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Il 12 e 13 febbraio scorsi, nelle regioni di Lazio e Lombardia, si è votato per il rinnovo dei rispettivi consigli regionali. Alla fine si sono rispettate le previsioni della vigilia che prevedevano, in entrambi i casi, una vittoria netta e schiacciante da parte dei candidati di centrodestra.
Questa tornata elettorale, però, è passata alla storia per il più alto indice di astensionismo mai registrato in Italia da quando è stata fondata la Repubblica. Se in Lombardia si è recato alle urne appena il 41% degli aventi diritto, nel Lazio è andata ancora peggio.
Nella regione di Roma ci si è infatti fermati a un misero 37%, con il 33% dell’affluenza registrato nella Capitale. In pratica, un solo romano su tre all’incirca si è recato alle urne.
Se poi vediamo la distribuzione dei voti all’interno del GRA vediamo una differenza ancora più netta tra la zona centrale e la periferia dell’Urbe. Nella prima l’affluenza non è del tutto crollata mentre in periferia il distacco dal panorama politico nostrano è stato a 360° e le urne sono rimaste, in alcune zone, letteralmente vuote.
Questo articolo si pone come una sorta di introduzione e analisi del calcio in Unione Sovietica, per capire quale sia stata la dimensione di questo sport all’interno della società sovietica. Come ogni introduzione che si rispetti partiamo con una cronologia storica necessaria per capire di cosa stiamo parlando. La Federazione calcio di tutte le Russie nasce il 6 gennaio 1912 a San Pietroburgo, nello stesso anno si affilia anche alla FIFA, e l’esordio a livello internazionale si registra sempre in quello stesso anno, quando la nazionale russa affrontò alle Olimpiadi di Stoccolma la nazionale finlandese venendo eliminata da quest’ultima. La Federazione rimase in attività solo per cinque anni durante i quali si occupò dell'organizzazione di due campionati russi. Nel 1912, il titolo va alla squadra di San Pietroburgo, mentre l'anno successivo è la rappresentativa di Odessa che ne uscì vittoriosa. Nel 1914 il campionato venne sospeso in seguito allo scoppio della prima guerra mondiale e per otto anni il calcio russo rimase cristallizzato. Già, nel periodo zarista, poi in quello sovietico, anche il calcio seguì un tipico trattato della politica russa: a livello internazionale iniziò un lungo periodo di isolamento sportivo. Con la rivoluzione d’Ottobre del 1917, anche il calcio subì una sostanziale trasformazione sociale perché il socialismo si occupò di riformare pure lo sport. Come primo passo, la Federazione calcio di tutte le Russie cambiò il suo nome diventando la Federazione calcistica dell'Unione Sovietica. Ufficialmente si dovrà aspettare 1922 per la ripresa del calcio in Russia, per alcuni importanti motivi: la rivoluzione d’Ottobre e le guerre civili che videro protagonisti i bolscevichi contro le truppe zariste e i contadini russi. Una volta che i comunisti raggiunsero la vittoria nel 1922 si poterono dedicare anche a modificare il campionato di calcio russo e le prime modifiche riguardavano proprio le squadre che partecipavano a questa competizione e alcune di queste sono tutt’ora attive nell’attuale campionato di calcio russo. Queste squadre furono dei punti di riferimento culturali e le più rappresentative sulla scena internazionale, come lo Spartak Mosca, la Lokomotiv Mosca, la Torpedo, la Dinamo Mosca e il CSKA. La logica del governo comunista era molto semplice: sostituire le vecchie squadre considerate simbolo della borghesia con associazioni sportive legate ad aziende di Stato ed enti pubblici, quindi rappresentare al meglio il popolo russo.
I gruppi ultras, nell’epoca attuale, si caratterizzano molte volte per un loro coro ad hoc. Pochi giorni fa un importante gruppo della curva sud romanista, i Fedayn, dopo un vile attacco subito allo stadio Olimpico lo scorso 4 febbraio da un gruppo di paramilitari serbi, ha visto bruciare il suo striscione nello stadio della Stella Rossa di Belgrado, nel corso del match tra i padroni di casa e il Cukaricki.
Questo importante gruppo ultras, nato il 12 marzo 1972, aveva un coro specifico che lo caratterizzava. Il coro del gruppo ultras in questione, che aveva la sua base nel quartiere capitolino del Quadraro, veniva cantato all’inizio di ogni match della squadra giallorossa. Esso si rifaceva a un vecchio canto anticlericale, conosciuto tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, e aveva il titolo “Quanno che more un prete”.
Domenica scorsa, quando i Fedayn si sono ripresentati in curva Sud, nel corso del match tra la Roma e il Verona, per la prima volta dopo l’esposizione della loro pezza nello stadio della capitale serba, il settore più caldo del tifo romanista (seguito dall’intero stadio interamente sold-out) ha cantato, più e più volte nel corso della partita, il coro simbolo dei ragazzi del Quadraro per render loro omaggio.
Della Lazio del 1974 e del suo primo scudetto ne ho sentito parlare, ne ho letto e visto qualche documentario in quanto appassionato delle epopee che solo il calcio sa regalarci. Ai più saranno arrivate le storie dei giocatori più famosi di quella squadra, su di tutte quella tragica di Re Cecconi.
Un gruppo di giocatori capaci di portare uno storico scudetto dalla parte bianco azzurra della capitale, una squadra che fino a quel fatidico anno altalenava tra la Serie A e la Serie B e con appena una Coppa Italia in bacheca in più di settanta anni di storia.
Nonostante all’interno dello spogliatoio ci fossero due fazioni apertamente ostili – nel romanzo questo aspetto è ampiamente raccontato – sotto la guida di un allenatore illuminato la Lazio di quell’anno è stata capace di trasformare un’apparente debolezza in un punto di forza. Il nome di quell’allenatore dall’intuito fino e dalla calma serafica era Tommaso Maestrelli, non solo un semplice C.T., ma un uomo che quando fu l’ora di decidere da che parte stare durante il periodo buio della seconda guerra mondiale, scelse di combatte dalla parte dei partigiani in terra Jugoslavia.