Il 15 aprile Arturo “Thunder” Gatti avrebbe compiuto 49 anni. Un po’ imbolsito ma sempre con quel sorriso magnetico, lo sguardo malinconico e la faccia segnata, incarnerebbe alla perfezione il ruolo della leggenda, del vecchio campione sornione. Non disdegnerebbe ospitate tv e qualche telecronaca da bordo ring, per racimolare qualcosa e sbarcare il lunario dopo una vita di sperperi. Per sostenere famiglia e stile di vita da sempre sopra le righe, affatto pauperista, tipico di chi è nato povero e ha avuto successo. Di chi ha patito troppe privazioni e ora non può far altro che esagerare. Per riempire un vuoto. Per scacciare il passato di sofferenze. Per esorcizzare la puzza di povertà che rimane addosso. Morto di fame anche se miliardario. Per sempre paisà. Immigrato.
A giugno-luglio si giocheranno gli Europei previsti nel 2020 e posticipati di un anno a causa della pandemia. È la prima edizione “itinerante” della storia degli Europei: non uno o due Paesi organizzatori, ma partite disputate in 12 diverse città. A dire il vero, la pandemia non accenna a spegnersi e sta mettendo in dubbio proprio in queste settimane anche il carattere itinerante: per l'inizio di aprile si prevede una decisione definitiva, con alcune città tra cui Londra e Berlino che premono per disputare tutta o quasi la competizione nei propri stadi.
Tra le 12 sedi individuate ce n'è una che fin da subito ha generato proteste: parliamo di Bilbao e del suo stadio San Mamés. Qui la nazionale spagnola dovrebbe giocare, salvo decisione contraria, le 3 partite del girone e l'eventuale ottavo in caso di passaggio turno. I motivi delle proteste sono facilmente intuibili per chi ha un minimo di dimestichezza con la storia dello Stato spagnolo e con i movimenti indipendentisti: Bilbao è una delle più importanti città dei Paesi Baschi, il cui popolo è stato duramente represso nei 40 anni di dittatura franchista e da circa 60 anni lotta, con ogni mezzo necessario, per l'indipendenza e il socialismo. La “roja” ha disputato nella sua storia soltanto 6 partite a Bilbao, di cui l'ultima nel 1967, in piena dittatura fascista. Abbastanza comprensibile il perché per più di 50 anni non abbiano avuto il coraggio di tornare a giocare a San Mamés.
Se avete frequentato anche solo per un breve periodo le curve, la retorica del “Combattete da ultras” rivolto ai propri giocatori non potrà esservi estranea. Tuttavia, sarà molto meno usuale vedere il contrario, cioè ultras, o comunque tifosi accaniti, che “si comportano” da calciatori. Certo, nel corso degli anni e soprattutto nell’arcipelago del calcio popolare abbiamo avuto diversi esempi virtuosi: dallo United of Manchester all’Atletico Club de Socios, fino ad arrivare anche qui in Italia, dall’Ideale Calcio Bari alla Brutium Cosenza (senza contare contesti che se non provenienti direttamente dalle curve hanno accolto diversi transfughi delle curve che a loro volta hanno influenzato la coscienza e la cultura dei propri club, da Firenze a Palermo), ma probabilmente nessuno può vantare una storia turbolenta come quella del Canelas 2010, club di un sobborgo meridionale di Oporto, che attualmente milita nella terza divisione portoghese ed è soprannominata “la squadra più cattiva del mondo”.
È il 6 marzo 1984 quando Billy Collins jr., talento della boxe nordamericana di origine irlandese, muore in un incidente stradale ad Antioch, Tennessee. L’autopsia rivela che la morte è sopraggiunta di colpo fra i vetri in frantumi, senza farsi annunciare. Ma oltre i rilievi autoptici e le sottigliezze del medico legale, è l’ultimo periodo della vita di Billy a raccontare la verità su quel terribile schianto.
A ucciderlo non è stata tanto l’alta velocità, né l’alcool presente nel suo sangue. Piuttosto qualcos’altro. Di più oscuro e profondo che ha preso il sopravvento. Da un po’ il pugile del Tennessee non è più lo stesso. Sembra un morto che cammina. Un reduce che insegue i suoi fantasmi, segnato da qualcosa che non si vede ma che somiglia a un’ossessione. Chi gli sta vicino se ne accorge. Lo vede perso.
Appena nove mesi prima, il 16 giugno 1983, al Madison Square Garden – nel sottoclou dell’incontro valevole per il mondiale Roberto Durán vs. Davey Moore – si è consumata la tragedia che ha spezzato la sua vita, aprendogli quella voragine interna che è l’unica vera responsabile di quel triste epilogo.