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La Strage di Genova: il crollo del ponte sull'autostrada metafora tragica della crisi della società italiana contemporanea, tra neofascismi al potere e la decadenza del calcio italiano.
Indomita Zena
Le lacrime d’agosto
Impregnano
Macerie
Madide
Di horror vacui incredulo e colpevole
L’asfalto dei ricordi dell’infanzia
Che
Conduceva al blu del cielo e mare
L’asfalto dei ricordi delle volte
Che tornavo per lottare fuori e dentro al Marassi
L’asfalto dei ricordi della lotta
Insanguinata di quel Luglio quando andammo per cambiare
L’asfalto dei ritorni in Alimonda che facevano
Indignare
Non c’è più
Come fotogramma ritoccato dal computer
Per imitare quel terrore
Oggi vero come il tempo che corrode
Il cemento di pilastri d’alabastro
Indomita Zena
Le lacrime d’agosto
Sono mie
Sono nostre
Per gli appassionati di calcio che abbiano più di 25 anni, sentire il nome Castel di Sangro genera un piacevole sussulto. Come dimenticare infatti quella squadra giallorossa che dal ’96 al ‘98 si affacciò per due stagioni in Serie B, e nel ’99 arriva agli ottavi di Coppa Italia con tanto di match di Coppa Italia contro l’Inter? Questo piccolo paese di confine tra Abruzzo e Molise, dotato da allora di un paradossale stadio da 8.000 posti per un totale di 6.000 abitanti, rappresenta oggi una delle realtà emergenti più interessanti nella galassia del calcio popolare.
Un nuovo spauracchio si aggira all’interno degli stadi italiani in questa vigilia di nuova stagione. L’ultima trovata, per quanto non molto “a sorpresa”, del sistema-calcio italiano nell’ottica di normalizzare definitivamente la figura del tifoso, a uso e consumo del meccanismo di profitto economico e dell’onnipotenza delle società e dei presidenti in particolare. L’istituzione dei “codici di gradimento” o “codici etici”, obbligatori per ogni società professionistica, era la conseguenza prevedibile del percorso di abolizione della Tessera del tifoso iniziato la stagione scorsa. Illudersi che non ci sarebbero stati nuovi provvedimenti sarebbe stato davvero sciocco. Senza dubbio alcuni effetti positivi ci sono stati: tutti hanno ricominciato a viaggiare in trasferta, sono tornati i tamburi. Questo non per bontà della controparte, ma solo perché hanno registrato un sonoro fallimento, con gli stadi svuotati proprio di quelle “famigliole” che tanto dicevano di voler fidelizzare. E quindi adesso si inaugura una stagione diversa, sempre all’insegna del tentativo di fare del tifoso un cliente da supermercato e di non permettergli alcuna autonomia di pensiero e di azione individuale o collettiva.
Una volta ho letto una sua intervista e alla domanda su quali sport preferisse, lui ha risposto che solo il calcio, il ciclismo e il pugilato avevano quell’epicità che li contraddistingue da tutti gli altri.
Molti ne contesteranno la veridicità ma io apprezzai molto quella risposta.
Probabilmente perché gioco a calcio, avevo un nonno pugile e un padre ciclista dilettante. Chissà.
Fatto sta che Marco Ballestracci, amico e narratore di sport (e di vita), ha fatto breccia nei nostri cuori.
Di lui e dei suoi racconti sul calcio abbiamo già scritto e apprezzato, abbiamo organizzato una presentazione e lo spettacolo “La storia più dura del mondo”, ma ci mancava ancora tutto un altro Marco, il Ballestracci che scrive di ciclismo.
Che di calcio (e di portieri) ne capisse e che ne sapesse raccontare le gesta, le contraddizioni, il fervore si era già capito ma leggere il suo 1961 ci ha dato una dimensione più completa della sua capacità.