“Ho detto ad Abodi: se me porti su il Carpi...se me porti squadre che non valgono un c... noi tra due o tre anni non c'abbiamo più una lira. Se c'abbiamo Frosinone, Latina, chi li compra i diritti?”.
Per l'ennesima volta nel nostro paese il subdolo e scorretto strumento della registrazione di telefonate private porta alla luce fatti che in realtà tutti sanno, ma vengono ignorati per quieto vivere. Insomma, il fatto che il calcio moderno, e quello italiano forse più degli altri, sia regolato da leggi di mercato, diritti tv, logiche mafiose e guerre di potere, non è certo un mistero. Semplicemente, ogni tanto delle intercettazioni o un'inchiesta della magistratura svegliano tutti noi malati di calcio dal nostro rassicurante torpore e gettano nuova luce sulle schifezze che si svolgono dietro le quinte dei nostri sempre e comunque amati campionati.
Claudio Lotito è un perfetto esemplare di uomo potente del calcio moderno “all'italiana”, cinicamente affarista, cialtrone ma furbo, a suo modo colto ma anche “coatto”.
La sua attività di imprenditore si svolge principalmente nel settore dei servizi, in particolare pulizie e manutenzione; come ogni buon affarista romano (anche se non di nascita) è socio di società immobiliari e possessore di terreni. Dal mondo immobiliare “che conta” viene anche la moglie, Cristina Mezzaroma. Insomma, il milieu di provenienza è la Roma delle cene tra “gente giusta”, degli affari a volte loschi ma sempre molto redditizi, delle amicizie che contano ma anche delle inimicizie e delle trame di palazzo. La sua carriera è peraltro già costellata di guai con la giustizia: nel '92 viene arrestato in seguito ad un'inchiesta della magistratura sugli appalti della Regione Lazio; nel 2004 di fatto salva la Lazio dal baratro del fallimento, e nel 2006 è subito co-protagonista dello scandalo di Calciopoli, per i fatti avvenuti nel primo anno della sua gestione. A luglio la decisione della Commissione d'Appello Federale è durissima: 3 anni e mezzo di inibizione e 10mila euro di ammenda per Lotito, retrocessione in B con 7 punti di penalizzazione e ammenda di 40mila euro per la Lazio. La sentenza d'appello è già più mite: non c'è più la retrocessione in B, ma 30 punti di penalizzazione nel campionato passato e 11 per quello da iniziare, per Lotito l'inibizione passa a 2 anni e mezzo. Infine il 27 ottobre c'è la sentenza definitiva della Camera di conciliazione ed arbitrato del CONI: 4 mesi di inibizione per Lotito, per la Lazio 3 punti di penalizzazione per il campionato ormai già iniziato. Dopo il gran polverone scatenato dall'inchiesta, l'esito si avvicina molto ad un nulla di fatto. Ma i guai di Lotito non finiscono qui: nel 2009 è condannato in primo grado a due anni di reclusione per aggiotaggio e ostacolo all'attività degli organi di vigilanza; nel 2011, nel processo penale per Calciopoli, è condannato sempre in primo grado a un anno e 3 mesi e 25mila euro di multa, aumentati in appello a un anno e mezzo e 40mila euro. Poco più di un anno fa è invece andato in prescrizione il reato di aggiotaggio. Si conferma quindi in tutto e per tutto un perfetto ritratto di “potente uomo italiano”, figura che non può esistere senza aver avuto svariati guai con la giustizia, comunque sempre superati con pochissimi danni. Anzi, nella carriera di un uomo di potere nel nostro paese essere implicato in questo tipo di vicende costituisce un vero e proprio titolo di merito: Lotito infatti continua a diventare sempre più influente nelle stanze dei bottoni del nostro calcio, ad esempio manovrando le elezioni di presidenti delle varie Leghe e diventando una delle “penne” che dovrebbero da qui a poco scrivere l'ennesima riforma dei campionati, volta a diminuire di nuovo le squadre nelle serie A e B. Questo fino all'esplosione dell'ultimo scandalo: il direttore generale dell'Ischia, Pino Iodice, decide di registrare le proprie telefonate con Lotito riguardanti proprio riforma dei campionati e diritti tv. Ma che c'entra l'Ischia? C'entra eccome, perché milita in Lega Pro girone C, lo stesso campionato che vede impegnata, e prima in classifica, l'altra squadra di Lotito, la Salernitana. Questo aspetto merita una parentesi: che sia permesso possedere più di una squadra professionistica, a patto che non militino nello stesso campionato, non è un mistero (ricordate Sensi e Gaucci?). Del resto siamo nel paese dove il conflitto di interessi di Berlusconi è stato risolto permettendogli di intestare Mediaset al fratello. Se la Salernitana tornerà in A, Lotito non avrà difficoltà a trovare un bel prestanome e dare un ennesimo schiaffo alla regolarità dei nostri campionati. Nelle sue telefonate, un Lotito più sbruffone che mai sostiene di tenere in mano i presidenti delle Leghe di serie A e Lega Pro, mentre lamenta il fatto che Abodi, presidente della Lega di serie B, gli stia “mandando su” le piccole Carpi e Frosinone, ovvero lamenta indirettamente il fatto che nessuno stia artificialmente intralciando il cammino di queste due squadre verso la promozione.
Quindi per Lotito, come sicuramente per molti altri “luminari” del nostro calcio più attenti di lui a non farsi scoprire, il calcio italiano e i suoi introiti sono messi in pericolo dall'ascesa delle squadre provinciali. Eppure vengono in mente una serie di problemi difficili da imputare al Carpi o al Frosinone di turno: la fuga dagli stadi dovuta a pay-tv, caro biglietti, repressione selvaggia, e il conseguente calo degli incassi; gli stadi assolutamente inadatti frutto delle mille speculazioni; gli scandali che hanno gettato totale discredito sul nostro calcio; gli scarsi investimenti delle grandi squadre, in particolare sui settori giovanili, che hanno relegato il livello tecnico del campionato italiano ben al di sotto di molti altri campionati europei. Insomma, i padroni dei grandi club hanno dato un contributo decisivo alla rovina del calcio italiano e adesso vorrebbero far credere che la sua appetibilità mediatica sia messa in pericolo da piccole società che evidentemente dimostrano ben altra lungimiranza e capacità gestionale. Eppure vengono in mente brillanti esempi che dimostrano proprio il contributo decisivo delle “piccole” alla spettacolarità e all'imprevedibilità (già scarse) della serie A negli ultimi anni: il Chievo, che da più di 10 anni dice la sua ed è stato capace di arrivare in Europa; il Livorno di Lucarelli che nel 2007 raggiunse i sedicesimi di finale di Coppa Uefa; Sassuolo ed Empoli che in questo campionato stanno dando lezioni di calcio a quasi tutti, e stanno lanciando giovani che avranno un brillante futuro proprio nei top club. Forse non è un caso che Lotito non nomini proprio il Sassuolo come un problema, visto che pur essendo una “piccola” ha un patron molto potente, il presidente di Confindustria Squinzi, cui non è opportuno mettersi contro.
Insomma, il modello di calcio cui allude Lotito, basato solo su introiti televisivi e bacini di utenza, sembra modellato su quello dei grandi campionati americani di basket e football: giocano solo squadre grandi e ricche in un campionato “privato”, in cui non si può retrocedere e partecipano sempre le stesse. Con buona pace del fatto che in Inghilterra, dove tuttora si svolge il campionato più bello del mondo, la FA Cup, importante quanto la Premier League, veda la partecipazione di tutte le squadre delle serie inferiori, che hanno la possibilità di andarsi a giocare il titolo affrontando direttamente i mostri sacri pagati fior di milioni. Forse è proprio per questo che la gente guarda il calcio con passione: perché non è tutto già scritto, a parlare è davvero il risultato ottenuto sul campo, è ancora permesso sognare l'impresa.
Di fronte al marciume del nostro calcio e dei suoi grandi manovratori, forse la cosa giusta da fare sarebbe abbandonare la nave, tornare a giocare al parco con gli zaini come porte, e dire a lor signori “tenetevi la vostra inutile NBA, a noi non interessa più”. Ma noi siamo davvero malati di questo straordinario sport, e al dunque, invece di lasciare questi loschi personaggi da soli con le loro montagne di soldi, preferiamo sognare il Carpi che l'anno prossimo batte la Juve, o magari proprio la Lazio di Lotito, all'Olimpico (semivuoto, of course).
Matthias Moretti