Cento anni fa, il calcio femminile ha vissuto una prima età dell’oro, interrotta da uomini preoccupati di vedere queste donne mettere in discussione le basi della dominazione maschile.
Il 17 marzo, 60.739 persone hanno partecipato alla partita di calcio femminile tra l’Atletico Madrid e l’FC Barcelona. Un record assoluto per una partita di calcio femminile. Il culmine di un lento ma inesorabile aumento nell’afflusso del calcio femminile sin dalla sua creazione? Per niente! Il precedente record di presenze risale al... 1920, quando le “Dick Kerr Ladies” affrontavano le St. Helen’s Ladies a Liverpool. Lo stadio del Goodison Park ha ospitato circa 53.000 persone!
Questo è forse sorprendente oggi, ma il calcio femminile è stato un enorme successo nei vent’anni trascorsi dopo la codificazione del calcio moderno (1860). Una parentesi incantata alla quale gli uomini hanno messo fine, affinché il calcio rimanesse la loro riserva, sullo sfondo di lotte per l’uguaglianza dei diritti, come ha brillantemente raccontato al giornalista Michael Correia nel suo libro Una storia popolare del calcio.
La Familia, il gruppo ultras che segue le sorti del Beitar Gerusalemme, probabilmente uno dei gruppi ultras più razzisti del pianeta, sicuramente il più razzista di Israele e dintorni, torna a far parlare di sé.
La società giallonera, che ha vinto il titolo israeliano per sei volte, ha appena acquistato con un contratto triennale un giovane prospetto tra i più promettenti del campionato israeliano, l’attaccante nigeriano di ventitré anni Alì Muhammad, che già da quattro anni gioca in Israele, dapprima nel Beitar Tel Aviv / Ramla (2 ° divisione) e successivamente nel Maccabi Netanya (1 ° divisione), dove ha attirato l’attenzione del Beitar.
La gentrificazione come spiegazione degli stadi vuoti nella Copa América. Biglietti costosi e tribune silenziose riflettono la crociata di Conmebol per “risanare” il calcio sudamericano attraverso la creazione di un pubblico elitario. L’incontro tra Perù e Venezuela ha stabilito il record per il numero più basso di spettatori della Copa América fino a ora.
Il suono distintivo di questa Copa América non è quello dei tamburi, delle batterie o delle danze tipiche, per non parlare dei cori delle torcidas. Il suono ufficiale di questa Copa América è il silenzio che aleggia sugli stadi vuoti, senz’anima. In occasione del debutto del Brasile contro la Bolivia a Morumbi, il pubblico che ha fatto registrare un incasso record per la Conmebol sembrava potesse apprezzare qualsiasi cosa: un’orchestra sinfonica, un’opera teatrale o forse una gara di tennis. Tutto tranne una partita di calcio. Ad eccezione dei gol, la reazione più animata del pubblico è stata qualche fischio alla nazionale all’uscita per l’intervallo. Dani Alves ha descritto bene le sensazioni percepite dal campo. I giocatori hanno potuto ascoltare ogni frase del Mister Tite dalla panchina come se fossero in allenamento.
12 gol subiti in tre partite del girone e solamente uno segnato. Sono questi i numeri, che non pochi hanno definito impietosi, della nazionale calcistica femminile della Giamaica al termine della loro avventura ai mondiali di categoria in corso in Francia. La squadra della piccola isola caraibica, conosciuta con il soprannome di “Reggae Girls”, d’altronde era alla sua prima esperienza in una competizione così importante. Questa storica qualificazione, tra le altre cose, era avvenuta a 20 anni esatti dalla prima partecipazione dei loro colleghi maschi a un campionato mondiale di calcio: quello di Francia 1998.