazione endemica nella competizione (e comunque prima della tragedia dello stadio Olembe, l’unica cosa veramente grave e triste della competizione, per cui il nostro pensiero va alle famiglie delle vittime e dei feriti) e sulla superiorità del nostro modello calcistico, andava in scena una delle partite più attese non solo del nostro campionato, ma forse a livello planetario per la prima volta all’interno di un calendario asimmetrico, cioè stilato per venire incontro alle esigenze delle grandi squadre (e ovviamente delle tv) e non si è trovato nulla di meglio che farla disputare su un campo ai limiti dell’impraticabilità, perché 24 ore prima c’era stata un’altra partita, Inter-Venezia. Il risultato sono stati gli infortuni muscolari che hanno colpito alcuni dei giocatori scesi in campo in quella due giorni senza senso (da Ibrahimovic a Correa) e una prestazione inguardabile da parte delle due squadre che in ogni caso potranno utilizzare l’alibi del terreno. Su quanto possa essere credibile quest’alibi ci viene in aiuto il mercato invernale da parte della Juventus che da sempre si rivela il riflesso degli umori dei piani alti del capitalismo nostrano: si passa tutto il tempo a piangere miseria, a spiegare quanto le congiunture economiche siano pessime e poi si piazzano due colpi nel mercato di gennaio in grado di sparigliare le carte, pagati a rate mentre ancora si pagano le rate degli acquisti precedenti e mettendo di fronte al fatto compiuto le altre società, comprese le proprietarie del cartellino, di fatto obbligate a cedere… È il capitalismo bellezza!
In ogni caso, non paghi dell’esperimento fallito, esso verrà riproposto ora, quando sull’altare televisivo del calcio-business verranno immolati due quarti di finale di Coppa Italia molto affascinanti, non solo per la suggestione di vedere la sfida incrociata tra Milano e Roma (prima Inter-Roma e poi Milan-Lazio), ma anche perché tra le quattro squadre c’è molto del meglio del calcio italiano che si dovrà cimentare sul proverbiale manto erboso pessimo di San Siro in due incontri a distanza di 24 ore l’uno dall’altro. Il tutto mentre non facciamo che spellarci le mani nell’esaltare le competizioni nazionali degli altri paesi: dalle imprese del Boreham Wood e del Peterbourgh United in Inghilterra, o del Versailles in Francia, capaci di eliminare compagini di diverse categorie superiori, alla Germania e alla Spagna che per la prima volta dopo tantissimo tempo non annoverano nessuno dei classici grandi club nelle fasi conclusive; proprio l’opposto della nostra Coppa Italia che fa di tutto per proteggere le prime classificate, più o meno come se fossero nei listini elettorali bloccati di quei partiti che proprio nella (non)elezione di Mattarella hanno dato una chiara dimostrazione di quanto siano in grado di rappresentare bene la terra dei cachi.
E in ultimo, il tratto distintivo per capire che si è nella terra giusta, la riabilitazione post-mortem, vera e propria specialità della casa; d’altronde siamo entrati nella settimana che ci porta alla madre di tutte queste riabilitazioni, a tal punto da diventare un grimaldello storico (a dirla tutta, di pessima fattura di fronte a un’analisi fattuale delle vicende) e un programma politico, la “giornata del ricordo”.
Senza scomodare chi in ogni caso combatté una guerra – seppure dalla parte sbagliata – ci riferiamo a uomini d’affari senza scrupoli prestati al calcio: dapprima Callisto Tanzi, che dopo aver reso grande il Parma si riprese tutto con gli interessi mandando sul lastrico migliaia di risparmiatori causando suicidi e sciagure familiari. Adesso invece è stato il turno di Maurizio Zamparini e anche in questo caso una narrazione che oscillava tra il politicamente corretto e l’esaltazione del self-made man, architrave culturale della perpetuazione capitalistica e dell’asservimento acritico da parte di chi narra queste vicende e di chi le recepisce (anche nello specifico ambito calcistico) dimenticando le sue nefandezze che non si limitarono certo al folkloristico killeraggio di allenatori, ma all’aver smantellato una squadra portandone metà in un’altra piazza in pieno ritiro estivo, condannando di fatto al fallimento una piazza storica e importante come era quella lagunare.
Non deve stupire pertanto la reazione degli ultras arancio(nero)verdi, così come la levata di scudi a testate quasi unificate del fu presidente, anzi siamo curiosi di vedere cosa verrà scritto in futuro quando i vari Carraro, Tavecchio e finanche Moggi verranno rivalutati come artefici dell’eccellenza calcistica italiana, mentre i propri resti umani serviranno magari a concimare nuove piante di cachi, si spera di una qualità accettabile.
Giuseppe Ranieri