Non è la prima volta e quasi sicuramente non sarà nemmeno l'ultima in cui il calcio risulta essere il termometro di una situazione sociale in ebollizione. Discorso che vale ancora maggiormente per la Spagna dei super team in cui, a dispetto della pressoché identica potenza economica dei suoi due club più blasonati, essi rappresentano, da sempre, sentimenti ben definiti e contrastanti tra essi all'interno delle proprie comunità di appartenenza e tra esse e il mondo esterno. Naturalmente ciò non poteva cambiare in chiusura di una stagione che ha ancora molto da dire per il calcio iberico. Così, è appena giunta la notizia del divieto categorico di esposizione della “estelada”, la bandiera catalana di cui avevamo parlato già in precedenza per un analogo divieto giunto dalla UEFA, per i supporters del Barcellona che assisteranno alla finale di Coppa del Re che si disputerà domenica sera contro il Siviglia fresco vincitore di Europa League, sul campo neutro del Vicente Calderon (lo stadio in cui gioca l'Atletico Madrid) e che in caso contrario gli oltre 2.500 uomini della sicurezza impiegati per il servizio d'ordine del match non esiteranno a rimuoverle con le buone o con le cattive.
Evidentemente pesa ancora lo smacco patito proprio nella scorsa finale della coppa nazionale, quando si affrontarono gli azulgrana catalani e l'Athletic Bilbao, trasformando l'incontro in un festival delle nazionalità oppresse dalle forti venature anti-castigliane. A tal proposito, il delegato del governo di Madrid, Concepción Dancausa, ha giustificato ciò dicendo che “lo sport in generale, e il calcio in particolare, non deve diventare scenario di confronto politico”. Naturalmente, questo stato delle cose non poteva non suscitare aspre polemiche a cui non si sono sottratte neanche le massime cariche istituzionali locali: Carles Puigdemont, il centotrentesimo presidente della Generalitat della Catalogna (appartenete al partito Convergencia y Uniò e che per governare ha avuto bisogno dell'appoggio della CUP, forza di sinistra radicale), ha parlato di “grave attacco” ai catalani e di come l'Estelada rappresenti per tutti loro un simbolo democratico e di libertà a differenza di questa decisione che andrebbe contro la libertà d'espressione. Mentre Ada Colau, sindaco della città catalana e vicina ai movimenti di lotta per la casa, ha dichiarato che seguirà l'esempio di Puigdemont disertando lo stadio Calderon. Da parte sua il club catalano ha espresso il suo “assoluto disaccordo” e ha aggiunto che “con azioni di questo tipo, l'FC Barcelona ha difeso e continua a difendere la libertà di espressione dei suoi membri e degli appassionati”.
A dare man forte alla società, l'associazione degli avvocati “Drets” ha anche proposto un ricorso in un tribunale di Madrid (il tribunale amministrativo n. 11) per annullare il divieto, considerando che si tratta di una “censura preventiva” che viola la libertà ideologica protetta dalla Costituzione spagnola. La decisione sul ricorso dovrebbe arrivare oggi, e Drets avverte che la decisione presa dal delegato del governo spagnolo a Madrid di vietare l'estelada è una “decisione immotivata, ingiustificata e sproporzionata”, mentre “nulla vien fatto per garantire una maggiore sicurezza a livello di ordine pubblico”.
Naturalmente, in un contesto nazionale piuttosto fragile come quello spagnolo, non tutti la pensano come Puigdemont & co., e infatti il portavoce del Partito Popolare, Rafael Hernando, ha applaudito la decisione, rispondendo per le rime al presidente della Generalitat catalana e asserendo che l'Estelada rappresenta un simbolo offensivo per buona parte degli spagnoli, “che mira a distruggere l'unità nazionale”, e ha concluso causticamente che se davvero per Puigdemont essa rappresenta un simbolo nazionale, deve argomentarlo in Parlamento. Come andrà a finire lo scopriremo solo domenica, ma una cosa è certa: la partita che si sta giocando è molto più importante del semplice match calcistico che disputeranno i ventidue in campo, ma riguarda le sorti di una Catalogna sempre più tentata dall'opzione indipendentista e, di conseguenza, dell'unità politica dello Stato spagnolo che sta vivendo sulla propria pelle gli effetti collaterali delle organizzazioni sovranazionali, perdendo sempre più consensi in quelle aree da sempre inclini a opzioni di autonomia se non di indipendenza vera e propria.
Giuseppe Ranieri