È passata una settimana scarsa dai terribili attentati di Parigi e le prime conseguenze sono state tanto prevedibili quanto pessime: nuovi bombardamenti in Medio Oriente su zone densamente abitate da civili, allarmismi paranoici in tutta Europa, restrizioni già arrivate o quanto meno annunciate alla nostra libertà personale in nome della sicurezza e della lotta al terrorismo, il bisogno di identificare tout court il nemico nel diverso, in chiunque si richiami alla religione musulmana o che non voglia salire sul carro di questa nuova crociata, come già fu dopo l'11 settembre. Insomma, uno scenario che ha molto poco da invidiare a quelli prefigurati da Alan Moore in “V for Vendetta” o da Orwell in “1984”, in cui in nome della democrazia, questa stessa viene sospesa fino a data da destinarsi. Non è questa la sede per approfondite analisi politiche sulle guerre contemporanee e le dinamiche di potere a livello internazionale, ma alcune riflessioni sono d'obbligo, visto che amare lo sport non può significare considerarlo un compartimento stagno, un settore staccato dal mondo che lo circonda.
E allora cominciamo col dire che sono proprio le guerre che - oltre al danno la beffa - vengono propinate a un'opinione pubblica narcotizzata dalla malafede della quasi totalità dei media mainstream come “missioni di pace”, e portate avanti dai nostri governanti d'Occidente, a causare le destabilizzazioni che portano poi a simili eventi. La guerra è uno degli affari più lucrosi sul pianeta: con essa si accaparrano risorse, si conquistano posizioni, si commerciano armi, si distruggono paesi per poi lucrare sulla ricostruzione; di conseguenza le élites politiche ed economiche ne traggono sempre vantaggio, sia che “vincano” sia che “perdano”, mentre a pagarne le spese sono sempre di più i civili, le “persone comuni” che già vivono una vita difficile in tempo di pace e sono anche le vittime predestinate di bombardamenti e attentati, siano esse di Parigi o di Aleppo. Attentati come quelli di Parigi sono il miglior regalo possibile per i nostri governanti, a dispetto delle loro lacrime di coccodrillo: adesso hanno la scusa per fare una nuova guerra e per stringere ancor più il controllo sulla popolazione interna, meglio ancora se terrorizzata, perché quando si ha paura si tende a perdere autonomia di pensiero e lucidità e si accettano pesanti limitazioni alle proprie libertà personali. Quello che serve è proprio non cadere nella trappola della paura, non stringersi alla sottana di Mamma Nazione ma al contrario mettere ancor più in discussione chi ci governa e chi ci sfrutta quotidianamente, perché sono loro “l'Isis di casa nostra”; e d'altra parte, per fare un esempio banale, bombardare ospedali, asili o case popolari è forse meno crudele che sparare dentro un teatro o un ristorante? Sganciare le bombe da un aereo, non è, almeno, altrettanto vigliacco che sparare alla cieca su una folla inerme? Rifiutare il terrorismo deve voler dire anche rifiutare le sue cause, rifiutare seccamente la guerra e lo sfruttamento. Sconfiggere il terrorismo sarà possibile solo eliminando le sue cause, non controllando in modo paranoico i suoi effetti.
E allora veniamo a noi: gli stadi sono stati tra i principali protagonisti di questi giorni di terrore. Una delle azioni più clamorose degli attentatori di Parigi è stata proprio all'esterno dello stadio dove si giocava Francia-Germania, e a quanto pare l'obiettivo era far avvenire l'esplosione addirittura all'interno. Pochi giorni dopo un allarme bomba, non si è ancora capito quanto attendibile, ha causato l'annullamento di Germania-Olanda nella città tedesca di Hannover. In generale è allarme rosso attorno alle principali partite di calcio del prossimo periodo, a partire dal Clasico Real Madrid-Barcellona di questo fine settimana. In effetti c'è poco da fare, gli stadi sono uno dei luoghi per eccellenza dove si concentra un gran numero di persone, e quindi obiettivo ideale per questa infame modalità di guerra asimmetrica che colpisce nel mucchio. Ma anche in questo caso la reazione delle autorità di pubblica sicurezza lascia quanto meno perplessi: preso atto che, va bene la commozione immediata, ma “The show must go on…”, nella settimana del Clasico di Spagna e di Juve-Milan non si possono certo sospendere i campionati e, soprattutto, gli introiti che essi generano. È già previsto un aumento smisurato dei controlli, che chi va allo stadio sa che già sono molto severi, specie per le partite più importanti: si va dai tre anelli di sicurezza intorno al Camp Nou, fino al raddoppio degli steward in Germania, passando per il divieto di trasferta in Francia e all’introduzione in pianta stabile del metal detector in molti stadi italiani.
Così come nel resto delle città, avremo un grosso giro di vite finalizzato a serrare le fila del controllo sociale a tutti i suoi livelli. Tutto questo controllo servirà soprattutto a tenere sotto una cappa ancora più asfissiante noi stessi, prima ancora che eventuali terroristi. E poi tutto ciò assomiglia al tentativo di svuotare il mare con un secchiello: è vero che gli stadi sono un possibile obiettivo, ma a Parigi si è sparato ed esploso in due ristoranti, un teatro, uno stadio e semplicemente per strada. Quindi? Come si può pensare di mettere controlli simili alla porta di ogni ristorante, bar, discoteca? E chi ci assicura che i terroristi vogliano prendere di mira Real Madrid-Barcellona o Juve-Milan e non Espanyol-Malaga o Atalanta-Torino? Alla fine di civili da uccidere ce ne sono migliaia comunque, così come in ogni centro commerciale d'Italia di sabato pomeriggio. Si torna così al punto di prima: l'innalzamento del controllo sociale non ci darà più sicurezza, ma solo più oppressione. E proveranno a impedirci di opporci e protestare, perché “siamo in guerra” e c'è un “interesse superiore”. Ma l'unica reazione sensata da parte nostra è proprio non avere paura, continuare a vivere la quotidianità come se nulla fosse (del resto cercano di farlo a Gaza, dove di traumi ne hanno subiti ben altri, non vediamo perché non dovremmo farlo noi), e a mettere in discussione le scelte dei nostri governanti come e più di prima, ribadendo che guerra e terrorismo si combattono eliminando le loro cause. Altrimenti la partita della paura l'avranno vinta i nostri nemici: terroristi e Governi.
Ma gli stadi sono stati protagonisti in questo periodo anche in Turchia. Il paese della mezzaluna ha un ruolo chiave e a dir poco ambiguo in questa situazione. Potentissimo membro della Nato, e quindi fedelissimo alleato di Usa ed Europa, al punto da far passare da sempre sotto traccia bravate neo coloniali, come ad esempio l’invasione di Cipro nel 1974 o le “libere iniziative” assunte negli ultimi mesi nei confronti della Siria, è anche uno dei migliori alleati dello Stato Islamico. Sono numerose le prove del sostegno attivo del Governo turco ai terroristi in nero: passaggi di armi e uomini attraverso il confine, aiuti economici e logistici, e soprattutto un nemico in comune, i Curdi. Perché è giusto ricordarlo ai novelli crociati che hanno invocato una guerra santa contro tutti i musulmani: c’è già chi combatte in prima linea l’ISIS e sono altri musulmani come i Curdi, che grazie alla loro azione hanno messo sotto la propria protezione anche altre popolazioni di confessioni differenti, come ad esempio gli Ezidi, ma più in generale tutte le popolazioni che hanno dovuto subire le terribili scorribande delle truppe del Califfato. Inoltre a voler dare un retrogusto grottesco, qualora ce ne fosse ulteriormente bisogno, a tutto ciò, è giusto ricordare come la principale organizzazione di riferimento per i Curdi in Turchia, il PKK, rientri in Occidente nella lista delle organizzazioni terroristiche. Dopo aver resistito eroicamente agli attacchi dell'Isis a Kobane, il Kurdistan turco e siriano ha ricominciato a subire gli attacchi della Turchia: bombardamenti aerei, assedi di villaggi e città, uccisioni mirate, attentati gravissimi come quelli di Diyarbakir e Ankara, rivolti non solo contro i Curdi ma contro tutta l'opposizione interna, non solo quella rivoluzionaria, ma anche quella moderata, che chiedeva solo il rispetto delle tutele minime. Il Presidente Erdogan, alla guida di un partito che sotto molteplici aspetti ha una visione della società non dissimile da quella dell'Isis (turbo-liberismo e oscurantismo religioso), ha vinto una tornata elettorale abbastanza discussa, in cui a detta degli osservatori internazionali sono stati utilizzati metodi non esattamente ortodossi per dissuadere la popolazione dal votare il partito di sinistra filo-curdo, l'HDP. L’AKP di Erdogan si è recentemente assicurato la maggioranza in Parlamento in questo modo, con la guerra e il terrore, oltre ai brogli. E il primo vertice del G20 in cui si parlava di terrorismo dopo gli attacchi di Parigi si è tenuto proprio in Turchia, in una sorta di sagra dell'ipocrisia. Per non parlare della visita di Renzi ai principi sauditi, condita di patetica sottomissione al loro strapotere economico; oppure, tornando al pallone, dell'assegnazione dei Mondiali 2022 al Qatar (condita da uno dei più grossi scandali di corruzione che la certo non immacolata FIFA possa ricordare), che non fa mistero di essere il principale partner economico del Califfato. Siamo sicuri che tra i nostri governanti e questi soggetti sia in corso uno “scontro di civiltà”? A noi sembra piuttosto una proficua partnership.
Per concludere, negli stadi turchi ultimamente sono stati fischiati due minuti di silenzio: prima quello per le vittime della strage di Ankara, ovvero Curdi e loro sostenitori Turchi, insomma l'opposizione a Erdogan; per quei fischi non si è levato neanche un lamento dai nostri media. Più rumore hanno fatto senz'altro i fischi alle vittime di Parigi, a dimostrazione di una visione essenzialmente “occidentalista” dell’opinione pubblica e dei nostri sentimenti di pietà, e infatti sono subito partiti i distinguo, abilmente orchestrati dai media turchi, che se non fossimo abituati alle nefandezze di quelli di casa nostra, ci avrebbero fatto venire il voltastomaco. Con la sola parziale eccezione del quotidiano laico e punto di riferimento per l’opposizione, “Cumhuriyet”, gli altri quotidiani, anche nelle loro versioni online hanno cercato di non affrontare l’argomento, almeno fino a quando non è arrivata un’ondata di sdegno da parte della comunità internazionale: il quotidiano Hurriyet ha scritto: “Loro (riferito agli inglesi) portano rispetto, noi fischiamo”. Inoltre, si specifica che le urla che si sentivano non dicevano “Allah Akbar” ma intonavano uno slogan nazionalista (ah bè, allora…), tant’è che il filogovernativo “Sabah” ha riportato “quest'errore di traduzione” di quasi tutta la stampa mondiale, senza però fare accenno ai fischi, anzi accusando la testata francese “L'Equipe” di avere con il suo articolo messo indirettamente in cattiva luce i Turchi che vivono all'estero e di fomentare l'islamofobia. Oltre ad accusare una parte di mondo di non sapere reagire alla barbarie.
Secondo altri, in un'interpretazione cervellotica, si fischia perché si fanno i minuti di silenzio solo per le vittime occidentali, ma non per quelle turche come ad esempio nel caso della strage di Ankara. Eh no cari, i fischi ci furono anche allora. Perché il partito nazionalista e islamista di Erdogan gode di un grande seguito in Turchia. Perché molti Turchi preferiscono, neanche tanto di nascosto, lo Stato Islamico al confederalismo democratico dei Curdi. Perché quello che succede negli stadi è spesso il riflesso di quello che succede nella società, e se ci eravamo esaltati per le tifoserie di Istanbul che tre anni fa lottavano unite contro Erdogan, adesso dobbiamo fare altrettante riflessioni.
Perché alimentando la retorica dello “scontro di civiltà” i risultati sono questi. Più Le Pen e Salvini da “noi”, più terroristi da “loro”. Con padroni, mercanti e governanti che si sfregano le mani. E noi che moriamo sotto le bombe. Se vogliamo evitare questa follia e ribaltare il piano del discorso, dobbiamo necessariamente evitare prima di tutto di arruolarci con chi ci sfrutta tutti i giorni e ora ci dice che siamo in una guerra di civiltà. Per noi l'unico “scontro di civiltà” è quello tra sfruttatori e sfruttati, ed è ora di riprenderlo con forza!
Matthias Moretti
Giuseppe Ranieri