
Abner Lloveras compie oggi 43 anni, un’età “considerevole” per chi si cimenta negli sport da combattimento. Ha gli zigomi sporgenti e il volto segnato dalle asprezze della lotta, eppure dopo circa 200 incontri disputati in varie discipline – kick boxing, boxe, mma, bjj, muay thai – si allena ancora con dedizione, senza fare un passo indietro, divertendosi come un bambino che indossa per la prima volta i guantoni.
Lloveras è un tipo schietto, uno che non si nasconde dietro un dito: si dichiara apertamente catalano, indipendentista e antifascista. Ha in passato espresso sostegno per la CUP (Candidatura d’Unitat Popular), organizzazione ombrello anticapitalista catalana, firmando un appello-manifesto che incita alla lotta. E questo, più di qualche volta, gli ha procurato qualche problema a livello mediatico.
Il suo percorso sportivo è da manuale, è uno che ha provato tutto. Da adolescente inizia con la kick boxing, poi scopre il pugilato. La boxe per un po’ è il suo mondo: arriva nella selezione olimpica vincendo tre volte il titolo nazionale. A vent’anni la folgorazione con le arti marziali miste quando, in cerca di fortuna e lavoro a Londra, conosce il brazilian jiu-jitsu e poi le mma grazie a una fidanzata brasiliana. I casi della vita che certe volte sembrano un destino.
Nel Regno Unito capisce che il combattimento a 360° gradi è quello che più si addice alle sue caratteristiche. E non torna più indietro. Debutta nel 2004 in UK Mixed Martial Arts Championship, una promotion che al tempo fa combattere i suoi atleti ancora nel ring con le corde e non nell’ottagono, sul modello del Pride FC, una promotion giapponese del periodo pionieristico delle mma che ha lasciato un ricordo indelebile fra gli appassionati.
Dopo l’inizio in UK la carriera di Lloveras prosegue in giro per l’Europa. Diventa un battitore libero che si cimenta in diversi circuiti. Lo pagano per combattere e lui ne fa il suo lavoro diligentemente. Ci vive. Si sostenta così. Promotion portoghesi, spagnole, più o meno famose. Più o meno valide. Poi si stabilizza combattendo una decina di incontri in M-1, una promotion russa che nel 2010 ha un rooster molto solido ed è un bel trampolino di lancio. Sono anni in cui si fa un “nome” e diventa un volto noto. Un decennio di combattimenti che lo forgia e ne costruisce la fama. Nel 2015 arriva una grande occasione: approda a The Ultimate Fighter, il format di lancio in UFC a eliminazione diretta dove combatte bene, inanellando due vittorie prima di venire sconfitto ai quarti di finale. Poi il debutto nel 2015 in UFC, dove però viene sconfitto ai punti. Da professionista questo è il suo apice, indiscutibilmente. Si ritrova nell’élite mondiale delle arti marziali miste, è al top, che vinca o perda, non importa.
Poi seguono anni altalenanti. Promotion minori, soprattutto in Est Europa e Asia, vittorie, sconfitte. Alterna prestazioni superlative a incontri che lasciano l’amaro in bocca. Un’altra occasione nel 2019 in Bellator, ma purtroppo una sconfitta ai punti contro Jim Wallhead non fa scoccare la scintilla con il secondo circuito mondiale dopo UFC, che però gli permette di combattere “sotto” la bandiera catalana. Un suo grande desiderio.
In una lunga intervista al podcast La Aldea ha spiegato quanto per lui le sconfitte siano stimoli per migliorare. È un combattente di mma, lo rimane, ma vuole alzare l’asticella. Per questo si è avvicinato al mondo del combattimento a mani nude, la sua ultima avventura.
Sempre nell’intervista Abner spiega come grazie ad alcuni amici dei Desperdicis, gruppo ultras antifa della UE Sant Andreu – squadra “minore” di Barcellona – gli viene proposta una nuova avventura che inizialmente guarda con sospetto. King of the streets (KOTS), un fight club underground, cerca combattenti. Questa organizzazione somiglia alle molte nate in stile bareknuckle negli ultimi tempi, ma è stata una delle prime a promuovere questo tipo di combattimenti. KOTS poi ha qualcosa in più. Intanto non è solo bareknuckle – che semplificando e banalizzando è pugilato a mani nude, non è quindi prevista la lotta né in piedi né a terra – è più onnicomprensiva. Sul modello del primo Vale Tudo è un combattimento “totale”, senza regole. Valgono tutti i colpi: calci e pugni, ginocchiate e gomitate e si può combattere anche di lotta. KOTS poi permette testate, dita negli occhi, colpi dietro la nuca, vietati nella stragrande maggioranza delle altre promotion.
L’obiettivo di KOTS è chiaro: creare incontri che sembrano – e nei fatti sono – più simili a una rissa da strada che a una competizione sportiva. Il tutto condito con un’estetica marcatamente underground che strizza l’occhio alla sottocultura hooligans e all’attitudine stradaiola. Le location degli incontri sono segrete, combattuti in luoghi abbandonati e molti urbani: parcheggi, garage e fabbriche dismesse. Ed è un esperimento ampiamente riuscito a livello di pubblico e hype, visto che vanta milioni di visualizzazioni sulle piattaforme.
Gli ultimi due incontri di Lloveras entrambi nel 2025 sono state vittorie: prima in KOTS contro Bojan Kosednar, esponente dei Green Dragons, gruppo ultras con posizioni di estrema destra dell’Olimpija Ljubljana, poi in DogFight Dogfight Wild Tournament più di recente. L’uno finito al grido di “Antifa, Barcelona, Catalunya” l’altro “Visca Catalunya”. Se mai ci fosse bisogno di ribadire da che parte batte il cuore di Abner Lloveras.
Filippo Petrocelli

