Immaginate di ritrovarvi a essere il portiere di una squadra che quasi inaspettatamente è arrivata in finale di Coppa dei Campioni, di affrontare una squadra del Paese che ospita il match e di essere ampiamente sfavoriti, per di più in uno stadio pieno quasi nella sua totalità di tifosi avversari che si sentono già il titolo in tasca. Adesso immaginate di resistere per ben centoventi minuti e – come se non bastasse – successivamente di parare quattro rigori su quattro, regalando il primo trofeo di prestigio non solo al proprio club e neanche alla propria nazione, ma a tutto un universo concettuale e a un modo differente di vedere il calcio, ma anche e soprattutto la vita.
Sembrerebbe la trama di uno di quei film all’americana che puzzano di lieto fine smielato sin dalle battute iniziali, ma in realtà è quanto accaduto a Helmut Duckadam, iconico portiere dell’ei fu Steaua Bucarest. Il club della capitale è senza ombra di dubbio la squadra più gloriosa della Romania, ma da circa quindici anni si ritrova al centro di un contenzioso a dir poco indecoroso tra l’Esercito – tradizionale detentore del titolo del club – e Gigi Becali, un personaggio dai confini foschi per non dire torbidi che attraverso giochi di potere è arrivato a essere l’ago della bilancia del calcio romeno per anni, dopo essere stato eletto in Parlamento con un partito xenofobo.
Ma torniamo indietro di trentott’anni, a quella cavalcata che vide il proprio epilogo nella finalissima del “Sanchez Pizjuan” di Siviglia del sette Maggio (appena due settimane dopo il disastro di Chernobyl) e che fu il coronamento di un percorso molto sorprendente che consentì alla Steaua di ottenere scalpi anche di un certo livello, come quello dei campioni belgi dell’Anderlecht in semifinale. Ad opporsi ai campioni di Romania c’era il Barcellona, sospinto da quasi 70.000 tifosi (mentre invece nonostante il migliaio di richieste di biglietti fatto dai tifosi della Steaua, Ceausescu non concesse dei visti perché temeva che quelli si sarebbero tramutati in richieste d’asilo politico appena varcata la Cortina di Ferro, dimostrando la fragilità delle istituzioni rumene) convinti di fare un sol boccone dell’avversario e sentendosi già il trofeo in tasca (evidentemente questa è una brutta abitudine dei tifosi catalani che persiste negli anni…); ma niente da fare: il fortino ordito da Mister Jenei regge – e a dirla tutta senza neanche troppi affanni – sia nei tempi regolamentari che nei tempi supplementari, ma è dopo che la storia si fonde con la leggenda.
Nonostante i rumeni, probabilmente sopraffatti dall’emozione, fossero partiti col piede sbagliato, fallendo i primi due rigori, restavano comunque in piedi grazie al portiere coi baffoni e la divisa verde che dapprima diceva di no al capitano azulgrana Alexanko con un tuffo a mezza altezza sulla sua destra; ma è sul rasoterra di Pedraza – sempre sulla sua destra – che il portiere romeno si superò. Dopo i primi due rigori per parte, il risultato era ancora incollato sullo 0-0 e i protagonisti sembrano essere Duckadam e il suo omologo Urruticoechea.
L’equilibrio venne rotto subito dopo da Lacatus che portò in vantaggio i rumeni con una botta tremenda sotto la traversa; ma il colpo di teatro avvenne al terzo rigore dei catalani, non tanto perché quello di Pichi Alonso era calciato davvero bene – rasoterra a fil di palo sempre sulla destra del portiere – ma perché il Duckadam si lasciò andare a un’esultanza degna di chi sotto quei baffi spessi come la cortina di ferro sentiva il profumo dell’impresa: un salto in aria e un calcio liberatorio al pallone in alto, ma poi la disciplina socialista riprese il sopravvento e tornò in lui chiedendo scusa per quel gesto inconsulto che sarà l’anticamera di quanto avvenuto poco dopo; il tempo per Balint di spiazzare Urruticoechea che dal dischetto si presentò Marcos Alonso Peňa che a differenza dei compagni decide di cambiare angolo, ma quando il destino ha scelto il suo uomo, c’è poco da fare: il portierone dopo un passo di lato, si stese sulla sua sinistra, neutralizza il pallone e regala la prima Coppa dei Campioni al blocco socialista e si lasciò andare a una folle corsa senza meta e senza sosta, come quelle che hanno reso immortali il Grobelaar di Roma ’84 e il Dida di Manchester 2003.
Tuttavia, a differenza degli altri due, Duckadam nella storiografia calcistica ha un ruolo quasi di secondo piano e per ironia della sorte il portierone rumeno, è stato ricordato per fatti extracalcistici, tendenti a denigrare il socialismo reale, ma di reale questi fatti non avevano nulla.
Dopo ventiquattr’ore di festeggiamenti nella città andalusa, Helmut e i suoi compagni rientrano in Patria dove vengono accolti da una folla in estasi che dimentica così i problemi sociali dovuti allo scarso approvvigionamento energetico che portava le autorità a razionare le risorse in determinate ore del giorno e alla crescente insofferenze nei confronti del regime. A tal proposito, quando gli atleti vennero accolti da Niculae Ceausescu, questi – che non fu mai un appassionato di calcio – li accolse abbastanza freddamente, sostenendo che si fossero allenati meglio, avrebbero vinto prima dei calci di rigore…
In ogni caso, l’“Eroul de la Sevilla”, che nel frattempo era finito nella lista dei desideri di Alex Ferguson e del suo Manchester United, poco dopo quell’autentico portento sparì dalla circolazione per ricomparire mesi dopo per la finale di Coppa Intercontinentale di Tokyo, persa di misura contro il River Plate, ma solo in panchina, mentre nella finale di Supercoppa Europea contro la Dinamo Kiev non era nemmeno tra i convocati.
Era l’inizio della fine: infatti gli venne riscontrata un’embolia ascellare, ma trattandosi di un atleta dell’Est non poteva essere così, doveva esserci sicuramente qualcosa sotto e il fatto che nel 1989 tornò a giocare con la sua prima squadra, il Vagonul Arad facendogli vincere la Coppa di Romania grazie a due rigori parati in finale, unita a una maxi multa (che si dice – il condizionale è d’obbligo – comminatagli per non aver voluto combinare una partita) alimentò le malelingue.
Così, non si sa bene come e perché, cominciò a circolare una leggenda metropolitana in base alla quale, il Presidente del Real Madrid volendo ringraziare l’estremo difensore per non aver fatto vincere gli eterni rivali catalani, gli regalò una Mercedes che gli attirò l’invidia, nientemeno che del figlio del Conducator (anche se nei racconti non si è mai specificato se si fosse trattato del figlio naturale Nico o di Valentin…) che la voleva per sé e al rifiuto di Duckadam gli fece spezzare le mani. Ovviamente, il tutto senza nessun riscontro pratico se non il silenzio del portiere che face presupporre (un po’ troppo frettolosamente) che ciò fosse dovuto a paura di ritorsioni per la sua famiglia. Questa tesi venne definitivamente smentita in un’intervista al magazine inglese “Four Four Two”, in cui sostenne di aver provato più volte a smentire la versione appena iniziò a circolare, ma era talmente alto il risentimento dei rumeni nei confronti del regime che gli sembrava di combattere contro i mulini a vento e che inoltre non aveva mai incontrato Nico Ceasescu.
Piuttosto, in diverse interviste emergeva la passione del fratellastro di Nico, Valentin per il calcio e per la Steaua in particolare, Duckadam in persona ha raccontato aneddoti che hanno acclarato come il ruolo del figlio adottivo di Ceausescu fu fondamentale per permettere l’impresa della Steaua: ad esempio quando nella gara dei quarti di finale contro i campioni di Finlandia del Kuuysi, in un paese flagellato dalle piogge, fu lui a ordinare a due elicotteri militari di volare a bassissima quota sul campo di gioco per farlo asciugare il prima possibile; oppure quando per la finalissima di Siviglia, pochi giorni dopo il disastro di Chernobyl, col campionato rumeno sospeso in via precauzionale, diede un permesso speciale alla squadra per allenarsi, dopo che ebbe inviato i militari a fare rilevamenti e li fece allenare in montagna; sempre in quell’occasione fu proprio Valentin a produrre le divise apposite per la partita, poiché la divisa dei campioni di Romania era simile a quella del Barça e quindi era necessario cambiarla.
Dettagli questi che sembrano scomparire all’interno della biografia di uno dei portieri meno celebrati della storia, così come in una narrazione liberale a senso unico si insiste sul suo ruolo attivo a Timisoara nelle rivolte che provocarono il regime-change del 1989 e il suo impegno politico in un partito vicino alla destra e molto meno sul (deludente) risultato elettorale e sul suo ravvedimento postumo; ma si sa che la linea che demarca la differenza tra un eroe e un antieroe per quanto a volte possa essere sottile, altre volte è spessa e invalicabile come la stessa Cortina di Ferro.
Giuseppe Ranieri