L’Italia rischia di gareggiare senza inno nazionale, senza tricolore, né...
Un tuffo nel passato. Un salto indietro di 25 anni, ahimé! Semplicemente è...
Sin da piccoli ci si avvicina al tifo sportivo, seguendo le orme di un padre...
Footballization è il documentario vincitore dell’Offside Football Film...
Da pochi giorni è iniziato il 2021. Quello che ci lasciamo alle spalle è...
Anche per chi come noi rifugge il lato consumistico e commerciale dello...
L’Italia rischia di gareggiare senza inno nazionale, senza tricolore, né squadre e medaglie alle prossime Olimpiadi di Tokyo 2020, come noto rimandate al 2021 a causa della pandemia, e di perdere i contributi, destinati alla realizzazione della 25a edizione dei Giochi Olimpici Invernali di Milano-Cortina 2026 (di cui abbiamo parlato qui). Questo lo scenario verso cui si sta rovinosamente precipitando a seguito di una ormai insanabile spaccatura in seno alle più alte cariche sportive italiane e internazionali.
Il motivo è presto detto: “una grave violazione” dell’articolo 27 della Carta Olimpica (documento ufficiale, approvato dal Comitato Olimpico Internazionale, che contiene l’insieme delle regole e delle linee guida per l’organizzazione dei Giochi Olimpici) da parte dell’Italia in materia di autonomia e indipendenza economica del CONI (art. 27: “i Comitati Olimpici Nazionali devono preservare la propria autonomia e resistere a pressioni di qualsiasi tipo, incluse quelle politiche, giuridiche, religiose o economiche”).
Un tuffo nel passato. Un salto indietro di 25 anni, ahimé! Semplicemente è quello che mi hanno trasmesso i racconti che Nicolò Rondinelli e Andrea Vecchio han messo nero su bianco nelle pagine del loro ultimo lavoro letterario Con il pallone tra i piedi e la musica a cannone – Racconti contro il calcio moderno, edito da Red Star Press – Hellnation Libri.
Racconti che mi hanno coinvolto sin dalle prime righe, semplicemente perché ho rivissuto quella che con i miei amici è stata la mia adolescenza e tutto quel periodo che a livello “teorico” ci ha portato all’età adulta, ma che nei fatti personalmente mi ha fatto rimanere stretto a quei momenti ed essere ancora molto adolescente dentro la testa.
Noi che aspettavamo, in ogni periodo dell’anno, l’orario per trovarci in uno dei tanti parchi del paese, nella mansarda di uno dei nostri o nei cortili dei palazzi popolari che ci ospitavano, per correre dietro a un pallone da insaccare dentro a porte improvvisate: una volta quattro alberi, una volta semplici magliette o bottigliette, dipendeva dal numero che eravamo e da che tipo di partita volevamo fare; in alternativa ci si sfidava a tedesca o 21 (così venivano chiamati dalle nostre parti), dove bastava un muro e molta immaginazione per urlare al gol.
Sin da piccoli ci si avvicina al tifo sportivo, seguendo le orme di un padre (o di una madre, o di una figura-guida qualsiasi) appassionato, o magari perché rapiti dall’emozione di una vittoria o di una sconfitta durante i primi giochi di bambino. A Roma, come in gran parte d’Italia, ci si avvicina di solito a un unico, grande sport: il calcio ovviamente. Come una religione si sceglie più o meno autonomamente di appartenere a una squadra per un’infinità di ragioni e con miriadi di gradazioni differenti. Di solito la Roma. Meno frequentemente la Lazio. Poi qualche squadra a caso del Nord se ti piace vincere più facile.
A Roma il tifo in altri sport, lo confessiamo, è praticamente assente. Non che non si pratichino sport di squadra e individuali a vario livello. O non che non esistano società dilettantesche e professionistiche dotate di storia, prestigio e radicamento territoriale. Sarebbe peraltro impensabile non ci fossero in una metropoli come quella romana, dove l’appartenenza a un quartiere segue di poco quella a una squadra e spesso è legata proprio alla frequentazione di centri sportivi laici o ecclesiali.
Footballization è il documentario vincitore dell’Offside Football Film Festival 2020, la kermesse indipendente di lungometraggi e cortometraggi sul calcio, sul mondo e sulle sue diversità – come la definiscono gli organizzatori.
Footballization è un prodotto filmico di alto spessore ed è difficilmente classificabile come puro documentario. La sua qualità narrativa e visiva ne fa un gioiello raro che dovrebbe essere mostrato prima di tutto per i contenuti che porta, ma allo stesso anche per il modo con cui lo fa. Questo progetto diventerà un punto di riferimento per tutti quelli che vorranno approcciarsi al documentario sportivo.
Per capire meglio la genesi e l’evoluzione di questo progetto abbiamo intervistato Stefano Fogliata, il ricercatore bresciano che è stato la mente che ha pensato Footballization.
Le sue parole non sono mai banali e ci permettono di aprire una porta diversa sul Medio Oriente. Il suo è uno sguardo laterale che ci apre delle prospettive inaspettate sul Libano e sulla situazione dei profughi palestinesi, che vivono da decenni in quel paese.