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Una squadra, una città, un popolo, un...marchio

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Che i rapporti tra il ventre caldo della tifoseria del Paris Saint Germain e la dirigenza del club francese non siano idilliaci, non è un segreto per nessuno e questi problemi risalgono a prima dellʼacquisto della Qatar Investment Authority dellʼestate del 2011; vale a dire al momento in cui, al culmine della faida che aveva coinvolto le due curve del Parco dei Principi (la Kop Boulogne frequentata da casual, membri dellʼʼ estrema destra e dallʼimpostazione hooliganistica a cui si opponeva il Virage Auteuil composta da varie crew antirazziste e da una matrice più vicina al tifo allʼitaliana), che costò anche la morte di un membro del KOB (Yann Lorence), lʼallora presidente Robin Leproux con lʼassistenza del Ministro degli Interni francese Brice Hortefeux, varò il “Modello Parigi” col chiaro intento di estirpare le violenze (e forse anche gli ultras...) dallo stadio parigino: vengono sciolti per decreto cinque sottogruppi (tre del Virage Auteuil e due della Kop Boulogne), vengono immessi i biglietti nominativi e lʼorganizzazione da parte del club di tutte le trasferte.

 

Poi, lʼavvicendamento societario con lʼarrivo dei petroldollari dal Qatar, una nuova filosofia gestionale e lʼobiettivo di consolidarsi nella top class dei club europei, non hanno affatto risanato questa frattura, anzi lʼhanno addirittura acuita, poiché il tifo organizzato parigino è stato di fatto messa alla porta senza colpo ferire, e senza nemmeno qualche prova tecnica di dialogo a dimostrazione del modus operandi dei dirigenti qatarioti che antepongono i bilanci e il business a ogni cosa, convinti che i soldi possono comprare tutto... anche lʼanima! Anche le ultime, timide aperture sulle stringenti limitazioni per quel che riguarda gli abbonamenti, sembrano più un contentino per incrementare gli utili, piuttosto che il frutto di una decisione ragionata e dettata dallʼesigenza di ricreare un rapporto di simbiosi coi propri tifosi.

Probabilmente è proprio rispetto a questo dettame che si è aperto lʼultimo atto di questa guerra: nelle scorse settimane, infatti il Paris Saint-Germain ha intrapreso un’azione legale per recuperare il marchio “Ici c’est Paris”, un vero e proprio tratto distintivo in tutta la Francia e non solo capace di accomunare indistintamente tutti i tifosi rosso-blu. Il marchio è stato depositato nel 2008 dallʼassociazione Supras (dalla contrazione di Supporters e Ultras) Auteuil, discioltasi nel 2010, cedendo i diritti allʼAssociazione Advocacy, ma negli ultimi anni non veniva utilizzato dagli stessi tifosi quasi per nulla. Dal canto suo, il Paris Saint-Germain da diversi anni utilizza questo marchio sul proprio merchandising e adesso ne ha richiesto lʼutilizzo esclusivo, proponendo a tal proposito una sorta di contropartita economica per la cifra di 2.000 euro. Come a dire, oltre al danno la beffa! Naturalmente la risposta di Advocacy è stata quella di un rifiuto sdegnato. Christophe Uldry, portavoce dellʼassociazione e da sempre a difesa dei diritti dei sostenitori, che sostiene tra lʼaltro di essere stato uno degli ideatori del coro omonimo nato nel Virage Auteuil nel 2001 che ha dato vita al marchio, si è soffermato su come dopo aver preteso la morte dei gruppi organizzati, adesso la dirigenza ne pretenda anche lʼanima, parlando testualmente di un saccheggio culturale a danno dei tifosi.

Perché “Ici cʼest Paris” è un patrimonio collettivo, forse lʼultimo per i frequentatori del Parco dei Principi. A tal proposito, il National Intellectual Property Institute (INPI) aveva respinto le proposte per registrare il marchio, sostenendo che “questo slogan non poteva essere raccolto da un privato a causa del suo ampio utilizzo da parte della comunità”. Adesso la battaglia è passata nelle aule di tribunale, perché la dirigenza qatariota ha richiesto la decadenza del marchio, mentre Advocacy ha richiesto un risarcimento di 60.000 euro che, hanno fatto sapere immediatamente, sarà devoluto in beneficenza a dimostrazione di quanto il tenore di questa battaglia sia simbolico. Perché, per usare le parole di Uldry: “Ici cʼest Paris” è un “tratto distintivo molto potente della cultura parigina e della comunità PSG nel suo insieme”, a dimostrazione di quanto sia grande la posta in palio che non riguarda la sopravvivenza di un semplice marchio, ma evidenzia il contrasto neanche troppo latente tra gli interessi di una dirigenza senza il minimo contatto con la piazza e che pensa solo ai profitti e una tifoseria, la cui maggior parte si è lasciata accecare dai successi recenti del club (dovuti anche a una qualità non propriamente eccellente del campionato francese), mentre subiva una progressiva quanto inarrestabile spoliazione di quel rapporto speciale a tratti viscerale che è quello che si instaura tra squadra e città e rende realmente magico questo sport. E poi, in fin dei conti, adesso anche in Italia si sta affacciando il fenomeno di proprietà straniere ed estranee a questo tipo di relazioni sociali, non ci sarebbe da meravigliarsi se prima o poi un qualcosa di simile succedesse anche alle nostre latitudini: quindi meglio prepararsi.

 

Giuseppe Ranieri

 

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Scritto da Giuseppe Ranieri
Categoria: Prima pagina
Pubblicato: 14 Marzo 2016
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