“Julien ci ha lasciato ieri. Siamo devastati...”. È un post laconico quello della Brigada Flores Magon. Cui segue poco dopo Le Saint Sauveur, famoso bar-ritrovo della Parigi antifascista a Ménilmontant: “Julien ci ha lasciato ieri. Non abbiamo parole...”.
E il Julien in questione è Julien Terzics, fondatore del locale, batterista della Brigada, storico compagno e membro dei Red Warriors, una delle crew antifasciste più iconiche di tutti i tempi.
Una scomparsa che sembra uno scherzo beffardo del destino in una settimana cruciale per la Francia, con il Rassemblement National – la nuova veste “socialmente” accettabile del Front National – primo partito del paese, ma purtroppo non lo è.
Potrebbe essere solo il momento del ricordo, del cordoglio, ma potrebbe non bastare. Bisogna evitare nostalgie, mitologiche “età dell’oro” e comode suggestioni dei “bei tempi andati”. Meglio riflettere. Ragionare. Perché questo ricordo non resti schiacciato nel passato ma diventi arnese per il futuro.
Terzics, classe ’69, ha infatti lasciato tanto. Non solo una bella storia da raccontare e un esempio da imitare. Ha vissuto la sua adolescenza nella Parigi degli anni Ottanta. Anni difficili in cui l’estrema destra ha radicamento giovanile, con tanto di infiltrazione pesante nella sottocultura skin.
Sono all’ordine del giorno aggressioni, agguati, coltelli, morti. Un copione buono per ogni epoca ma che in quel periodo vive uno dei suoi acme. Ci sono bonehead “enormi” che pattugliano le strade e attaccano spesso concerti di musica alternativa, squat, migranti. Tutto quello che ritengono non conforme. Gruppi prima informali che poi proliferano nella curva del PSG e che si strutturano sempre di più.
La generazione di Julien, i suoi compagni, si fanno le ossa in quel contesto. Nei servizi d’ordine, nelle manifestazioni e nei concerti. Sono molto giovani e spesso si confrontano con avversari più vecchi, abituati allo scontro e parecchio organizzati.
Nonostante la giovane età, quei ragazzi, i Red Warriors – ma ancora prima Black Dragons, Ruddy Fox e Ducky Boys – hanno un’intuizione. Decidono di cambiare prospettiva e di passare – schematicamente e semplificando – da una logica difensiva a una offensiva. Sono stufi di sottostare, di vivere nella paura delle aggressioni e quindi cambiano passo: non solo difendere gli spazi e i concerti ma andare a “caccia” di fascisti e nazisti, restituendo loro la paura provata, in un momento in cui le forze nemiche sembrano soverchianti. E ci riescono entrando nelle leggenda.
Per farlo molti di loro praticano sport da combattimento, si allenano. In un momento in cui la pratica sportiva in generale e gli sport da combattimento in particolare non godono di grande favore in quel magma che resta sospeso fra i “movimenti” giovanili alternativi e l’estrema sinistra. Diventano quindi, per certi versi, dei precursori dell’ondata di fine millennio delle palestre popolari e del grande ritorno dello sport come fattore di sana aggregazione popolare e di militanza dentro ai movimenti autorganizzati.
Rievocare il famosissimo Antifa. Chasseurs de Skins, documentario che ha portato la storia dei “cacciatori di fascisti” in giro per gli spazi occupati di mezza Europa, è quasi superfluo. E questo omaggio a Terzics deve andare oltre la commemorazione.
Non solo perché la vita di Julien, campione di full contact, prima punk, poi skin e persino biker, nonché batterista di uno dei più importanti gruppi oi!, punk-rock francesi è la prova lampante che alcune delle energie più sane di questo universo-mondo si trovano nell’intersezione fra militanza, controcultura (e sottocultura) e pratica sportiva. Ma soprattutto perché come lui ha ricordato più volte rievocando l’esperienza dei Red Warriors: “Per noi non era politica, era piuttosto confronto fisico e sopravvivenza”. E in questo conflitto istintivo, per certi versi “impolitico” – per dirla ancora una volta con la sociologia cara a Valerio Marchi – che c’è uno dei suoi lasciti più grandi.
Ed è forse anche per questo che “la morte non scalfisce gli occhi dei partigiani”, come cantava la Brigada.
Filippo Petrocelli