In questo scorcio finale dei campionati europei in cui sono stati decretati i verdetti finali della stagione, vari opinionisti, riferendosi all'impresa del Leicester, hanno attinto fortemente, quasi ai limiti dell'abuso, alla metafora della classe operaia che va in paradiso.
Il Besiktas e Istanbul
Ci eravamo già espressi in precedenza per dimostrare quanto questa visione possa essere fuorviante per una serie di motivazioni e quindi, pur consapevoli dell'appeal infinitamente superiore che ha la Premier League, se davvero si vuole parlare di una classe operaia che va in paradiso, bisogna attraversare quasi tutto il continente e fermarsi sul Bosforo, in Turchia, dove il Beisktas si è laureato campione nazionale per la quattordicesima volta. Infatti, la squadra bianconera, pur essendo la più vecchia polisportiva turca, nata nel 1903, nell'immaginario rappresenta il parente povero, la terza squadra di Istanbul, quella del popolo (letteralmente halk takim) e della sua classe operaia, indistintamente sia della zona europea che di quella asiatica (molto caratteristici i viaggi per andare allo stadio, a bordo di battelli) a fronte delle due compagini più blasonate: il Galatasaray, da sempre considerata la squadra dell'elite filo-europea e il Fenerbache, la squadra degli asiatici, quella più ricca; oppure come vengono definite dai rispettivi detrattori, il Galatasaray sarebbe la squadra degli ebrei, il Fenerbache quella dei greci e il Besiktas quella degli armeni.
A prescindere da queste semplificazioni di comodo, quello che è indubbio è il legame che lega le squadre con le proprie comunità di tifosi e in particolare quelli del Besiktas con un quartiere compattamente a suo sostegno, anticamente popolato da marinai e giannizzeri e in cui le idee socialiste non sono mai morte, ma al limite sono state progressivamente affiancate fino a essere sorpassate da quelle anarchiche.
Gezi Park
Molto probabilmente infatti per molti dei nostri lettori i Çarşı, vale a dire i sostenitori più accesi del Besiktas, sono diventati noti dopo il poderoso ciclo di proteste che prese il via dal'occupazione del Gezi Park del 2013, che vide gli ultras bianconeri tra i principali animatori e in cui proprio alcuni dei leader della tifoseria delle Aquile nere, oltre a porsi a guida della protesta nelle piazze, si fecero promotori di uno storico patto siglato tra le tre tifoserie principali della città, da sempre acerrime rivali, riuscendo così a coagulare quell'ostilità che da sempre i gruppi ultras nutrono nei confronti del partito di governo del “sultano” Erdogan, l'AKP, in un movimento che mirava a scuotere dalle fondamenta lo stato turco attanagliato dalla corruzione e che è stato ben raccontato nel documentario televisivo “Istanbul United”. Come sempre accade in questi casi, è avvenuta l'inevitabile reazione dello stato turco che ha di fatto decapitato il gruppo con ben 35 membri tra i più in vista dell'intera tifoseria, accusati di “voler rovesciare il governo”, attraverso un sommovimento simile a quello delle Primavere arabe. Un'accusa che, sebbene in molti bollino come una farsa giudiziaria, certamente non è cosa da poco, visto che i 35 supporters rischiano l'ergastolo, poiché secondo i magistrati costituirebbero una vera e propria “organizzazione armata”; tanto da aver attirato l'attenzione anche di Human Rights Watch che ha intravisto in questo processo un'utile cartina tornasole del trattamento che riserva lo stato turco ai suoi oppositori politici. Tuttavia anche questo risvolto drammatico è riuscito a tirar fuori qualcosa di positivo, visto che ha ulteriormente cementato la solidarietà tra le tre tifoserie di Istanbul e anche due parlamentari di spicco del partito d'opposizione, il CHP, (Gürsel Tekin e Sezgin Tanrıkulu) si sono schierati idealmente a loro supporto annunciando il loro appoggio a tutte le iniziative di protesta intraprese dai Çarşı prima dei match della loro squadra e per farlo scelsero uno dei luoghi più cari all'intera comunità dei Çarşı, vale a dire una statua raffigurante un'aquila simbolo del club, proprio nel quartiere di Besiktas.
Da Ataturk a Che Guevara: Çarşi contro tutto
Basterebbe già quanto detto finora per raccontare molto di quell'innata attitudine antigovernativa che da sempre è una costante dei Çarşı, il cui motto non a caso è: “Çarşı, her şeye karşı” ossia “Çarşı contro tutto” ed il simbolo una “A” cerchiata rossa. Eppure la storia del Besiktas, e con essa quella dei suoi sostenitori, è piena di aneddoti simili o di spunti di riflessione che tracciano chiaramente come una sorta di progressismo radicale sia da sempre nelle corde della tifoseria bianconera, che nel suo personalissimo pantheon rivendica una linea di continuità che va da Ataturk (che in privato avrebbe ammesso di essere tifoso proprio delle Aquile bianconere) a “Che” Guevara e che ha fatto della curva bianconera un luogo universalmente riconosciuto come fucina per lo sviluppo delle idee e delle pratiche antifasciste, antisessiste, ecologiste, non esitando a prendere posizione su molteplici vicende che altrimenti trovavano veramente poco spazio in un contesto “sotto tutela” come quello dell'opinione pubblica turca e che vanno dal massacro dei cuccioli di foca al Genocidio degli Armeni; tant'è che proprio uno dei leader storici dei Çarşı, Alen Markaryan, è di origine armena, una cosa tutt'altro che scontata e che serve a chiarire ulteriormente quanto all'interno del sostegno al Besiktas siano stati abbattuti una quantità non trascurabile di steccati ideologici e pregiudizi di ogni risma.
Proprio questo protagonismo spinge più persone a ritenere che essere Çarşı sia soprattutto una dimensione mentale che, senza perdere di vista l'umorismo e l'autoironia, tratti distintivi dei tifosi bianconeri, travalica i confini dello stadio e del calcio, indicando uno spirito tenacemente ribelle dalle venature iconoclaste, da sempre a sostegno delle categorie sociali più deboli e indifese, unite a un attaccamento viscerale ai propri colori a prescindere dal risultato che trova la propria sintesi nel motto “Biz seni sevinmek için sevmedik”, ovvero: “Non vi amiamo per essere felici”. A dimostrazione di ciò, anche dopo lo scioglimento ufficiale del gruppo avvenuto nel 2008 in seguito all'accusa che la casa dei Çarşı, vale a dire la Tribuna dello stadio BJK İnönü, un luogo di propaganda politica; questo nome ha continuato ad accompagnare i tifosi bianconeri, fino a tornare prepotentemente in auge proprio durante le proteste di Gezi.
Cenni storici
Tuttavia, il gruppo vero e proprio, sebbene abbia caratteristiche più “liquide” e meno “inquadrate” rispetto a come siamo portati noi a concepire un gruppo ultras sulla base della conoscenza dei gruppi italiani, nasce nel 1982, subito dopo il colpo di Stato (all’epoca, la polarizzazione destra-sinistra era molto forte nella società turca e l'opinione pubblica aveva il bavaglio, essendo proibiti partiti e sindacati) e già dalle origini si identifica con la classe operaia della metropoli turca e comincia a ottenere la fama nel decennio successivo, per il proprio modo di tifare, di fare coreografie e per le idee espresse; basti pensare che proprio ai tifosi bianconeri appartiene il record di rumore registrato dentro uno stadio, nella partita di Champion's League dell'ottobre del 2007 contro il Liverpool, ben 132 decibel, vale a dire l'equivalente di una sparatoria di oltre due ore! Il nome del gruppo deriva dalla piazza del grande mercato centrale del quartiere Beşiktaş, che si trova in centro, nei pressi del Bosforo di Istanbul e Çarşı starebbe a indicare proprio quei giovani che si aggiravano bighellonando all'interno del Bazar. Ma già precedentemente i tifosi del Besiktas avevano una nomea di tifoseria abbastanza turbolenta, basti pensare che negli Anni'70 lo stadio Inönü era l’unico agibile, e fu necessaria l'istituzione del coprifuoco per mettere fine alla guerra tra le tifoserie. I sostenitori di ciascuna squadra pur di accaparrarsi i posti migliori in quell’impianto ci andavano sin dalla notte precedente. Gli scontri, spesso armati, andavano avanti ad oltranza. Il governo turco decise che l’unica soluzione era quella di mettere in piedi un vero e proprio coprifuoco, impedendo la libera circolazione nelle strade prima delle 5 di mattino. Queste misure di sicurezza servirono a impedire la guerriglia nelle ore notturne, spostando l’orario degli scontri alle prime luci dell’alba. Da tali scontri uscirono vincitori i sostenitori della squadra bianconera che ottennero la possibilità di vedere la propria squadra dai posti migliori dello stadio.
Contro il calcio moderno in salsa turca
Anche lo scandalo per il calcio-scommesse turco del 2011 è stato usato per tastare il polso alla gioventù turca e alla sua capacità di reazione e anche in questo caso i Çarşı hanno avuto un ruolo di primo piano, per via dell'iniziale coinvolgimento del proprio club, che poi è stato totalmente scagionato (a differenza del presidente del Fenerbahce, condannato a tre anni e sei mesi), ma ciò fece ugualmente da detonatore a una nuova ondata di proteste contro i vertici del paese. Anche perché dopo il colpo di stato del 1980 il regime turco ha investito parecchio sul calcio come intrattenimento per la gente, capace di rimpiazzare i movimenti di sinistra, cercando di affibbiargli qualche venatura nazionalista, con un'ulteriore accelerazione dal 2010, quando l'intervento dell'AKP di Erdogan nel calcio, così come in tutte le altre sfere di competenza socio-culturale del paese si fece sempre più evidente, fino agli ultimi tentativi di introduzioni di nuove norma contro la violenza negli stadi che di fatto avrebbero ricadute anche nella condotta sociale e nella partecipazione politica, ottenendo come effetto collaterale un progressivo slittamento dei gruppi ultras verso posizioni marcatamente anti-governative. In ogni caso, e non poteva essere altrimenti, anche i Çarşı sono attivi contro la mercificazione del calcio che in Turchia ha preso la forma dei trasferimenti di grandi giocatori al tramonto della propria carriera venuti a intascare l'ultimo contratto a peso d'oro, alla costruzione della nuova “Vodafone Arena”, e soprattutto contro il costante aumento dei prezzi del biglietto che di fatto contrasterebbero con l'etica del club fatta di umiltà, spirito di sacrificio, solidarietà e modestia, tant'è che una minoranza di tifosi ha cominciato a seguire un piccolo club di provincia, la squadra di Karabük, città industriale ad ovest del Mar Nero, ha la particolarità di essere sostenuta finanziariamente da un sindacato. In ogni caso in un contesto sempre più sotto tutela com'è quello del calcio turco, visto con particolare attenzione da parte del governo, la vittoria del Besiktas, sebbene non si possa definire un fulmine a ciel sereno, vista anche l'importante campagna di rafforzamento che ha portato a vestire la maglia bianconera delle aquile turche il non troppo rimpianto Mario Gomez, ha pur sempre un sapore speciale per essere avvenuto in volata sul Fenerbache che oltre a essere un'acerrima rivale è anche la squadra di cui è tifosissimo Erdogan. Immaginiamo quindi il gusto provato dai Çarşı nell'aver inflitto un dispiacere al “sultano”, sperando che non sia l'ultimo e che i prossimi non riguardino strettamente il calcio.
Giuseppe Ranieri