
Nello scorso articolo siamo entrati dentro la struttura del calcio sovietico. Con il pezzo di oggi, invece, guardiamo alcune squadre che, più di tutte, hanno rappresentato in maniera pratica il concetto di socialismo sportivo.
Lo Spartak Mosca è una squadra che nacque totalmente in controtendenza con la prassi delle squadre sovietiche del tempo, cioè quelle per ferrovieri, per i reparti di polizia e quelle dell’esercito che davano nomi come Dinamo, Lokomotiv o CSKA, anzi, qui siamo proprio su un livello opposto perché lo Spartak (Spartaco) Mosca era proprio la squadra per antonomasia degli operai e delle operaie. Raccoglieva la maggior parte del proletariato russo e vide luce nel 1922 come società sportiva del sindacato operaio sovietico che si richiamava a Spartaco, lo schiavo romano che si ribellò guidando una rivolta in nome della libertà. Già da questo particolare si può comprendere la forza simbolica che esercitava questa squadra di calcio sul popolo russo. Il nome Spartak venne proposto dal fondatore del club Nikolaj Petrovič Starostin, autentica leggenda del mondo calcistico russo e con una storia particolare alle spalle. Sulla sua storia vale la pena soffermarsi qualche minuto. Starostin era figlio di un guardaboschi dello zar Nicola II e crebbe nel quartiere moscovita di Krasnaja Presnja, fin da giovane si appassionò al calcio diventando uno dei giocatori più riconosciuti nell’Urss degli anni trenta e con i fratelli fondò, appunto, lo Spartak Mosca, squadra alla quale dedicherà tutta la sua carriera. Lo Spartak riuscì a vincere molti titoli in un periodo dove la compagine da battere era la Dinamo Mosca, squadra del Ministero dell’Interno allora presieduto da Lavrentij Berija. Con lo scoppiò della “grandi purghe staliniste” anche il nome di Starostin finì sulla lista nera del ministro Berija, alcuni dicono addirittura che i due ebbero dissapori molto accesi e nel 1940 finì in un Gulag con l’accusa di cospirazione contro lo Stato. Trascorse 10 anni nel campo di prigionia, poi, su pressione del figlio di Stalin, Vassilij Dzugasvili, venne liberato e gli venne affidata la gestione della squadra dell’aviazione sovietica: la VVS MOSCA. Purtroppo la sua strada incrociò nuovamente quella di Berija finendo nuovamente prigioniero in Siberia e in questa sua seconda fase di reclusione, durata un paio di anni, allenò i kazaki del Kairat. Una volta caduto lo stalinismo venne riabilitato da Krusciov e gli venne restituito l’ordine Lenin che gli era stato tolto ingiustamente durante le purghe staliniste.
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Raccogliendo il grande lavoro fatto da HELLNATION Store di Roberto Gagliardi dal 1997, HELLNATION Libri, di cui il blog Sportpopolare.it è espressione, nasce all’interno della cooperativa editoriale Red Star Press con l’obiettivo di dare voce alle insorgenze controculturali e, in modo particolare, al fenomeno dello sport popolare e alle soggettività che, autorganizzandosi dal basso, stanno dando corpo a nuovi fenomeni di aggregazione, assumendo un ruolo sempre più importante nell’immaginario dei movimenti anticapitalisti di tutto il mondo.
Giocano per sportpopolare.it:
Cristiano Armati (Roma, coordinamento redazionale)
Giuseppe Dopone Ranieri (Catanzaro - Roma)
Matthias Moretti (Empoli - Roma, web editor)
Filippo Petrocelli (Roma)
Noemi Fuscà (Roma)
Alice MM (Roma)
Sia come blog che come casa editrice, HELLNATION Libri si avvicina allo sport popolare assecondando una definizione ampia del concetto di “popolare”, nella convinzione che:
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In quanto fenomeno di massa, lo sport – e in modo particolare il calcio – non può essere ristretto nella cerchia, per quanto larga, di appassionati che lo praticano e/o che lo seguono. Al contrario, spesso utilizzato come terreno di sperimentazione di logiche repressive capaci velocemente di trasbordare dallo stadio alle piazze, ciò che accade sui terreni da gioco riguarda la società nel suo complesso e per questo rappresenta per la critica dell’esistente un campo di osservazione e d’intervento da osservare con la stessa serietà riservata all’eterna contraddizione tra capitale e lavoro. Il primo frutto di questa contraddizione, infatti, è la finta opposizione tra lavoro e tempo libero all’interno di una scansione comunque regolata da logiche di tipo padronale.
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Non ne possiamo più / delle divise blu / no al governo / no alla pay-tv
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Troppo spesso, all’interno di una cornice “sportiva”, si consumano fatti rispetto ai quali manca un’analisi e un punto di vista di classe: una carenza cresciuta di pari passo con l’erosione della sinistra e della sua capacità di essere presente nelle situazioni di massa. Come le occupazioni abitative, le lotte della logistica e l’opposizione alle grandi opere e ai grandi eventi, lo sport popolare segna l’avvento di una stagione di riscatto e oppone un nuovo protagonismo al reflusso vissuto da generazioni di presunti sportivi buoni soltanto a indossare le ciabatte dopo aver regolarmente pagato i loro abbonamenti televisivi, padri putativi dei tanti leoni da tastiera che infestano il web.
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Infradito / primo nemico
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Lo specialismo imposto dalla società dei consumi scava un solcato apparentemente invalicabile tra la pratica sportiva e la sua fruizione sotto forma di spettacolo; una divisione che, d’altro canto, attraversa ogni campo del sapere dove, in modo non dissimile da quanto accade per la relazione medico-paziente, qualunque forma di espressione è ridotta al rango di “servizio”, rispetto al quale la disponibilità economica media il livello di qualità a cui si avrebbe diritto.
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No alla tessera del tifoso
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Lo sport popolare, nella sua doppia accezione di pratica impostata al di fuori delle logiche del profitto e di fenomeno partecipato dagli strati popolari, e quindi dalla massa, guarda all’avvento di un nuovo umanesimo protendendosi senza tregua verso la rottura delle gabbie metropolitane e degli schermi televisivi tanto cari agli alfieri dell'ordine e della legalità.
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Viviamo in una fase di transizione. E se lo sport popolare è il punto di partenza, lo sport del popolo è il traguardo a cui guardiamo se diamo ai nostri sogni il valore che spetta alla realtà.