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Il 14 luglio 1789, con la presa della Bastiglia a Parigi da parte della popolazione, iniziava ufficialmente quell’evento passato alla storia come Rivoluzione Francese. Un fatto che cambiò radicalmente la storia dell’intera umanità visto che, per la prima volta, ci si ribellava al potere assoluto di un re.
Questo senso di diritti e libertà ha, da allora, caratterizzato in numerose occasioni il popolo della terra d’Oltralpe che, al minimo tentativo di cambiamento di alcuni dei suoi diritti fondamentali, scende in piazza per protestare e far sentire la propria voce. In queste ultime settimane, non a caso, la Francia è attraversata da una serie di manifestazioni per un cambiamento molto importante nei diritti dei lavoratori locali.
L’attuale presidente della repubblica francese, Emmanuel Jean-Michel Frédéric Macron, ha infatti attuato una riforma delle pensioni. Con questa riforma l’età pensionabile si alza dai 62 anni attuali di media ai 64 e, soprattutto, colpisce le fasce più deboli della popolazione che, la maggior parte delle volte, sono costrette a fare i lavori più usuranti (ad esempio coloro che puliscono le fogne cittadine della capitale Parigi).
Il contorto regolamento della Conference League ha visto recentemente affrontarsi in uno degli spareggi della fase ad eliminazione diretta, lo Sheriff di Tiraspol e il Partizan di Belgrado. Una partita dai molteplici spunti per appassionati di calcio, tifo e relazioni internazionali.
Dell’esistenza dello Sheriff di Tiraspol in molti se ne accorgono solo nel settembre 2021. La storica vittoria per 2-1 al Santiago Bernabeu sul Real Madrid in un match di Champions League, Real che poi vincerà quella edizione del torneo, porta alla ribalta la squadra di calcio di Tiraspol ma soprattutto fa irrompere sulla scena il suo paese di appartenenza. Un paese sconosciuto ai più e per gli altri avvolto da una cortina fumogena di mistero e inaccessibilità.
La Repubblica Moldava di Pridnestrovie, conosciuta internazionalmente come Transnistria, di cui Tiraspol è la capitale, è una striscia di terra lunga circa duecentocinquanta chilometri compresa tra la riva moldava del fiume Dniestr e l’Ucraina.
Al disgregarsi dell’Unione Sovietica anche la Pridnestrovie, incorporata politicamente alla Moldova, anelò a una sua indipendenza, desiderio che scaturì in un conflitto bellico durato circa due anni. L’armistizio del 1992 che pose fine alle ostilità armate affermò nell’area una forza di interposizione formata da militari russi a garanzia del cessate il fuoco tra le parti.
Milano è una città che è capace di strapparti il cuore, ridurlo in brandelli. Come diceva Lucio Dalla nella canzone, meravigliosa, che ha dedicato a questa metropoli: “Mi prendi allo stomaco mi fai morire”. Ed è così. Invivibile, letteralmente, perché ha venduto la sua anima ad affaristi, politicanti, tragattini, mezze figure tutte contraddistinte da fame di denaro. Invivibile perché è la patria della gentrificazione e in nome di essa è pronta a sacrificare i suoi figli, che l’hanno fatta grande, per avere visibilità o fama. Invivibile perché quando esci appena fuori dalla zona centralissima, per intenderci Duomo e limitrofi, ti ritrovi nelle periferie che, ormai, si stanno uniformando alla zona di Porta Nuova – quella del Bosco Verticale – con il costo al metro quadro insostenibile e che l’amministrazione vuole letteralmente espellere non solo con azioni di polizia ma, soprattutto, silenziosamente attraverso la politica del decoro. Questa, però, vale solo per i “miserabili” che abitano nel ghetto e non per chi ha un ISEE sopra i sei zeri. Un esempio è nella zona di San Siro dove, per arrivare al Meazza, lo stradone divide ville di notabili dalle case popolari. La contraddizione servita per chi vuole guardare entrambe le facce della medaglia di questa città. Milano è veramente, come raccontano in molti, esclusiva ma nel senso peggiore del termine. Meritocratica e orizzontale, solo per una narrazione tossica.
Il Primo di Marzo ha compiuto 80 anni uno dei più forti portieri della storia del calcio.
Nato in una terra di portieri, ne fu il più grande. Ci preme oggi ricordarlo ancora di più dato che in questa settimana è stato omaggiato in tutta la Liga, dove gli estremi difensori sono scesi in campo, con una divisa color nero, proprio il colore, unico e inconfondibile usato da Josè Angel in veste ufficiale (in Italia e nel mondo non so se si sia ricevuto l’appello, sicuramente dalle parti della Borgata Gordiani sì, visto che sono sceso in campo anch’io onorando Iribar!). Se però si sono spese parole eccellenti e ricordi emozionanti, noi di Sportpopolare.it ci tenevamo a porre l’accento non solo sul colore nero della sua divisa, ma sul cuore rosso che Iribar ha sempre portato con orgoglio.
Nato a Zarautz, ridente cittadina ormai turistica e frequentata da surfisti di tutto il mondo nella zona di San Sebastian, ha iniziato il suo percorso con difficoltà, primo di cinque figli di famiglia non proprio agiata, con un destino da aiuto-famiglia al quale era difficile sottrarsi, eppure, la sua passione sconfinata per il calcio ha avuto la meglio, e come tanti campionissimi del passato, a una attività sportiva si legava sempre un impiego lavorativo per aiutare la propria famiglia.