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Ultras in doppiopetto: dalla curva alla tribuna… politica

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karol nawrocki

Che il calcio e la politica siano molto meno separati di quanto si pensi è ormai uno dei topoi narrativi di questo sito, declinato un po’ in tutte le salse ma privilegiando sempre una sorta di “orizzontalità” del fenomeno.

Dai gruppi ultras che prediligono un’azione dal basso – sia essa di mutualismo, come nella stragrande maggioranza dei casi che abbiamo affrontato, o di vera e propria costituzione di brigate militari contro eserciti nemici come il caso dell’Ucraina o quello dei paesi dell’Ex Jugoslavia – fino ai magnati che hanno usato una squadra di calcio come trampolino per le proprie ambizioni: Berlusconi col Milan è stato il capostipite, ma ha avuto diversi epigoni come ad esempio l’ex presidente argentino Claudio Macrì e il Boca Juniors, ma questi sono solo due esempi nel mucchio, perché le commistioni tra calcio e politica sono innumerevoli.

Tuttavia, negli ultimi mesi due Paesi dell’Europa orientale affini tra loro come la Romania e la Polonia che, senza contare le vicende per molti versi comuni nella Guerra Fredda, sono oggi due tra gli stati che si sono rivelati più vicini all’Ucraina e – secondo fonti autorevoli disposti ad accogliere anche un concentramento di truppe della NATO pronte a entrare in azione contro la Russia – hanno potuto sperimentare sulla propria pelle l’ascesa di due vecchie conoscenze delle gradinate e dei rispettivi movimenti hooliganistici fino alla corsa per lo scranno di Presidente della Repubblica, seppur con storie e di conseguenza esiti diversi.

In Romania, si è votato a Marzo dopo che la Corte Suprema ha invalidato la tornata elettorale di Novembre 2024 che aveva portato alla vittoria il leader dell’estrema destra Călin Georgescu ed estromettendo lo stesso dalla successiva corsa elettorale. A fare le sue veci ci ha pensato George Simion, un ultranazionalista estimatore tanto di Trump quanto di Putin che da sempre propugna l’annessione della Moldova alla Romania e ha addirittura vinto il primo turno col 40, 96% dei voti, ma è stato sconfitto dal candidato filoeuropeista Nicuşor Dan nel ballottaggio finale.

Simion, che si è dimostrato più attento di Georgescu riguardo alle posizioni in politica estera, oltre a essere Vicepresidente del partito dei Conservatori e Riformisti Europei, può vantare un passato da hooligan della Steaua Bucarest e poi successivamente della Nazionale rumena, dove – come lui stesso ha evidenziato con orgoglio – ha fondato e fatto attivamente parte della prima linea di un gruppo (o forse sarebbe meglio dire una sigla capace di raccogliere vari gruppi), Uniți sub tricolor, salito agli onori della cronaca per via di uno striscione esposto durante una partita del 2023 della Romania contro la selezione kossovara in cui si rivendicava l’appartenenza della regione alla Serbia, così come quella della Bessarabia (attualmente parte del territorio della Moldova) alla Romania e per “azioni” in trasferta nei Paesi vicini.

Manco a dirlo, oltre al consueto sciovinismo che accompagna i nazionalismi più aggressivi e a un’ammirazione smodata nei confronti della Guardia di Ferro e di Codreanu, i punti cardine della sua azione politica sono la religione, la famiglia e la patria, ma questo fervente nazionalismo non gli è bastato a evitare una gaffe, quando per celebrare la vittoria nel primo turno elettorale, invece di postare la bandiera rumena, ha postato quella del Ciad (che ha i colori leggermente più chiari rispetto a quelli della nazione carpatica), senza contare che altre posizioni “irricevibili” per il movimento delle curve rumene, come ad esempio la vicinanza alla Russia, gli hanno progressivamente tolto gran parte di quel prestigio di cui godeva nell’ambiente.

Diverso è il caso della Polonia, dove Karol Nawrocki è stato eletto Presidente col Partito di Diritto e Giustizia dopo le elezioni tenutesi lo scorso primo Giugno confermando così la tendenza euroscettica del Paese, ma al contempo antirussa.

Animato da un feroce anticomunismo ed estimatore di Trump – da cui ha ricevuto una vera e propria benedizione in occasione della sua visita a Washington del 30 Aprile –, Nawrochi oltre a essere un ex pugile dilettante nel proprio pedigree può vantare un passato nelle fila del Lechia Gandsk e ci si ricorda di lui (nonostante lui per lungo tempo avesse negato la sua presenza) per la partecipazione a uno di quegli scontri programmati che tanto piacciono a quelle latitudini contro la crew del Lech Poznan in un 70 vs 70 (mentre lavorava all’Istituto Nazionale della Memoria) che vide prevalere proprio il gruppo del neo Presidente, come per altro si sono affrettati a ricordare i media polacchi all’indomani della sua elezione, anche per via della sua contiguità con il gruppo Chuligani Wolnego Miasta coinvolto in diverse inchieste giudiziarie.

Nonostante lui abbia fatto di tutto per ripulire la sua immagine (era insidiato anche da accuse di una sua implicazione su un giro di sfruttamento della prostituzione) come dimostra il prosieguo della sua carriera costellata da un dottorato in storia (con specializzazione sul ruolo della presenza sovietica nel suo Paese a partire dal dopoguerra, tradotto in una ferrea intenzione di eliminare tutti i suoi simboli dalla Polonia), fino a un Master in Strategia e gestione dei progetti e alla pubblicazione di due libri sotto pseudonimo, Nawrocki non ha mai smentito la partecipazione a quello scontro, definendolo una nobile arte virile, pur non volendo tornare sull’accaduto e sulla sua militanza nelle curve (e nei boschi) a differenza di Simion che invece aveva affermato di aver imparato più sulle tribune degli stadi che in tutti gli anni di scuola.

Eppure, a quanto sembra, anche per via di qualche scelta particolare, mentre gli hooligans polacchi hanno deciso di sostenere il proprio (ex) sodale, soprattutto per contrastare la candidatura del suo oppositore, il sindaco di Varsavia Rafal Trzaskowski, filo europeista, in Romania le curve hanno smesso di appoggiare Simion facendolo andare incontro alla sconfitta.

Al di là dei comportamenti elettorali degli hooligans, è singolare la contemporaneità di questi fenomeni, che a prima vista potrebbero ricalcare le orme di Željko Ražnatović, la famigerata Tigre Arkan, che per le sue milizie paramilitari attinse a piene mani da Delije della Stella Rossa (e non solo), ma diverse fonti recenti tendono a minimizzare la sua figura all’interno della gerarchia ultras, mentre invece sui due casi appena menzionati ci sono pochi dubbi, ma allo stesso tempo molte riflessioni da fare di come un movimento nato – certamente in altri contesti e altre epoche – come forma di ribellione e di sovversione, dopo essersi spogliato degli ideali iniziali possa aver fatto un triplo salto carpiato per diventare fucina di politici da apparato di partito garanti dell’ordine.

 

Giuseppe Ranieri

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Scritto da Super User
Categoria: Editoriale
Pubblicato: 01 Settembre 2025
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