Ad aggredire un pugile ci vuole un bel coraggio. Soprattutto se questo è uno che di ganci, diretti e montanti ci campa e si allena senza sosta da una vita, avendo immolato la propria esistenza nella pratica della noble art.
E quest’azione potrebbe apparire addirittura come “kamikaze” se il bersaglio diventa Manny «Pacman» Pacquiao. Ma prima di entrare nel pieno della vicenda, meglio riannodare qualche filo.
A chi non conosce il ring, va forse spiegato che Pacquiao non solo è un pugile professionista – campione del mondo in otto diverse categorie – ma secondo molti è da considerarsi uno dei migliori boxeur pound for pound della storia. Quello che è sicuro però è che dall’inizio del nuovo millennio di pugili della classe di Manny se ne sono visti molto pochi, con un record di 57 vittorie (38 k.o.), 6 sconfitte e 2 pareggi.
Mancino, dotato di una scelta del tempo innata, estremamente tecnico, Pacquiao è famoso per le serie di colpi che escono dalle sue braccia sfiancando senza sosta qualunque avversario. Insomma uno di quei pugili che nessuno vorrebbe incontrare. Veloce, dalla “mano pesante” e con cardio infinito.
A batterlo sono stati veramente in pochi: Mayweather Jr ai punti (in un incontro considerato da molti l’evento sportivo più importante della storia recente, anche se deludente), Juan Manuel Marquez (che l’ha messo k.o. e contro di cui ha disputato una trilogia di incontri da urlo), Timothy Bradley Jr per split decision (decisione non unanime), Erik Morales e Medgoen Singsurat, Rustico Torrecampo. Questi ultimi all’inizio della sua carriera da professionista, prima della sua vera affermazione pugilistica.
Chi scrive, considera «Pacman» veramente uno dei più grandi pugili della storia della boxe, soprattutto per la sua capacità di combattere in diverse classi di pesi e per il suo stile di combattimento mai noioso e sempre “d’incontro”. Eppure la stima e il gradimento verso questo campione sono crollate in seguito ad alcune sue affermazione che definire omofobe sarebbe un eufemismo, divenute notizia nel febbraio del 2016.
Su un importante emittente televisiva delle Filippine, Pacquaio ha paragonato gay e lesbiche ad animali, esprimendo la sua totale contrarietà al matrimonio fra persone dello stesso sesso ed evocando confusamente alcuni passi dell’Antico testamento.
In un paese molto cattolico come le Filippine dove un certo sentire è piuttosto diffuso, queste parole non hanno destato grande stupore. Alcuni hanno addirittura sostenuto che tali esternazioni possano essere un’operazione politica: Pacman infatti si candiderà a un posto da senatore e si pensa voglia intercettare il gradimento della parte più conservatrice della società filippina.
Ma all’estero queste dichiarazioni hanno giustamente generato sdegno diffuso, soprattutto nel mondo dello sport. C’è chi come Ronda Rousey (una delle donne più influenti del mondo delle Mma ma anche campionessa olimpica di Judo e vera e propria icona degli sport da combattimento) ha sostenuto che non esistono passi delle scritture sacre in cui si invoca la condanna per gli omosessuali, mentre il wrestler Dave Bautista – uno a metà fra lo sport e il cinema – lo ha semplicemente bollato come fucking idiot, oppure chi come Magic Johnson – celebre star dei Los Angeles Lakers negli anni Ottanta – ha deciso di boicottare i suoi futuri incontri. Anche il suo più grande rivale nelle “sedici corde” Mayweather Jr, ha colto l’occasione per dichiararsi invece apertamente favorevole al matrimonio fra persone dello stesso sesso.
Non sono bastate le veloci scuse di Pacman che in maniera del tutto inefficace ha garantito di essere stato “frainteso”. Poco dopo la notizia, la Nike ha smesso di sostenere economicamente l’atleta e gli ha revocato il contratto di sponsorizzazione. Un danno da milioni di dollari per il pugile che sabato affronterà per la terza volta Timothy Bradley: anche lui dopo lo scandalo ha preso posizione netta contro l’omofobia e a favore dei diritti per gli omosessuali.
Ma veniamo al succo della storia: nella notte fra domenica e lunedì nel parcheggio di un ristorante giapponese di lusso, il Kabuki, nella patinata Hollywood Boulevard, uno sconosciuto ha cercato di assalire il pugile filippino accusandolo di essere un omofobo.
In realtà lo staff del campione ha prontamente sventato il tentativo di aggressione ma rimane l’audacia di quello che i siti d’informazione come spin.ph boxingscene.com, rappler.com e descrivono come unknown assailant, angry man, crazed assailant. Insomma un eroe sconosciuto e senza volto.
Pugilato e omosessualità in realtà non sono legati solo da atteggiamenti omofobi. Esistono pugili che hanno fatto coming out: il più famoso è sicuramente Emile Griffith, campione del mondo degli anni Settanta ricordato anche per gli incontri con Nino Benvenuti, che dopo aver smesso i guantoni non ha avuto problemi a dichiarare di essere gay.
Ma c’è soprattutto Orlando Cruz, primo pugile in attività a dichiarare apertamente la sua omosessualità. Cruz ha anche combattuto provocatoriamente per un titolo del mondo dei piuma nell’ottobre del 2013 con dei pantaloncini rosa, portando sul ring anche il simbolo arcobaleno della comunità Lgbt. Ha perso per k.o. al settimo round, ma ha disputato un discreto match, riuscendo a squarciare quel velo di maya che affligge indistintamente tutti gli sport, comunque legati a una certa estetica machista.
Insomma il pugilato non fa storia a sé: è uno specchio della società e così come tutti gli altri sport, è afflitto da comportamenti omofobi. Ma grazie al coraggio di gente come Cruz, qualcosa sta cambiando. E anche un boxeur come Pacquiao a questo punto dovrebbe averlo capito.
Filippo Petrocelli