Dopo la storia dello Spartak Mosca, continuiamo con le recensioni in salsa sovietica anche per questo 2021. Lo sportivo che celebriamo è nientemeno che uno dei più grandi calciatori russi di tutti i tempi, il mitico “ragno nero”, Lev Ivanovìch Jasin.
In vita mia sono sempre rifuggito dalle assolutizzazioni, cercando di smarcarmi dal tipo di frase: “tizio è stato il più forte di sempre, caio è il migliore di tutti i tempi”, mi sfuggono i parametri e i numeri (che per carità ci sono e sono consultabili) rispetto alle emozioni e ai contesti che li rendono tali.
L’unica eccezione è forse Diego Armando Maradona, coacervo di numeri e sentimenti, ma anche qui non mi sento di contestare chi ha eletto a suo Dio qualcun altro che non sia proprio lui, D10s.
Anche su Jasin non mi sento di crocifiggere qualcuno in caso non lo si consideri il più forte di sempre, ci mancherebbe, ma in questo articolo spero di riuscire a dipanare qualche dubbio sulla sua figura, aggiungendo qualche considerazione personale che aiuti la comprensione dell’unico portiere che ha vinto il pallone d’oro.
Un tuffo nel passato. Un salto indietro di 25 anni, ahimé! Semplicemente è quello che mi hanno trasmesso i racconti che Nicolò Rondinelli e Andrea Vecchio han messo nero su bianco nelle pagine del loro ultimo lavoro letterario Con il pallone tra i piedi e la musica a cannone – Racconti contro il calcio moderno, edito da Red Star Press – Hellnation Libri.
Racconti che mi hanno coinvolto sin dalle prime righe, semplicemente perché ho rivissuto quella che con i miei amici è stata la mia adolescenza e tutto quel periodo che a livello “teorico” ci ha portato all’età adulta, ma che nei fatti personalmente mi ha fatto rimanere stretto a quei momenti ed essere ancora molto adolescente dentro la testa.
Noi che aspettavamo, in ogni periodo dell’anno, l’orario per trovarci in uno dei tanti parchi del paese, nella mansarda di uno dei nostri o nei cortili dei palazzi popolari che ci ospitavano, per correre dietro a un pallone da insaccare dentro a porte improvvisate: una volta quattro alberi, una volta semplici magliette o bottigliette, dipendeva dal numero che eravamo e da che tipo di partita volevamo fare; in alternativa ci si sfidava a tedesca o 21 (così venivano chiamati dalle nostre parti), dove bastava un muro e molta immaginazione per urlare al gol.
Anche per chi come noi rifugge il lato consumistico e commerciale dello scambio dei regali, ciò non toglie che quando ti si regala un libro non si può nascondere un moto di gioia e mostrare una certa benevolenza con l’autore dell’apprezzato gesto.
E un libro regalato è un libro che non scegli, un libro del quale probabilmente chi te lo regala vuole regalarti anche il messaggio che sottende. E se il sodale non ha avuto queste intenzioni, beh, comunque a te piace pensare di sì.
Tra i tanti libri ricevuti da me, molti riguardano lo sport, molti parlano di Russia o meglio quasi sempre di Unione Sovietica, e alcuni parlano allo stesso tempo di calcio e URSS. Se qualcuno mi conosce sa che mi sono da subito tuffato su questi ultimi con molta foga!
Se c'è una cosa che la pandemia ha portato a galla in maniera dirompente, è la crisi del sistema calcio nostrano e mondiale. Il teatrino chiamato “calcio moderno” non regge più e comincia a scricchiolare e perdere pezzi. I segnali erano già evidenti da anni, a fronte delle numerose squadre di serie C e leghe minori saltate a causa di fallimenti dovuti a gestioni societarie fallimentari o semplicemente a costi sempre più elevati per la gestione di un club. Proprio in questo periodo per salvare questo “giochino” assistiamo ai dirigenti delle diverse società, gli stessi che fino ad oggi hanno monetizzato su calciatori, plusvalenze, tv e chi più ne ha più ne metta, chiedere con forza una “rivoluzione” sul monte ingaggi dei calciatori per evitare il default definitivo del sistema calcio.
Come è stato per I ribelli dello stadio, Pierluigi Spagnolo con il suo nuovo lavoro, Contro il calcio moderno, edito da Odoya, fa un excursus a 360 gradi nel mondo del calcio provandogli la febbre, con il risultato di essere di fronte a un paziente molto, molto malato il quale sarà difficile da salvare o in minima parte recuperare se non attraverso un serio e reale default che riporti questo mondo, ma soprattutto lo sport calcio, a essere il più bello del mondo.