Questo dossier vuole prendere in analisi la concezione e l’uso che dello Sport viene fatto all’interno dell’associazione neofascista CasaPound Italia e delle relative associazioni sportive e/o squadre che ne sono diretta emanazione. Il bisogno di trattare un argomento per eccellenza simbolo di integrazione e sani valori come lo sport, associandolo all’ultima e più attraente espressione della galassia neofascista nostrana, emerge nel momento in cui, da antifascisti/e quali siamo, cerchiamo con ogni mezzo necessario di smascherare il doppio gioco appunto, su cui pone le sue basi questa associazione. Un gioco fatto di scatole cinesi dove numerosi contenitori vuoti servono a coprire e nascondere il contenuto dell’ultima scatolina, che contiene la sorpresa. Partendo da una controinchiesta sulle palestre, sulle associazioni sportive e sulle molteplici squadre si cerca altresì, di smascherare il meccanismo generale che sottende alla strategia politica di CPI degli ultimi cinque anni; nello sport e non solo.
Qui sotto il link al PDF con l'intero dossier. Buona lettura!
http://antispefa.noblogs.org/files/2014/07/CPI_e_lo_sport_2014.pdf
Nonostante l’argomento succoso e il titolo roboante Dio, calcio, milizia non è il libro che ci si aspetta. Scritto da Diego Mariottini e uscito per Bradipolibri nel giugno 2015, doveva essere nelle intenzioni dell’autore la storia senza censure di Željko Ražnatović, detto Arkan.
Purtroppo non è così: o meglio, il lavoro è una lunga panoramica sulle imprese del comandante Arkan ma l’analisi si arena in superficie e aggiunge poco al dibattito sul personaggio, sulle crude vicende della Jugoslavia e sul rapporto fra militanza politica, ultras e fanatismo religioso.
Ma occorre procedere con ordine. La parte migliore è proprio il titolo, secco, graffiante ed evocativo. Una calamita per le attenzioni di chi casualmente passa in libreria e vuole saperne di più su ultras e guerre balcaniche.
Ma dopo aver scorso le prime pagine e superato l’entusiasmo iniziale, cominciano le delusioni.
Intanto le prime pagine sono una sequela di articoli tratti da diversi giornali – La Repubblica, Il Corriere della Sera e Il Secolo XIX – un espediente che usa l’autore per restituire il clima di quegli anni a cavallo fra il 1980 e il 1990 quando la Jugoslavia è in disfacimento ma è ancora unita e il “circo calcistico” diventa il luogo privilegiato in cui inizia a manifestarsi il nazionalismo xenofobo.
S’intitola Buttati giù, zingaro, eppure il libro di Roger Repplinger (Edizioni Upre Roma, 292pp, 12 euro) è molto di più di una biografia dedicata a uno dei più forti mediomassimi della storia del pugilato tedesco. La ricerca di Repplinger, infatti: riesce a mettere in parallelo quella che è stata la nascita e la diffusione sia della boxe che del calcio in Germania; analizza il modo in cui, partendo dal basso il pugilato e allargando il novero dei suoi praticanti da ciò che fu un’originaria élite borghese il calcio, questi sport divennero un fenomeno di massa, rappresentando il terreno ideale per la propaganda nazionalista e, presto, nazista; costruisce un discorso in cui l’abominio hitleriano conosce un nuovo – e quanto mai necessario – atto di accusa a partire dalle vite sia del pugile sinto Johann Trollman che del calciatore “ariano” Tull Harder: esistenze a proposito delle quali il punto di contatto offerto dalla pratica sportiva non può che rafforzare quella differenza insanabile che separa le vittime dai loro carnefici.
Cercando di procedere con ordine, le prime pagine di Buttati giù, zingaro hanno a che fare proprio con un campo di calcio. O meglio, con un piazzale sul quale, in quel di Braunschweig, in Bassa Sassonia, un pugno di adolescenti di buona famiglia si dannano a rincorrere un pallone di cuoio, l’ingrediente principale dell’Association, come ancora ai primi del Novecento veniva chiamato in Germania il gioco del calcio. Il debito linguistico, evidentemente, è nei confronti dell’Inghilterra e della sua «Football Association», patria di un pallone che, in terra tedesca, trova proprio a Braunschweig uno dei territori più fertili, considerando che qui una prima squadra cittadina gioca partite di pallone già nel 1874.
Sappiamo bene che lo sport e il calcio rivestono nel mondo contemporaneo un'importanza tale da intrecciarsi a volte con le trame della Storia, anche quelle più tragiche e vergognose. “Pallone desaparecido” di Alec Cordolcini (Bradipo Libri, 2011), giornalista calciofilo italo-argentino, è un bel libro, che contestualizza in modo efficace le vicende sul campo del Mondiale '78 nel quadro di un'Argentina in piena dittatura militare, ma profondamente anestetizzata, così come in realtà il mondo intero.
Il 24 marzo 1976 il paese è scosso dall'ennesimo colpo di Stato militare, ormai una sinistra abitudine: nel momento in cui l'Argentina versa nel caos e nella crisi economica, arrivano i militari, fanno un po' di “pulizia” e dopo qualche anno permettono nuove elezioni; è già successo varie volte nell'arco di pochi decenni. Si viene da un periodo di elevata conflittualità sociale, con vari gruppi rivoluzionari comunisti armati che negli anni precedenti al golpe si scontrano senza esclusione di colpi con le forze di polizia e i gruppi paramilitari di contro-guerriglia, tra cui la più tristemente nota è la Triple A (Alianza Anticomunista Argentina). L'obiettivo fondamentale della nuova Giunta militare di Videla è sradicare totalmente la sovversione rossa dal paese, e ovviamente per fare ciò gode di tutto l'appoggio possibile da parte degli apparati statunitensi. Fin dalle primissime settimane la repressione è spaventosamente determinata, buona parte degli almeno 30mila desaparecidos che si conteranno alla fine spariscono proprio nei primi mesi di dittatura. Ma stavolta la strategia non è quella di reprimere, è quella di sterminare. E di farlo senza dare nell'occhio, dando vita ad uno dei periodi storici più raccapriccianti del '900.
Che la passione per il calcio e l'amore per la propria squadra possano rappresentare, in mille modi, valide metafore della vita e delle infinite situazioni che essa ti mette davanti, non lo scopriamo certo oggi. Ma leggendo “E non vorrei lo sai lasciarti mai perché”, di Lobanowski 2 a.k.a. Francesco Berlingieri (autoproduzione, 2013), si ha la piacevole sensazione di ripercorrere un viaggio che parte dall'infanzia profonda e, in una sorta di romanzo di formazione volutamente a-sistematico ed episodico, si snoda lungo aspetti fondamentali di una biografia umana, quali la famiglia, la propria città, gli amici, il calcio, quest'ultimo inteso in modo totale, pervasivo.
Non è un libro sugli ultras, per quanto scritto da uno di loro. Ma, parlando apparentemente d'altro, ti fa capire profondamente come e perché lo si diventi, come e perché il bambino che passa le giornate immerso nella favola calcistica, a fantasticare nei suoi giochi pomeridiani, diventi naturalmente un ultrà, se conserva intatta quella passione così innocente e profonda allo stesso tempo. Non è neanche un libro che narra le imprese dell'Unione Sportiva Foggia, né l'ubriacatura collettiva negli anni di Zemanlandia, né i grigi campionati di serie C degli ultimi due decenni. Tutto ciò fa parte della cornice del libro, entra di soppiatto nel racconto perché non potrebbe essere altrimenti, ma non è quello il punto.
Un punto di vista differente sui fatti di stretta attualità sportiva e sociale.
Fatti, notizie e curiosità sullo sport popolare, sulla settimana appena trascorsa e su quella che verrà
Donne e uomini diventati per qualche motivo esempio
Il mondo dello sport popolare visto attraverso gli occhi della letteratura, della musica e della cultura popolare
Quello che la settimana riserva: appuntamenti, incontri, partite e iniziative su tutto quello che è sport popolare