Uno dei tratti distintivi riscontrabili in tutte le squadre di calcio popolare è il rapporto col territorio, che può comunque essere declinato secondo molteplici opzioni differenti lʼuna dallʼaltra, così come differenti sono, inevitabilmente, i tipi di intervento da fare sui vari territori in questione. Il caso dellʼAtletico San Lorenzo è uno di quelli che non solo ha fatto proprio dellʼazione locale una delle sue prerogative a trecentosessanta gradi: anche per la natura stessa del quartiere, che ormai da tempo si trova ad affrontare una dura battaglia contro il degrado da un lato e la gentrificazione dallʼaltro, vissute in questo quartiere più che in molti altri luoghi come due facce della stessa medaglia, può essere preso come esempio per vedere quali sono le possibilità di resistenza e di autorganizzazione per fronteggiare questo fenomeno che appare tuttora inarrestabile o quasi.
Una squadra di calcio non è mai solo una squadra di calcio. Altrimenti saremmo dei folli. Colpevoli di un’idiozia colossale, di una svista irresponsabile. A quelli che parlano di ventidue ragazzi in mutande che inseguono un pallone; a quelli che dicono: “Il Parlamento dovreste assaltare!”, daremmo ragione.
Provate a farvi un giro per Foggia, oggi. Lunedì 7 marzo 2016.
Andate in edicola, dal macellaio, al minimarket. Passeggiate a piazza Italia, lungo corso Roma, a corso Cairoli. Pesate gli sguardi. Ascoltate il tono delle frasi. Decriptatele. O rispondete a quel che vi viene chiesto, in un sussurro cospiratorio che è tutto dire.
Una squadra di calcio è una sommatoria di aspirazioni. Di sogni, di ideali, di prospettive di rinascita. Lo dicono tutti: Foggia era una città magnifica, quando il Foggia era in A.
Dopo l'ultima giornata di febbraio, è giunta l'ora di fare una nuova panoramica sull'andamento in campo delle compagini del calcio popolare. Sta arrivando la primavera, nonostante il clima tempestoso di questo fine settimana, e con essa gli sprint finali di tutti i campionati. È il momento in cui bisogna tirare fuori ogni briciola di energia, gettare il cuore e le gambe oltre l'ostacolo, superare i propri stessi limiti come alcune squadre hanno già fatto nelle stagioni scorse, centrando imprese pazzesche. Diversamente dal solito l'analisi non procederà dalla categoria più alta a quella più bassa, ma andrà per obiettivi, da chi lotta per le primissime posizioni a chi arranca in fondo alla classifica. Vediamo quindi una fotografia della situazione attuale e delle possibili gioie (e dolori...) che possono arrivare in questo finale di stagione.
“Gioca col cuore! Dai Inter gioca col cuore!”.
L’avrò urlato a squarciagola almeno 100 volte dagli spalti di San Siro, teatro ultratrentennale (anche se oggi le mie sortite sono meno assidue) della mia passione malata per i colori neroblu e per il football. Con quella sensazione di eterna palpitazione mista a brividi, a metà tra il caldo e il freddo, che mi accompagna fremente nel sostenere la mia squadra.
Stessa sensazione che provo tutt’oggi quando calco un campo da gioco. Magari meno curato di quello del “G. Meazza” (anche se qualcuno più schizzinoso potrebbe opinare), ma palcoscenico di emozioni spesso difficili da descrivere. Il silenzio teso e concentrato degli spogliatoi nel pre-partita, la sacra e solenne consegna delle divise da gioco, l’uscita sul campo per il riscaldamento. Il contatto degli scarpini con il terreno pesante e umido dà sempre quella sensazione di battaglia, di unione. Poi il rientro negli spogliatoi, con l’appello dell’arbitro panciuto di turno, e di nuovo in campo, in fila indiana parallela a quella degli avversari. Tinte multicromatiche che si mescolano tra le due compagini, sguardi tesi e urla di incitamento che portano a centrocampo per salutare i 15-20 accoliti tra amici, fidanzate, paesani annoiati, giunti a sostenerti. Si prende infine posizione sul campo, chi in difesa a guardare le spalle dei compagni, chi a centrocampo per far girare il gioco della squadra, chi in attacco per cercare di finalizzare e far esplodere di gioia tutti. Giocatori, tifosi e dirigenti.