L’assedio della Striscia Gaza da parte dell’esercito israeliano, dopo gli...
Venerdì scorso, 8 marzo 2024, è stata celebrata la Giornata Internazionale...
Determinati numeri, in specifici ambiti sportivi, assumono un significato...
Il 32, la libreria Internazionale, il Cinema Palazzo. Sono molti, purtroppo,...
“Esistono i tifosi di calcio... e poi esistono i tifosi della Roma”: prendo...
Per i feticisti delle serie tv True Detective è un idolo da venerare. Una...
Oggigiorno l'appartenenza politica non ha contagiato solamente gli spalti degli stadi italiani ma anche i rettangoli da gioco. Sono numerosi, infatti, gli episodi “militanti” che in Italia, ma non solo, vedono come protagonisti i giocatori che, secondo una tradizione popolare, dovrebbero essere dei “maestri di vita” per chi va a vederli ogni domenica allo stadio.
Dall'ultimo caso, in ordine cronologico, del tesserato del 65 Futa, che a metà novembre ha esultato facendo il saluto romano ed esibendo una maglietta con l'aquila romana della Repubblica Sociale Italiana durante la partita col Marzabotto, fino ai numerosi saluti romani di Paolo Di Canio per incitare i tifosi della Lazio, risultano essere sempre più frequenti gli eventi in cui il neofascismo ha potuto mettersi in bella mostra grazie agli infami gesti di questi individui. Dall'altra sponda della barricata anche l'antifascismo ha avuto alcuni calciatori che non hanno avuto nessun problema a mettere chiaramente in luce i loro ideali politici: Cristiano Lucarelli e Riccardo Zampagna giusto per citare due nomi famosi.
L'origine politica delle barras argentine
Dicono che la palla non debba sporcarsi, che la politica non abbia spazio in campo. Ma la palla rotola sempre e a volte, nonostante i puristi, la politica vi si intromette. Sebastián Ramírez è andato oltre e ha intrecciato la musica a quest'equazione per regalarci un testo che illustra come il famoso coro “Decime que se siente”[1] e quelli precedenti facessero parte di un importante panorama politico.
Un inno sporcato dalla sua contingenza
Buenos Aires, Argentina, 24 marzo 1976. Il nuovo regime militare guidato da Jorge Rafael Videla proclamava un Processo di Riorganizzazione Nazionale, che significò la morte, gli arresti e la scomparsa di un gran numero di suoi oppositori. Un mantello nero e maledetto cadde sulla nazione.
Deniz Naki non è un ninja, non bestemmia ubriaco, non è fidanzato con una wags, quindi non merita la prima pagina, ma appena un trafiletto sulla versione on-line di qualche giornale sportivo.
In Italia insomma il suo nome non fa notizia: e poco importa se nella storia recente del calcio turco è invece balzato diverse volte agli onori delle cronache.
Classe 1989, Deniz Naki è un attaccante tedesco di origine curda cresciuto nelle giovanili del Bayer Leverkusen, transitato per il Rot Weiss Ahlen, un paio di stagioni al FC St. Pauli, una stagione al SC Paderborn 07, poi un passaggio al Gençlerbirliği – una squadra di Ankara – e infine l’approdo alla Amed SK, la squadra di Diyarbakır (Amed appunto in curdo). Questo il suo curriculum.
Non è un fenomeno, non è il nuovo Messi, ma è comunque un discreto attaccante che ha decine di presenze nella nazionale tedesca giovanile (under 19 e under 20).
Sicuramente di tutta la redazione di sportpopolare il sottoscritto è il meno indicato a scrivere un articolo di analisi e riflessione sul mondo ultras in generale.
Il mio è un approccio istintivo, umano, emozionale.
Siamo stati un po per caso un po' per scelta nel lungo week end con cui i Bukaneros, storico gruppo ultras di Vallecas, celebrava il venticinquennale della sua nascita e il suo eterno amore al Rayo Vallecano.
Prima di questa esperienza sapevo il minimo indispensabile su di loro, gruppo ultras che esalta i valori della maglia e che non cela in nessun modo il suo orgoglio antirazzista e soprattutto antifascista.
E già per questo solleticavano il mio immaginario, poi abbiamo colto l'occasione per vederli all'opera nella propria casa.
Innanzitutto, sceso a Vallecas, quartiere periferico e popoloso di Madrid ho subito colto lo spirito popolare che aleggiava nel “barrio”e l'appartenenza osmotica fra quartiere e stadio posto proprio al centro di esso.