L’agguato a cui qualche giorno fa è scampato Deniz Naki in Germania non è che l’ultima dimostrazione, in ordine temporale, di quanto il calcio in Turchia sia espressione degli equilibri di potere, anzi parafrasando Can Öz, direttore di uno dei gruppi editoriali più importanti del paese, “tutto è politica nel calcio in Turchia”, molto più di quanto si possa immaginare. Da diverso tempo in fin dei conti il rilancio e la legittimazione internazionale che cerca Erdogan (che, oltre a essere molto tifoso del Kasimpasa, team di prima divisione, tra l’altro, vanta anche un passato da calciatore semi professionista), basti pensare alla quantità, se non esattamente di stelle, di giocatori stranieri di livello medio alto che sono arrivate nel campionato turco, che se da un lato ha innalzato il livello del campionato turco, la SüperLig, (attualmente decimo nel ranking dei campionati europei), dall’altro, in concomitanza coi risultati non eccezionali della nazionale, ha creato dei malumori per via dei giovani talenti turchi trascurati dalle grandi squadre e per un buco debitorio per i principali club che ammonta a circa 850 milioni di debiti, a dispetto di una tassazione favorevole.
L'origine politica delle barras argentine
Dicono che la palla non debba sporcarsi, che la politica non abbia spazio in campo. Ma la palla rotola sempre e a volte, nonostante i puristi, la politica vi si intromette. Sebastián Ramírez è andato oltre e ha intrecciato la musica a quest'equazione per regalarci un testo che illustra come il famoso coro “Decime que se siente”[1] e quelli precedenti facessero parte di un importante panorama politico.
Un inno sporcato dalla sua contingenza
Buenos Aires, Argentina, 24 marzo 1976. Il nuovo regime militare guidato da Jorge Rafael Videla proclamava un Processo di Riorganizzazione Nazionale, che significò la morte, gli arresti e la scomparsa di un gran numero di suoi oppositori. Un mantello nero e maledetto cadde sulla nazione.
Sicuramente di tutta la redazione di sportpopolare il sottoscritto è il meno indicato a scrivere un articolo di analisi e riflessione sul mondo ultras in generale.
Il mio è un approccio istintivo, umano, emozionale.
Siamo stati un po per caso un po' per scelta nel lungo week end con cui i Bukaneros, storico gruppo ultras di Vallecas, celebrava il venticinquennale della sua nascita e il suo eterno amore al Rayo Vallecano.
Prima di questa esperienza sapevo il minimo indispensabile su di loro, gruppo ultras che esalta i valori della maglia e che non cela in nessun modo il suo orgoglio antirazzista e soprattutto antifascista.
E già per questo solleticavano il mio immaginario, poi abbiamo colto l'occasione per vederli all'opera nella propria casa.
Innanzitutto, sceso a Vallecas, quartiere periferico e popoloso di Madrid ho subito colto lo spirito popolare che aleggiava nel “barrio”e l'appartenenza osmotica fra quartiere e stadio posto proprio al centro di esso.
13 novembre 2017: l'Italia, perdendo con la Svezia, dice addio alla possibile qualificazione ai mondiali di Russia 2018. Un giorno “nefasto” per il Belpaese, almeno stando alle parole dei massimi rappresentanti del sistema calcistico nostrano, che avrebbe dovuto portare ad una vera e propria rivoluzione nel sistema calcio nostrano.
Tutto questo, purtroppo, non è avvenuto, visto che dopo le scontate, anche se arrivate con sensibile ritardo, uscite di scena del ct Gianpiero Ventura e del presidente Carlo Tavecchio, ci si è trovati fermi al palo. A questo punto sorge spontaneo chiedersi se e quando ci sarà la vera svolta calcistica da tutti acclamata ma da nessuno veramente messa in pratica.
Per fortuna non tutto il panorama del pallone si trova in questa situazione. In questi mesi, infatti, la nazionale calcistica femminile si sta comportando alla grande nel suo girone di qualificazione ai mondiali di calcio femminili che si terranno in Francia nel giugno 2019.