Chi scrive sapeva di dover andare a Crotone nel secondo weekend di marzo già da agosto, non perché abbia conseguito capacità divinatorie, ma perché erano stati appena stilati i calendari di Serie C, e quella sarebbe stata (come d’altro canto in effetti si è rivelata essere) una sfida di altissima classifica, decisiva per la vittoria finale del campionato.
Tuttavia, com’era facilmente ipotizzabile, la sfida è stata posticipata al lunedì successivo per soddisfare le esigenze televisive, inoltre – e anche peggio – il settore ospiti resterà chiuso perché questo sembra essere ormai il nuovo approccio all’ordine pubblico da parte delle istituzioni e delle sue emanazioni “specializzate” nel (non) farlo, nel lavarsi le mani di fronte alle responsabilità attraverso i divieti e quindi astenendosi dal fare quello per cui vengono pagati; un po’ come se un cuoco si rifiutasse di cucinare a un ricevimento matrimoniale, un medico di entrare in sala operatoria dopo un’esplosione in una scuola o un commesso di andare in negozio il primo giorno dei saldi. E probabilmente la cosa più grottesca è l’accettazione, anzi l’assuefazione da parte dell’opinione pubblica (leggi stampa sportiva) che tende a normalizzare tutto ciò anche quando le decisioni si ribaltano più di una volta a ridosso dei match, come nel caso della trasferta a Milano dei leccesi, e c’è stato bisogno che questo mix tra incompetenza e ottusità si riversasse su un club straniero – l’Eintracht Francoforte – a maggior ragione di quella Germania che è all’avanguardia nella tutela dei tifosi, per farci capire che forse questo non è un metodo accettabile in un paese evoluto, facendo finalmente sentire al nostro Esecutivo quel senso di inadeguatezza e di incompetenza (certificate nelle ultime dichiarazioni alla stampa che fanno impallidire il cast di “fascisti su Marte” per quanto sono grottesche ai limiti della fiction) che solo un paese anestetizzato da oltre trent’anni di tv spazzatura e di lavaggio del cervello che manco Alex di Arancia Meccanica non riesce a percepire pienamente.
Questo articolo si pone come una sorta di introduzione e analisi del calcio in Unione Sovietica, per capire quale sia stata la dimensione di questo sport all’interno della società sovietica. Come ogni introduzione che si rispetti partiamo con una cronologia storica necessaria per capire di cosa stiamo parlando. La Federazione calcio di tutte le Russie nasce il 6 gennaio 1912 a San Pietroburgo, nello stesso anno si affilia anche alla FIFA, e l’esordio a livello internazionale si registra sempre in quello stesso anno, quando la nazionale russa affrontò alle Olimpiadi di Stoccolma la nazionale finlandese venendo eliminata da quest’ultima. La Federazione rimase in attività solo per cinque anni durante i quali si occupò dell'organizzazione di due campionati russi. Nel 1912, il titolo va alla squadra di San Pietroburgo, mentre l'anno successivo è la rappresentativa di Odessa che ne uscì vittoriosa. Nel 1914 il campionato venne sospeso in seguito allo scoppio della prima guerra mondiale e per otto anni il calcio russo rimase cristallizzato. Già, nel periodo zarista, poi in quello sovietico, anche il calcio seguì un tipico trattato della politica russa: a livello internazionale iniziò un lungo periodo di isolamento sportivo. Con la rivoluzione d’Ottobre del 1917, anche il calcio subì una sostanziale trasformazione sociale perché il socialismo si occupò di riformare pure lo sport. Come primo passo, la Federazione calcio di tutte le Russie cambiò il suo nome diventando la Federazione calcistica dell'Unione Sovietica. Ufficialmente si dovrà aspettare 1922 per la ripresa del calcio in Russia, per alcuni importanti motivi: la rivoluzione d’Ottobre e le guerre civili che videro protagonisti i bolscevichi contro le truppe zariste e i contadini russi. Una volta che i comunisti raggiunsero la vittoria nel 1922 si poterono dedicare anche a modificare il campionato di calcio russo e le prime modifiche riguardavano proprio le squadre che partecipavano a questa competizione e alcune di queste sono tutt’ora attive nell’attuale campionato di calcio russo. Queste squadre furono dei punti di riferimento culturali e le più rappresentative sulla scena internazionale, come lo Spartak Mosca, la Lokomotiv Mosca, la Torpedo, la Dinamo Mosca e il CSKA. La logica del governo comunista era molto semplice: sostituire le vecchie squadre considerate simbolo della borghesia con associazioni sportive legate ad aziende di Stato ed enti pubblici, quindi rappresentare al meglio il popolo russo.
Ventisei anni fa, dopo un’edizione abbastanza controversa del Festival di Sanremo (i più attempati ricorderanno le accuse di “plagio” al vincitore Ron), saliva sull’altare della celebrità quello che possiamo definire l’inno profano di questo paese, La terra dei cachi di Elio e le Storie Tese.
A distanza di tutto questo tempo sono cambiate tantissime cose, ma non tutte: grazie anche a un’informazione “dopata” l’Italia si ferma ancora quando inizia il Festival e questo rappresenta ancora escatologicamente la cartina tornasole del sentimento nazionalpopolare dividendo la critica a prescindere; pazienza se ormai si tratta di uno spettacolo a metà strada tra un varietà e una finalissima unificata dei vari talent-show.
È stata una delle notizie di “mercato” dell'estate, di un'estate in cui peraltro i trasferimenti eccellenti non sono certo mancati. Ma a livello di eco mediatica, nazionale e internazionale, l'approdo di Borja Valero al Centro Storico Lebowski non è stato da meno rispetto ad altri affari conditi da cifre a molteplici zeri, lacrime di coccodrillo e polemiche varie.
Una prima riflessione si affaccia quindi spontanea: ce n'era davvero bisogno, un bisogno diffuso tra le masse di persone appassionate di calcio e anche nel mondo massmediatico, che evidentemente è ormai alla ricerca disperata di storie “belle”, o “diverse”, da raccontare, in un mondo sempre più prevedibile e plastificato. La reazione di stampa, tv, social e quant'altro infatti è stata davvero sorprendente: in casa grigionera ci si aspettava un'ondata di attenzione forte, ma non così tanto.