MAR DEL PLATA
di CLAUDIO FAVA
regia di GIUSEPPE MARINI
1978, l'Argentina è occupata dai colonnelli di Jorge Videla, che il 24 marzo del 1976 con un golpe militare destituiscono il governo e avviano il processo di Riorganizzazione Nazionale. Questo il contesto storico in cui si muove la narrazione, protagonista la squadra di rugby Club Mar del Plata, che fu decimata ferocemente dalla dittatura fascista. L'omicidio di uno dei giocatori della squadra scatenò la reazione da parte degli altri compagni, che forse in un primo momento non furono realmente consapevoli delle conseguenze mortali a cui andavano incontro, nonostante il loro mister Passarella avesse già chiaro il loro destino di morte. La squadra venne decimata e l'unico sopravvissuto fu Raul Barandiaran, che riuscì a scappare via con la sua compagna Teresa, presente nella pièce.
Lo sport come metafora delle battaglie politiche, il rugby che costringe a prendere posizione, che insegna il gioco di squadra anche fuori dal campo. Perché questo è uno sport che ha un senso della collettività molto forte, è la squadra che con ogni sua molecola permette di arrivare alla meta, non esistono protagonisti in questo gioco, tutto si fa insieme per uno scopo unico. Le falle non sono mai individuali. Nello spettacolo i ragazzi verranno uccisi singolarmente, quasi a sottolineare che la loro forza svaniva nel momento in cui rimanevano da soli.
La storia tratta dal libro di Fava è una storia vera; nella sua rappresentazione, grazie alle scelte registiche come le luci o l'ambientazione scenica percepiamo sulla pelle l'orrore delle torture e il vuoto lasciato dalle migliaia di desaparecidos, dove tutto questo non è nemmeno guidato dall'odio ma dalla pura repressione, che deve mettere ordine. Baumann in Modernità e Olocausto si chiedeva se la Germania fosse stata feroce, ma la risposta che elabora è più complessa: l'ordine burocratico permette all'uomo attraverso la delega di compiere atrocità che non sarebbe capace di fare singolarmente, ma l'uomo grazie all'ordine gerarchico rispetta gli ordini e li esegue senza discutere e questo lo fa sentire parte di qualcosa di più grande, fino a renderlo superiore a chi non si schiera con esso, e solo in questa struttura può compiere atti così disumani. Il repressore è sempre il primo a credere nella repressione: traspare la sua convinzione che dopo l'ultimo torturato, il successivo si ravvederà e così tutto il popolo.
Montonero (capitano dell'ESMA): “...in guerra non serve altro, neanche l'odio, basta l'ordine di un superiore.”
La narrazione inizia con l'assassinio di uno dei giocatori del Club del Plata, tutta la pièce si svolge in uno spogliatoio che ricorda immediatamente un carcere con grate e luci soffuse, la scenografia fonde insieme il senso di amicizia dello spogliatoio con il destino feroce delle camere della tortura dei militari. Gli attori/giocatori sembrano dei fantasmi, il dialogo inizia con una cantilena, che tornerà come elemento successivamente, come se prima della presa di coscienza la comunicazione fosse senza vita.
Nella prima parte si esalta la quotidianità di ragazzi intorno ai vent'anni che parlano di sesso, gioco, lavoro, si sente l'odore della vita che scorre nelle loro vene, ma proprio nel momento in cui viene comunicata la morte del loro compagno, tutto muta, cadono dalla normalità che volevano continuare a vivere, guardando da un'altra parte credendo che davvero venissero puniti solo coloro che davano fastidio, solo quelli “pericolosi”. Loro si presentano al pubblico elencando nomi, lavori, età, ruolo nella squadra. La squadra prima di tutto. Con la morte di Diego (nella realtà Hernan Rocca, loro compagno di squadra, militante dell'Unione degli studenti, costola studentesca del Partito comunista marxista leninista) gli occhi si cominciano ad aprire, frasi come “se l'è cercata” non hanno più senso, loro conoscevano quel ragazzo e non capiscono come sia possibile che una persona che non faceva del male a nessuno possa essere stato ucciso così brutalmente. Una lettura molto emotiva del mondo ma non per questo meno forte. Decidono quindi di imporre un minuto di silenzio prima di giocare la loro partita, quella che segnerà la loro condanna. Interessante anche il discorso sui mondiali di calcio, attuale ancora ai nostri giorni: tutti dietro al grande evento senza voler vedere cosa sta succedendo al popolo argentino.
Per loro quel minuto è il modo di rendere onore alla squadra, perché ognuno è un pezzo fondamentale e il minimo per ricordare l'amico morto è rispettare almeno il minuto di silenzio prima del fischio come per qualsiasi altra morte; è però a questo punto che la storia della squadra del Mar del Plata cambia, la sofferenza per quella morte inspiegabile li porta a prolungare quel silenzio, perché non basta per riprendersi solo un minuto, non è abbastanza per quella morte così giovane un solo minuto, ne serviranno 10 prima che i giocatori comincino la partita. Ignorano tutto, ogni consiglio di lasciar correre, perché qualcuno aveva già aperto gli occhi e aveva visto la distruzione che Videla e i suoi colonnelli stavano seminando in tutta l'Argentina.
Il silenzio è pericoloso, parla più di molte parole, ha un peso, una forza così dirompente da preoccupare i colonnelli, che dopo l'omicidio di Hernan tenevano sotto controllo la squadra, e reputarono come un affronto quel lunghissimo silenzio, un silenzio lacerante.
Quel gesto sarà la prima scelta contro una dittatura militare che in totale sterminerà quasi 40.000 dissidenti.
Esattamente in quel momento tutto diventa morte.
Nessuno ha fretta di dimenticare. Ma come dice Miguelito: “Nessuno ha fretta di dimenticare”,ma invece sarebbe consigliabile farlo se si vuole vivere, è più facile scappare, rinnegare. Ma ormai la squadra ha scelto da che parte stare. Meglio morire che essere un delatore. Continuare a giocare ha un valore simbolico, quasi suicida, ma ciò che traspare dallo spettacolo è quanto sia importante continuare a vivere come se nulla fosse successo.Quindi è necessario ricordare sempre, sfidando il potere in ogni partita. Non importano le conseguenze, o forse ancora nessuno di loro crede davvero che si possa eliminare un'intera squadra. Nella partita successiva, continuano con il loro silenzio che diventa una marcia sul posto di tutto il pubblico: quella è la goccia che fa traboccare il vaso, Montonero, uno degli uomini di Videla, già aveva avvertito il mister, ora è necessario dare delle lezioni di comportamento al Club. Bisogna educarlo a comportarsi bene, a rispettare la Patria.
Gli ordini sono chiari, ora è necessario intervenire, fermare il nemico della Patria.
Il silenzio diventa più potente di un urlo, bisogna azzittire tutti.
Un dialogo mi rimane in testa, perché sembrano parole pronunciate ora, perché noi non viviamo quel genere di repressione, non siamo fisicamente eliminati in massa, ma continuiamo a subire la stessa volontà di mettere a tacere ogni idea avversa a quella dominante.
Quando Montonero fa prelevare uno dei giocatori e lo interroga, gli contesta la sua presenza ad un'assemblea di sindacato, chiedendogli dei suoi amici; il giocatore nega di avere amici in quel gruppo, dice di non sapere nulla e di non essere nemmeno interessato alla politica, di non aver fatto e non essere al corrente di nulla.
Il capitano gli risponde così: “Si, ma tu eri lì”.
Ancora oggi, quello che il potere ci contesta è di stare dove non vogliono che noi stiamo.
Questo spettacolo ci racconta di una scelta, di ragazzi coraggiosi che sapevano dove mettersi, nella vita così come in una mischia.
Noemi Fuscà