Da che mondo è mondo, esiste una “storia” ufficiale, che passa agli annali, viene presa per vera e, soprattutto, è invariabilmente scritta dai vincitori. Poi ci sono le storie, o le leggende, senza le quali la storia ufficiale sarebbe un freddo e scarno referto di avvenimenti. Quelle che colorano il mondo, gli danno senso profondo, spiegano i comportamenti umani più di mille trattati scientifici. E il calcio è uno di quei mondi che non può fare a meno di simili leggende, quelle che andremo a conoscere con questa serie di racconti. E si badi bene, queste storie sono vere. Come sono vere tantissime altre leggende e storie tramandate. Parafrasando Pasolini, “sono vere ma non abbiamo le prove”. Semplicemente la tradizione orale, i racconti sentiti a bordo campo, negli spogliatoi, nelle chiacchiere da bar tra addetti ai lavori, nelle redazioni. La storia raccontata dal popolo, che viene trascritta solo se qualcuno ci si mette, come accadde millenni fa a tale Omero. Pur non avendo simili ambizioni, abbiamo ricevuto delle storie da un suo umile e anonimo emulatore contemporaneo. E queste storie ci raccontano, nellʼarco degli ultimi ventʼanni, il calcio dellʼimbroglio, dello scandalo, del sottobosco, non solo nel “calcio che conta” ma anche nella laida provincia, tra personaggi dʼaltri tempi e macchiette di paese. Dove lʼanima potente e quella popolare del calcio e dellʼessere umano si fondono in una trama ridicola e inquietante, deprimente ed esaltante. Il tutto sotto lo sguardo di un “Grande Vecchio” che tutto sa e tutto può. Da oggi, per qualche settimana, ogni giovedì su sportpopolare.it. Buona lettura.
LʼUOMO DEL PIMPIRLINO
“Il pimpirlino! Quello era il trucco”.
Metà anni ʼ90, un ristorante aperto fino a tarda ora nel centro di una grande città del nord Italia. Da almeno unʼoretta, un tipo che ha appena passato la trentina, forte accento del sud, dopo essersi abbuffato come un bue a digiuno, racconta senza alcun pudore il suo vero mestiere.
Nel ristorante lo conoscono bene, è un affezionato cliente, la sala a quellʼora è semivuota. Ma forse fino in cucina, visto il tono della voce, possono udire il suo racconto, non solo i suoi commensali. Colpisce lʼassoluta impunità che permette a questa sorta di azzeccagarbugli al servizio permanente del Palazzo calcistico di parlare con un tono di voce quasi alto. Allʼepoca era il suo. Poi, trasferendosi a Roma, sʼè fatto più felpato. Una voce da impunito che sa che non gli accadrà nulla, insomma. Arrotando le erre, vuole concludere la serata raccontando i suoi esordi nel magheggio sportivo, il suo vero mestiere. Quello ufficiale, veniva e viene sempre dopo, e comunque subordinato alle vere funzioni svolte. La professione svolta serve più che altro a fornire un minimo di copertura alle sue reali attività. Chi lo conosce di persona sa quanto puzzi di bruciato il suo operare. Ma tutti tacciono.
Potremmo chiamarlo Paolo, ma Paolo non si chiama. Giusto per omaggiare il suo uomo di riferimento dellʼepoca. Di cui curava la selezione del personale, per così dire. Quella sera, “Paolo” si sente così sicuro del suo operare impunito, che racconta quasi come una barzelletta divertente i suoi esordi nella truffa sportiva. Circa un decennio prima aveva iniziato come direttore sportivo di un glorioso club di pallanuoto, raccontava quella sera. Sport nobile, la waterpolo italiana, che allʼepoca finiva di raccogliere gli allori più importanti. Ma sempre sport minore rispetto a quello nazionale. Così “Paolo”, da direttore sportivo di quella società, dovendo organizzare il sorteggio di una coppa europea, raccontava come aveva pilotato lʼesito dellʼurna. Usando un oggetto ormai estinto con la digitalizzazione. Ma allʼepoca chiunque ne aveva uno in casa.
“Con i poveri mezzi della pallanuoto – raccontò quella sera - mettevamo il foglietto col nome della squadra dentro le scatolette cilindriche dei rullini fotografici. Avete presente come sono fatti? Sembrano tutti uguali. Ma uguali non sono. Pensate al coperchietto grigio. Ha una piccola cavità al centro, da cui può spuntare o meno un minuscolo pimpirlino di plastica. Difficile vederlo. Ma se una mano va a cercarlo nellʼurna, lo sente subito al tatto. Facemmo fare il sorteggio a un bambino di 11 anni, lʼimmagine dellʼinnocenza. E lo bendammo pure, il sorteggio si svolgeva davanti ai dirigenti dei club coinvolti. E il bambino, che era molto sveglio e che avevamo allenato a lungo, fece il sorteggio perfetto. Ideale per poi vincere la manifestazione”.
Allʼepoca, “Paolo” di strada ne aveva fatta già abbastanza. Ma era ancora poca rispetto a quella che avrebbe percorso nei ventʼanni successivi. Certo, poche stagioni dopo quella serata, avrebbe avuto un inciampo. Sarebbe finito sulle prime pagine di tutti i giornali. Perché per servire fino in fondo i padroni del calcio dellʼepoca, grossomodo gli stessi di 20 anni dopo, lʼaveva fatta oggettivamente grossa. Ma dopo il polverone mediatico, tutto si dimenticò presto. In un altro paese, uno così magari finiva ai margini dopo quello scandalo. Ma chi lo conosce bene sostiene che quellʼincidente mediatico servì solo a fargli cambiare scrivania. Ben più importante, dove continuare a svolgere il suo vero mestiere con più comfort e maggiore protezione.
E quale posto migliore che da dirigente del Coni? Dove, svolte le mansioni ufficiali, si possono ideare e organizzare negli anni, 10, 100, 1000 trucchi del pimpirlino riveduti e corretti.
Un gran bel posto, con la qualifica di dirigente e una mansione ufficiale legata comunque a quella vecchia. Ma dietro le quinte, stavolta a maggior gloria dello sport italiano, continuare a svolgere lo stesso mestiere di prima, da una posizione privilegiata e coperta.
Lʼuomo, insomma, imprescindibile alle Olimpiadi. E quando facciamo vendemmia di medaglie, come ad esempio a Torino 2006, si sa sempre che “Paolo” va ringraziato con particolare affetto. Magari discretamente, ma comunque ringraziato. Perché senza di lui...
Un uomo chiave insomma, che probabilmente esiste in ogni comitato olimpico nazionale, perché uno che deve fare “quel lavoro”, bisogna sempre trovarlo. E forse pochi possiedono il suo talento ed esperienza a riguardo. Certo, adesso sono ormai remoti i tempi del pimpirlino o quelli in cui poteva tranquillamente raccontare i suoi magheggi. È più attento, Roma gli ha levato la baldanza di un tempo, non lʼefficienza nel perseguire lʼobiettivo. Ora si è dato un tono istituzionale col soggiorno romano. Ma le entrature restano ai massimi livelli, il gioco sʼè fatto sempre più grosso ed è meglio usare qualche precauzione. Altro che chiudere le serate raccontando le proprie gesta. Per dire, ora, tutte le telefonate che arrivano al suo ufficio, anche non direttamente al suo interno, vengono catalogate. Quantomeno, a fine giornata, “Paolo” deve sapere tutti i numeri di telefono che sono entrati in contatto col suo ufficio, di chiunque vi lavori.
Ma quando la maggiore squadra italiana di calcio, o meglio, la più potente, ottiene un pazzesco sorteggio di Champions League che le permette di approdare in finale, forse è utile chiedersi se qualche pimpirlino 2.0 è stato utilizzato. Chiedete a uno statistico quante possibilità cʼerano che la Juventus, nel cammino di Champions League 2014/15, pescasse sempre la squadra più abbordabile, quella che i giornali della vigilia invocavano come la più auspicabile. E in ognuno dei sorteggi esce sempre lei, lʼurna regala sempre quella sperata.
No, forse è inutile consultare uno statistico, anche se numericamente parlando, è qualcosa che batte anche il programma dei pacchi su Rai 1, già statisticamente sbugiardato, dove un percorso opaco non accade mai e si deve tenere lʼaudience alta fino allʼultima apertura del pacco. Per capire comʼè andata alla Juventus, potrebbe essere utile fare un salto al Coni e provare a ottenere una consulenza dal vecchio esperto di pimpirlini.
Che se gli parte la lingua come un tempo, potrebbe spiegarne tante, ma davvero.
Matteo Alfeo