Il Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa è una realtà presente sul territorio romano ormai da tantissimo tempo. Nasce con questo nome nel 1988, ma eredita già una tradizione pluridecennale di lotte per il diritto allʼabitare, in cui sostanzialmente si occupano stabili, pubblici o privati, lasciati vuoti e abbandonati, per mettersi un tetto sopra la testa nel momento in cui non ci si può più permettere un affitto o un mutuo; facendo ciò si mette anche automaticamente in piedi una vertenza con le autorità politiche per porre fine a questa situazione di eterna precarietà, e quindi per ottenere case popolari a tariffe eque, oppure per poter recuperare e regolarizzare gli stessi palazzi occupati. Detta così sembra facile, ma ovviamente la classe politica è da sempre, ma forse negli ultimi anni in modo ancor più accentuato, asservita ai poteri forti della città, tra cui spiccano proprio i palazzinari. Ragion per cui le soluzioni non vengono mai trovate, si salvaguardano a tutti i costi i profitti e le rendite, si continua a sfrattare chi non può pagare e a lasciare famiglie in mezzo alla strada. Lʼunica risposta data a chi occupa per necessità è spesso la repressione, principalmente sotto la forma dello sgombero.
La vita di chi lotta per la casa quindi non è affatto semplice: si rischia ogni giorno di perdere tutto, e proprio per questo è necessario lottare, attivarsi, manifestare, difendersi con coraggio. Vivere una vita costantemente in lotta significa anche che le occupazioni diventano negli anni delle comunità umane del tutto peculiari: lottare ogni giorno fianco a fianco, condividere e gestire gli stessi spazi, sono cose che comportano relazioni umane in parte differenti da quelle a cui si è abituati nel mondo circostante. Nonostante tutte le difficoltà e le fatiche quotidiane che una vita organizzata in questo modo comporta, non ultime le grandi differenze culturali e linguistiche tra persone che provengono da ogni parte del mondo, si formano vere e proprie comunità meticce capaci anche di esprimere un forte orgoglio e senso di appartenenza. E, manco a dirlo, il momento dellʼanno in cui questi sentimenti si esprimono maggiormente è lʼormai tradizionale torneo di calcio della Befana, in cui si sfidano tra loro tutte le occupazioni del Coordinamento, o almeno quelle più grandi, in grado di formare una squadra di calcio a 8. Questʼanno hanno partecipato 12 squadre, per capirci.
E chi pensa che sia un torneo fatto sostanzialmente per stare insieme e cazzeggiare si sbaglia di grosso. Dʼaltra parte nel calcio competizione e campanilismo sono elementi fondamentali, e questo torneo non fa eccezione: vincere vuol dire portare la coppa nella propria occupazione, essere per un anno i campioni e di conseguenza poter sfottere tutti gli altri a ogni assemblea o manifestazione. Di conseguenza il livello di agonismo è decisamente alto per essere un torneo amichevole: ognuno mette in campo la formazione migliore, i ritmi delle partite sono alti, magari lo spettacolo a livello tecnico non è indimenticabile (a parte alcune individualità), ma è calcio vero, ne è prova la durezza dei contrasti che costringe gli arbitri a non lesinare cartellini. Ogni occupazione prepara al meglio la competizione, dalle divise ufficiali al sostegno del pubblico, in alcuni casi davvero massiccio. Ci sono le “rivalità” e le simpatie storiche frutto dei risultati delle passate edizioni, come se fosse una specie di piccolo Palio di Siena, che generano partite dal clima davvero infuocato. Squadre ormai rodate, quelle delle occupazioni più antiche, sfidano quelle più recenti, fino ai nuovi arrivati che hanno occupato poco più di un mese fa a via Prenestina. E se è normale che chi si conosce da più anni di solito metta insieme le formazioni più competitive, non mancano new entry dallʼimpatto dirompente, come Torrevecchia, occupata a fine 2012 e già vincitrice di due delle quattro edizioni a cui ha partecipato. Anche questʼanno la coppa è andata nella bacheca dellʼoccupazione di Roma Nord, dopo una finale inadatta ai deboli di cuore vinta per 4-3 contro Porta Pia.
Unʼautentica festa popolare quindi, sia in campo che fuori, e allo stesso tempo un monumento allʼautorganizzazione dal basso, che oltre a creare lotte di grande impatto e a portare il conflitto nelle strade, sa regalarsi anche momenti di svago collettivo di livello alto, ben organizzati e capaci di garantire una giornata che non si dimentica per un bel poʼ.
Matthias Moretti