Trentatré anni dopo la caduta del regime, lo spettro della dittatura militare aleggia nuovamente sul Brasile, dove i cittadini andranno alle urne il 7 ottobre per eleggere il loro nuovo presidente. Questo spettro ha una faccia, un nome - Jair Bolsonaro - e già un soprannome, il “Trump brasiliano". Soprannome meritato e non poco per quest’uomo cresciuto nell’esercito, le cui intenzioni di voto (circa il 32%) hanno contribuito notevolmente all'aumento del 140% del valore delle azioni del maggior produttore nazionale di armi da fuoco Forjas Taurus alla fine di settembre.
Pro-armi (sebbene sia stato oggetto di un attentato il 7 settembre), ma anche omofobo, razzista, misogino, ai confini del negazionismo (“non ci fu alcun colpo di stato nel 1964”, dichiarò alla TV Cultura), Bolsonaro spaventa le classi popolari allo stesso modo di come seduce certe élite, tra cui quella dei calciatori professionisti. Secondo un sondaggio condotto da UOL, il candidato del Partito Social Liberal (PSL) riceve il 20,72% di opinioni favorevoli all'interno della casta, 15 punti in più rispetto a Lula, a cui comunque è vietato concorrere. Supporto che sta prendendo forma da oltre un anno sulla rete e nello spazio mediatico.
La Strage di Genova: il crollo del ponte sull'autostrada metafora tragica della crisi della società italiana contemporanea, tra neofascismi al potere e la decadenza del calcio italiano.
Indomita Zena
Le lacrime d’agosto
Impregnano
Macerie
Madide
Di horror vacui incredulo e colpevole
L’asfalto dei ricordi dell’infanzia
Che
Conduceva al blu del cielo e mare
L’asfalto dei ricordi delle volte
Che tornavo per lottare fuori e dentro al Marassi
L’asfalto dei ricordi della lotta
Insanguinata di quel Luglio quando andammo per cambiare
L’asfalto dei ritorni in Alimonda che facevano
Indignare
Non c’è più
Come fotogramma ritoccato dal computer
Per imitare quel terrore
Oggi vero come il tempo che corrode
Il cemento di pilastri d’alabastro
Indomita Zena
Le lacrime d’agosto
Sono mie
Sono nostre
Se oggi sono qui, vivo e vegeto mentre batto a macchina, se esisto, è per il Rayo Vallecano. È così, come la trama di un film: mio padre e mia madre infatti si sono conosciuti grazie al Rayo. Lui, Enrique, era un vallecano di razza, di quelli che rispettano la Santissima Trinità vallecana: di sinistra, rayista e appassionato di boxe. Se i vallecani possedessero un RH proprio, lui lo avrebbe avuto. Ancora oggi, 33 anni dopo la sua morte, c’è gente che mi ferma per le strade di Vallecas chiedendomi se sono suo figlio. A quanto mi ha raccontato mia madre, era un tipo che viveva per i giovani del quartiere, che provava a toglierli dalla strada formando squadre di calcio o portando i ragazzi a fare pugilato; durante il suo funerale furono proprio questi stessi ragazzi a portare il suo feretro. Mia madre, Visitación, era una ragazzetta di Valladolid emigrata a Vallecas in cerca di fortuna, c’era riuscita mettendo su un piccolo atelier di sartoria e, più tardi, un negozio che si chiamava Confecciones Nuria; secondo me Confecciones è ancora il negozio più glamour di tutto il quartiere. In un posto in cui gli unici esercizi commerciali erano La frutería di José Luis, La droguería di Valentín o La peluquería di Beni (che ancora esiste), mia madre era conosciuta come Nuria, anche se quello non era il suo nome, ma quello di mia sorella.
Il Centro Storico Lebowski è senza dubbio una delle realtà più vive e attive del panorama dello sport popolare italiano, una di quelle che fungono anche da modello e ispirazione per chi continua a intraprendere percorsi di liberazione dello sport dalle logiche di profitto e di mercato. In un periodo in cui la squadra maschile sta lottando per i massimi obiettivi della propria storia, vicenda che vi racconteremo fra qualche settimana una volta arrivati alla conclusione, venerdì scorso abbiamo avuto la possibilità di discutere con l’ambiente grigionero di un altro tema importantissimo: il calcio femminile, le sue problematiche e le prospettive per un suo sviluppo che non sia schiacciato sulle medesime logiche di profitto, ma su un processo di crescita reale, diffusa e sociale. Nello spazio che è da sempre la casa delle iniziative targate Lebowski, il Centro Popolare Autogestito Fi-Sud, vari interventi hanno sviscerato gli aspetti critici del calcio femminile di oggi e le possibilità che si aprono con lo sviluppo di progetti autorganizzati.