Per raccontare Essere skinhead di Ruggero Daleno, pubblicato da Hellnation libri a novembre, bisognerebbe suonarlo a tutto volume nella casse di un vecchio stereo a valvole. Perché la sventagliata di canzoni e vinili è continua come una raffica, senza tregua.
Suonano fra le pagine i migliori dischi della scena italiana Oi! dalla Banda del Rione – evocata più volte con rammarico a causa dello scioglimento – Nabat, Ennecibi, Fun, Gozilla, Colonna Infame, Bull brigade, Automatica aggregazione, Youngang e molti altri, così come si vola Oltremanica, con Booze & Glory e la loro London skinhead crew, Sham69, Cock sparrer, The 4 Skin cosicché la panoramica fra “doppi pedali” e schitarrate distorte è di classe e internazionale. Al punto che, dopo aver preso in mano il libro, si può addirittura provare a intercettarne l’odore, per sentire distintamente quell’aroma di celluloide che si sprigiona da ogni lp, quando si strappa la plastica che copre la foderina.
Ruggero Daleno è nato a Barletta nel 1992, quando scoppia la guerra in Jugoslavia, viene ucciso Falcone e si è nel pieno del maxi-processo a Cosa Nostra. Ma sono anche gli anni di Tangentopoli, delle mazzette nei loden, dei paninari e degli scontri razziali a Rostok in Germania, dove migliaia di bonehead assaltano, fra gli applausi del quartiere, abitazioni a massiccia presenza di immigrati, eventi che Daleno, skinhead e antifascista, conosce molto bene.
Le pagine del libro si leggono con facilità, sono agili, per certi versi intimiste con una narrazione focalizzata su Barletta, cittadina pugliese di provincia, affogata dall’industria e arrugginita dal lento progredire della crisi mondiale nelle sue stradine e sul lungomare, sulle panchine dei parchi, sulle grida dei ragazzi che la popolano appoggiandosi a muretti scalcinati.
Un tempo ridente, oggi un po’ più cupa racconta l’autore, Barletta aveva un mare meraviglioso e turchese come il resto della Puglia – stile perla da depliant turistico – mentre ora è inquinata dalle malversazioni delle industrie di zona, con la disoccupazione che morde e tanti ragazzi in giro nei bar e nelle piazzette di una città di provincia.
In questo sud dello stivale che tanto assomiglia a quel nord dell’Inghilterra “arrugginito” dalla Thatcher e dal New Labour di Blair, Barletta diventa quasi come Blackpool con il suo lungomare turistico e desolato. Non a caso questa città del Lancashire, nel nord-ovest del Regno Unito visto che Daleno rievoca proprio una trasferta al Rebellion festival – uno dei più famosi festival punk hardcore del mondo che si svolge proprio a Blackpool – che in un gioco di specchi sembra somigliare alla città natale dell’autore.
E questo perché nella Puglia profonda c’è una delle scene più vive dell’universo punk e skin, dove abbondano le crew e non mancano i concerti e le serate, al punto da sembrare le zone in cui lo “spirito del ’69” è cresciuto, ha attecchito e si è diffuso.
Ma l’ambientazione e le storie sono in fondo da cornice. E non occupano tanto spazio in questo scritto, neanche le risse e le scazzottate, quanto piuttosto la continua evocazione di una “mentalità”, un’attitudine, uno stile di vita.
Perché quella proposta dall’autore è proprio una “visione del mondo”, un modo di intendere e sentire le cose. L’esaltazione di uno stile, ma anche la voglia di portare avanti con coerenza un ideale. Come un piccolo manifesto del mondo skinhead, in cui si esalta l’“essere” e non l’avere.
C’è spazio tra le pagine sia per le scuse ai genitori, sia per riflessioni “scomode” circa la scena skin, come nel IV capitolo, quando appare lampante una critica sull’abuso di cocaina nei concerti Oi!.
Daleno arriva a pronunciare un’aperta critica, invocando con sudore e amore una riflessione coraggiosa su una tematica scottante. Nonostante i “seri problemi con la legge” avuti dall’autore, fra le pagine si invoca una militanza “dura e pura” in cui i fascisti si combattono per le strade con l’azione diretta, a testa alta e in prima persona, senza reticenze e paure.
Ma poi c’è spazio anche per l’ode alla birra e all’alcool che in generale non tradiscono svolte straigthedge, ma piuttosto compongono un discorso più ampio sulle controculture, sul divertimento e sullo sballo, come si direbbe oggi in una di quelle trasmissioni da primo pomeriggio in tivù.
Ma il valore aggiunto del libro è ancora un altro perché Daleno ha riversato sulla carta i suoi pensieri mentre era agli arresti domiciliari per motivi politici. Un qualcosa che fornisce al libro un valore aggiunto cristallizzandone il suo significato, oltre le righe e le pagine scritte.
Così Essere skinhead diventa una testimonianza diretta, pulsante, di un modo di intendere e di vivere la vita in maniera integrale e totalizzante. Senza mai fare un passo indietro, come Ruggero Daleno.
Filippo Petrocelli