Nella Roma degli sgomberi e della repressione dura del dissenso, targata Prefetto Gabrielli, non sono solo studenti e occupanti di casa a risentirne. Negli ultimi due mesi nell’occhio del ciclone del dibattito, almeno capitolino, c’è anche la chiusura/diserzione della Curva Sud , lo storico settore del tifo giallorosso. I tifosi della Roma, come gli altri del resto, sono anni che vengono vessati con ogni forma di provvedimento repressivo e restrittivo. Dando fede a una rapida ma indicativa cronologia si può affermare che: dal biglietto nominale si è passati ai tornelli, da questi si è arrivati alla tessera del tifoso. Da quest’ultima a pratiche quali il “super D.A.S.P.O.” – interdizione dal frequentare gli stadi per 8 anni – oppure al “D.A.S.P.O di gruppo”, il passo è breve.
Nel giro di pochi anni sono stati repressi i comportamenti quotidiani diffusi all’interno degli stadi. La storia degli ultimi due anni della Curva Sud parla però una lingua differente, poiché nessun altro settore ha vissuto l’attacco che tocca oggi a noi tifosi della Roma. La data spartiacque è una, il 3 maggio del 2014, il giorno in cui un tifoso della Roma spara, ferendo mortalmente un supporter del Napoli, Ciro Esposito. È il fatto che serve per dare un’ulteriore sterzata alle operazioni contro i tifosi, ma per tutti gli esperimenti serve sempre una cavia dalla quale iniziare. Questo criceto da laboratorio ha un nome: Curva Sud che per tanti anni, tempi che chi scrive non può ricordare, è stata il fiore all’occhiello del movimento ultras italiano. Uno dei settori più popolati d’Europa: 17.000 spettatori e una capacità di mobilitazione in trasferta da far invidia alle spedizioni militari di Napoleone.
Il tifo giallorosso viene vessato non solo da stampa e televisioni, con la loro ormai nota retorica banale sulla violenza negli stadi, ma tutte le compagini ultras si affrettano a condannare i tifosi della Roma, come se De Santis potesse rappresentare un intero settore, quelle migliaia di persone di cui sopra, tutte con passati uguali ma diversi. Daniele De Santis non rappresenta la curva, ma di certo le tante persone che lo conoscevano e qualche gruppo riconducibile all’estrema destra in cui ha militato, non potevano che schierarsi dalla sua parte. A parti inverse avremmo visto qualcosa di diverso? Probabilmente no, e il criceto nella gabbia somiglierebbe di più al ciuco biancazzurro che alla lupa capitolina. Giustamente piove solidarietà sul tifo partenopeo e sulla famiglia della vittima. I funerali del ragazzo, seppur “rivendicati” sui principali mass media (si pensi che l’ “evento” è stato mandato in speciale diretta Sky) da una serie di personaggi istituzionali che definire ambigui sarebbe fargli un complimento, commuovono per la capacità del movimento ultras di mostrare il suo aspetto forse più rivoluzionario: la solidarietà. Quella stessa solidarietà che invochiamo per le strade delle nostre metropoli per evitare uno sfratto. La reazione di alcuni gruppi della “Sud” è invece sconsiderata, è la reazione del debole che rivendicando un gesto forte che non gli appartiene prova ancora a descriversi come mai domo.
La verità è un’altra, il tifo giallorosso è in crisi da anni e nell’isolamento si stringe intorno al gesto di un folle. Chi c’era in quel Roma-Juventus successivo ai fatti di Fiorentina-Napoli ricorderà la parzialità di quella rivendicazione. I più, come il sottoscritto, guardano il campo attoniti mentre sparuti gruppi inneggiano a De Santis. Chi c’era in quel Roma-Juventus dovrebbe anche ricordare (ma purtroppo la verità è che viviamo in un mondo in cui molta gente non vede o non vuol vedere, perciò ai molti ciò è rimasto ignoto), che il silenzio lungo il corso della partita, così come la scelta di non alzare le bandiera, erano state di fatto dettate da un comportamento tanto minaccioso quanto lungimirante (da parte sua) delle forze di polizia che a sorpresa e senza dare alcun tipo di spiegazione a chi tentava un confronto, vietava di montare le aste delle bandiere e minacciava chi avesse alzato cori ecc. di diffida. Le stesse cose che oggi, a distanza di due anni, fanno parte del quotidiano.
Le “condanne” sui tifosi della Roma e sui suoi ultras dopo Roma-Juventus piovono in modo trasversale. D’improvviso nei bar dello sport di tutta Italia, nelle curve e negli spazi sociali, i tifosi giallorossi sono diventati tutti fascisti. Se fosse vero nella nostra città avremmo un bel problema, “per fortuna” è solo una trovata mediatica diffusasi viralmente in ogni strato della società e consente alla Questura di Roma e al Prefetto Gabrielli di trasformarci nel criceto sul quale sperimentare le nuove tecniche anti-ultras. Nella stagione scorsa ogni coro, ogni fumogeno, ogni trasferta diventa occasione per distribuire diffide e multe, mentre oggi alle porte dell’Olimpico si erge un muro, fatto di nuovi prefiltraggi e maggiori forze di polizia; senza biglietto non si entra più, novità amara per chi non ha mai permesso ad un pezzo di carta di farsi separare dal proprio amore domenicale.
Arriviamo alla stagione 2015/2016: alla seconda giornata (Roma-Juventus mica una partita qualunque) un manipolo di celere con Digos alla testa si fa largo tra i seggiolini blu dell’Olimpico. L’operazione è guidata da Adriano Lauro, l’agente-dirigente che a Piazza Alimonda nel lontano 2001 accusava un manifestante di aver ucciso Carlo Giuliani con un sasso. La provocazione è inaccettabile e innesca uno scatto d’orgoglio e di rabbia. Immediatamente un centinaio di tifosi accerchia le forze dell’ordine limitandosi ad inveire tutto l’odio che ogni ultras prova nei confronti delle divise blu. La celere si ritira ma chi sta dietro e pensa quotidianamente a come eliminarci sorride, infatti la sortita serve semplicemente per aggiungere un dato alla ricerca che si sta conducendo intorno al tifo giallorosso, quanti sono coloro che ancora resistono?
Sono cento? Perfetto, eliminiamoli tutti. Ripartono le diffide e con esse viene rispolverato il regolamento dello stadio, precedentemente mai applicato, che prevede una multa per coloro che non rispetteranno il posto assegnato dal biglietto. Coloro che proseguiranno in tale atteggiamento saranno successivamente daspati, successivamente anche i fiorentini dichiareranno di aver subito un simile trattamento.
Il muro “invisibile”, composto di stewards appartenenti ad una nota agenzia di sicurezza privata romana (non si è mai chiarito chi stesse pagando questi soldatini) che per le prime due partite giocate in casa dalla Roma – contro il Siviglia in amichevole e contro la Juventus – impedivano, spalleggiati dalla digos e in uno stadio militarizzato, il transito sulle scale centrali della Curva, diventa reale e dall’esterno si sposta nel cuore del tifo, dividendo gli storici settori 18-19 dai 20 e 21. La stessa cosa accade alla Curva Nord, quindi ai laziali. La “Sud” è stata profanata. Ad oggi è fuori dallo stadio e protesta fino a quando non cambieranno le cose. Tutti si interrogano su quale sia la possibile mediazione tra tifosi e Questura, dall’allenatore ai giocatori fino alle vecchie bandiere tutti sono d’accordo su un’ovvietà, per vincere la Roma ha bisogno dei suoi tifosi.
La mediazione per chi scrive è evidentemente impossibile. Non si contratta con il boia assoldato per ucciderti. Altri in città si domandano perché la società non prenda una posizione forte sulla questione. La Roma ad oggi è proprietà di James Pallotta, magnate americano abituato agli alti prezzi degli spalti dell’NBA e agli hot dog, non tanto ai cori e alla passione incontrollabile del calcio nostrano. La società della Roma è quella che ha stuprato il nostro stemma per vendere le magliette per il mondo, se oggi si vendessero i cd probabilmente saluteremmo anche il “Roma, Roma, Roma” di Antonello Venditti sostituito dal vincitore di X Factor. Il calcio è business e gli spettatori del futuro stadio della Roma devono essere o turisti o abbienti, non certo i “fucking idiots” della “Sud” (cit. James Pallotta).
Sono anni che ci lamentiamo del calcio moderno, della mercificazione della nostra passione e della lenta esclusione della dimensione popolare a causa dei costi sempre più elevati (40€ la curva). Ci lamentiamo ma non siamo stati in grado di mettere in campo nessuna contromisura. Non abbiamo identificato il nemico. Il nemico è lo stesso degli studenti che vengono colpiti da folcloristici getti d’idrante mentre provano ad entrare all’università, è lo stesso dei senza casa che rivendicano il diritto ad avere un tetto. Il nemico è la direzione che questo sistema economico sta dando alle nostre vite: “Vuoi andare allo stadio? Paga e stai tranquillo”. “Non hai soldi o un tetto? Non è un nostro problema, prova a sgomitare con chi ti sta affianco e forse ce la farai”. Il nemico in questa città ha una faccia, è quella del Prefetto Gabrielli che mentre i vari partiti pensano alle elezioni primaverili, agisce indisturbato prendendo a calci in faccia ultras, occupanti di casa, studenti e militanti di ogni genere. Il processo è stato innescato, gli stadi si svuoteranno e se tutto andrà come previsto ci ritroveremo come in Inghilterra, con i ricchi del mondo a giocare al Fantacalcio con il nostro campionato, con turisti che invadono le curve e trasformano il nostro tempio in un luogo compatibile con le esigenze del merchandising. La Curva Sud e le altre curve che, presto o tardi, riceveranno lo stesso trattamento, sono state per anni luoghi di fenomenale aggregazione, capaci di radicare una profonda solidarietà tra le persone, caratteristiche quanto mai preziose per chi si propone di cambiare questo esistente.
I compagni degli spazi sociali, dei collettivi, delle realtà politiche hanno mostrato incredibili limiti nel comprendere la potenzialità di quei luoghi, lasciando che questi spazi fossero etichettati come “covi neri”, alienandosi da una realtà che parlava un linguaggio, che dovremmo conoscere bene, quello della rabbia latente che nella socialità degli spalti ha trovato il modo di esprimersi. Interrogarsi sul perché questi limiti abbiano avuto la meglio, non può che essere uno stimolo. La settimana calcistica che sta iniziando si concluderà con il derby capitolino dell’8 novembre, entrambe le curve rimarranno all’esterno dell’impianto e insieme?, il punto interrogativo è d’obbligo, manifesteranno il loro dissenso nei confronti della nuova gestione della sicurezza nello stadio. È di primaria importanza immaginare oggi come colmare questo vuoto, come intercettare e politicizzare i comportamenti antagonisti di generazioni di tifosi che oggi si trovano davanti ad un bivio: accettare la fine del tifo cosi per come lo abbiamo conosciuto o organizzare insieme a noi la minaccia verso questo esistente, che oltre allo sfruttamento ci condanna alla solitudine di un salotto, su un divano, davanti ad un televisore a guardare una squadra con un altro stemma che porta il nome della nostra passione soppressa: ROMA.
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